Il tempo migliore della poetessa romana comincia con E forse io chiamo amore, un libricino autoprodotto in 72 esemplari, uscito nel 1996, che tiene strette ed armonizza oracolarità, femminismo, autobiografia, anzitutto facendo leva sull’ossimoro, la cui cortocircuitazione logica spinge fuori dalle gerarchie proprie al linguaggio del dominio, approdando ad una «turbolenza» libera da giustificazioni esterne, e perciò capace di portare alla luce, da sola, memoria e desiderio d’appartenenza di un io lirico che ha fretta d’invecchiare «come la terra che sotto ha l’animale». Immagine ispirata dalle prime pagine de La storia geografica dell’America, di Gertrude Stein, ma che recupera, nel contempo, un simbolo caro al Pascoli dei Canti di Castelvecchio: in quella «terra» è possibile infatti riconoscere l’«urna» del Gelsomino notturno, là dove la giovane sposa tiene in grembo «non so che felicità nuova», e che nella Febbraro viene a coincidere con la riconquista dell’animalità propria al femmineo, ad un certo punto «interrotta», messa a tacere dalla civilizzazione [...] Pascoli ritorna nella scoperta che «non è logica quel che si vive accanto all’innocenza», bensì un certo modo di guardare, ma anche di toccare, di sentire, sapendo rinunciare alla parola che, come in Montale, «squadri da ogni lato/ l’animo nostro informe», così che grido e silenzio coincidano («quel gridare taciuto solo perché avevamo fame/ di semplicità ballerina»), diventando essi stessi azione, decisione di esistere nella nudità della presenza: «il coraggio non usato per nascere/ è ciò che canta prima di parlare». Ad inaugurare la vera novità del libro è tuttavia la sezione finale («Il muro è così gonfio di fili d’erba»), nella quale il respiro diventa finalmente misura, voce di un universo interiore che, «prima delle frasi», ha «chiesto confini», «limiti», per trovare un equilibrio condiviso, un centro comune dove allevare gli affetti, primo fra tutti quello familiare, che è come acqua e terra quando «divengono fango». In questo incontro tutto terrestre, la Febbraro riconosce l’unica dimensione del bene, di quel toccarsi fraterno «senza ritrarci». Ed è, l’affettività, una specie d’attrito che dà «forma» all’umano, come scrive nella poesia successiva, un modo di «opporre resistenza/ alle diverse correnti», un destino proprio ad ogni cosa caduca, che Paola vuole trattenere sulla pagina, quasi a salvarla dall’oblio.
Da E forse io chiamo amore
il muro è così gonfio di fili d'erba
Davvero gli affetti ci legano ai nostri parenti ai nostri pensieri
ma siamo sempre noi che scegliamo di rimanere legati
noi più fragili dei mutamenti
quante volte prima delle frasi abbiamo chiesto confini
un rimprovero che ci desse dei limiti
Abbiamo chiamato nulla la distanza
che ci separa che ci tiene in salvo la vita
altre hanno chiamato amore quell'esserci toccati
senza ritrarci per aver affondato le mani
nella schiuma
Alcuni di noi riconoscono solo parenti
**
Sempre ci salva un poco quel che accade
l'acerba giovinezza i suoi segnali
Certe inconfutabili passioni certe attrazioni certe
sostanze di cui eravamo fatti
Attesa allora è solo che svanisca
l'idea di possedere ciò che viviamo
**
Forse quel muro ormai così gonfio di fili d'erba è qui per lasciarci
divenire
una volta che ci siamo toccati senza ritrarci
per aver affondato le mani nella schiuma
noi melograni d'amore spaccato
Ma cos'è amore che così abbiamo chiamato tra noi il riconoscerci
sempre parenti
o così abbiamo chiamato il nulla o quel tempo e quello spazio
dove l'acqua e la terra divengono fango
**
Davvero il cuore è l'unico animale che ci ha fatto uguali e possibili alimenti
per altre vite che a noi è sempre piaciuto immaginare giganti
Allora è come se fossimo destinati ad opporre resistenza
alle diverse correnti
come fosse un attrito a darci forma
Davvero il cuore è l'unico animale che ci ha fatti uguali
alle stelle
**
e forse io chiamo amore qualsiasi cosa che si muova
anzi che cade
se camminiamo l'amore è venuto prima è tramontato
tramonta dietro ai corpi e noi lasciamo che i nostri corpi
non siano sempre persone
oh, grazie Guglielmin. è proprio un regalo. Buona giornata - qui a sud davvero "turbolenze in aria chiara". Giampaolo
RispondiEliminaGrazie, per questa raccolta, aiuta a incontrare l'autrice. Ne ho segnalato la presenza anche in cartesensibili. fernanda ferraresso.
RispondiEliminaringrazio voi per questo entusiasmo.
RispondiEliminaGrazie per questo post: un bellissimo atto d'amore di cui non può che esserti grato chiunque abbia incontrato sulla sua strada la figura e l'opera di Paola.
RispondiEliminafm
Paola venne a schio a leggere le sue poesie quando vinse il premio "giorgi". si capiva subito che dentro aveva una serpe piena di grazia. ci siamo sempre tenuti in contatto, ma mai più rivisti, malgrado i buoni propositi.
RispondiEliminaquando le chiesi i libri per poterne scrivere, fu sempre disponibile e paziente, sempre pronta a rispondere alle mie domande, con grande umiltà.
splendida scelta di poesie caro stefano. speriamo di rivedere e risentire presto paola da qualche parte. ricordo il titolo dello splendido libro vincitore del premio giorgi 2002 edito da manni: 'la rivoluzione è solo della terra'. cercatelo ne vale la pena.
RispondiEliminaun caro saluto da
roberto cogo
...ovviamente intendevo su altri blog o in qualche convegno o studio a lei dedicati!
RispondiEliminaroberto
'e forse io chiamo amore qualsiasi cosa che si muova
RispondiEliminaanzi che cade'
(grazie)
speriamo sì che di questa poesia si parli ancora. versi come quelli che cita Mapi danno voce a quanto abbiamo dentro tutti noi.
RispondiEliminaMolto belle queste poesie. Non conoscevo questa autrice. Grazie per averla ricordate e riproposta.
RispondiEliminabenvenuta, Alina.
RispondiEliminaRientro ora da un viaggio,e notti aeroportuali,ma questo posto mi ha fermato subito:perché Paola lo merita, è viva è bella, e importante. (io la conobbi a casa di Cristina Annino),la sua morte non interrompa la lunga vita di lettura che la sua poesia richiede, ma la obbliga, per chi ancora non la conosce. E son parole che scendono al cuore, subito, parole lisce ruvide e acuminate.
RispondiEliminaGrazie, Gugl, MPia Q
Ecco una limpidezza che lascia vedere, come acqua, il fondo delle cose. Bellissime poesie. E puntuale la nota critica.
RispondiEliminaCorrado Benigni
grazie, dal cuore.
RispondiEliminarita
Ho sempre riconosciuto in Paola una "genialità" speciale,ancora prima di leggerla. Quell'essere speciale che è come un marchio, e che hanno pochi (persino i suoi difetti, l'ombrosità del carattere, l'infantilismo eccessivo,i tic nervosi. Tutto in lei era speciale)Quando la lessi - il fatto che siamo state amiche, profondamente amiche non pesa minimamente su quel che dico- capii che quella genialità subito intuita la buttava fuori, la faceva camminare e disperarsi, una grandezza assoluta di poeta. Gestita tra l'altro con perfetta discrezione e generosità. Combinazione rara, ma estremamente importante.
RispondiEliminaGrazie, Stefano, per averla ricordata e spero che molto altro si faccia per rendere al valore di questa poesia quello che si merita. Cristina Annino.
ancora grazie a tutti per i vostri doni. e un saluto affettuoso alla mamma di Paola, che forse oggi leggerà queste note.
RispondiEliminaanch'io mi sono fermata a leggere quest'autrice che avevo già letto e apprezzato.
RispondiEliminaUn post molto bello. Grazie.
ciao
Stupito.
RispondiEliminaGrazie st.
Francesco t.
Commossa ringrazio.
RispondiEliminaGiovanna Febbraro
La commozione è mia, è di tutti gli amici di Paola che passano di qua.
RispondiEliminagrazie a lei, signora.
non l'ho conosciuta( ma la sua foto rivela, credo, molto di sé )e me ne dispiace così come m'è dispiaciuto non avere avuto modo d'incontrare Giovanna Sicari.Poesia emozionante, vorrei leggerne di più,e mi emoziona anche Stefano che sa ricordarla in questo modo.
RispondiEliminaPer questo ringrazio di cuore un prezioso "emissario" come lui (e Francesco M.)
lucetta
il testo che si può ancora trovare sul mercato è "La rivoluzione è solo della terra" (Le Voci della Luna). titolo splendido.
RispondiEliminaciao e grazie a te.
Grazie, Stefano Guglielmin. Grazie, Paola Febbraro, per quella "turbolenza" seminata con tanta levità, fuoco sottoterra e ardente. Quel melograno spaccato d'essere poesia. Giusi Busceti
RispondiEliminaLeggo soltanto ora il tuo commento. Grazie.
Elimina