Undici inediti straordinari, questi di Elio Grasso, che ci consegna, come in una profezia, l'avvento di un tempo nuovo, che già fermenta in queste lande artefatte, ci cova dentro, per scardinare l'artificio dall'interno. "Sarà un tempo" della riflessione che infiamma un "chiarore tranquillo" (vasto "come la notte" per dirla con Baudelaire), un seme portato dal vento – parola solo in apparenza marginale in questi testi – seme nero come la notte e l'inchiostro, bianco come il sangue che feconda e la luce viva, i cui germogli scardineranno il vecchio per rifondare il nuovo. Grasso conosce la teosofia, ma anche il materialismo dialettico e la poesia sperimentale italiana, quel suo operare nella roccia linguistica, amandone spigoli e licheni, oltre che la polpa sugosa. Polpa, lo sappiamo, venata dai germi del potere e che egli destabilizza con una versificazione scabrosa, che mai definisce e leviga il proprio oggetto sino in fondo, per lasciarlo invece nell'oscillazione del possibile, in quella "soglia del mattino", che incolla luce ed ombra, paura e speranza. Ci vuole coraggio per annunciare l'alba in questo buio, qui dove gli dei falsi edificano cattedrali per il dio denaro e il dio potere. E ci vuole fede, non tanto in un Salvatore, bensì in ciò che resta dell'uomo, di quell'uomo che sopravviveva alla natura amandola come una madre, che conosceva le bacche della vita e della morte, e dialogava con il senza fondo, il divino che ogni essere è.
Sarà un tempo dopo la minaccia
1.
Sarà un tempo dopo la minaccia
oscura del più scuro tono del tempo
appeso all’appena passato fervore
dell’ubriacatura dell’espansione
variabile come chiarore tranquillo
suo spazio camera dotata di vampa
affondata nella profonda caverna.
2.
Sarà un tempo dopo la minaccia
salito al giorno eccezionale stimolo
della schiena per sempre intiepidita
da più voci variabili liquide ombre
notturne più sode del vanto supino
ritmico notturno ah quanto stupido
di una stupida scarna attesa d’alba.
3.
Sarà un tempo dopo la minaccia
qualcosa di troppo notturno serio
rumoroso consumo d’amore questo
pianto dorato brevettato alla soglia
del mattino la sua pelle sfogliata
cara alle vetrine e poi giù il vento
questo caro vento ancora invernale.
4.
Sarà un tempo dopo la minaccia
questo andare dove il mare scivola
sulla testa notturna la stessa parola
che ama con insistenza la liquida
meraviglia del senso acquatico
che soffre per sorgere all’antipodo
sesso tattile suo nero stupefacente .
5.
Sarà un tempo dopo la minaccia
il paradiso dei desideri l’oscuro
sentore della strada dentro la nebbia
l’assoluto buco sulla fronte l’arabesco
del pensiero negato suo volto
rapito proteso al veloce infinito
ma lo stesso suo gran fiore rassegnato.
6.
Sarà un tempo dopo la minaccia
che scava nel suo corpo visibile
annidato nel gioioso corredo ma
fresco di gas nuovo rapido spasmo
coltivato eppure sereno del suo vino
dell’attimo solo trasportato dal vento
per un attimo solo svaporato e nudo.
7.
Sarà un tempo dopo la minaccia
la grande campagna ma finta allegra
come il freddo occulto sudore diurno
dei suoi quadri villani padroni sani
della pazienza santa ombra forzata
oppure infuso suono di scavata arte
di santo corpo confidente perduto.
8.
Sarà un tempo dopo la minaccia
quella strada il trapano tenuto
fermo le sue mani il tempo remoto
forse tranquillo imperfetto padrone
di tutto il sale venduto sgorga
lungo la costa del ventre rotolato
nel sapore scuro annidato respiro.
9.
Sarà un tempo dopo la minaccia
il risveglio spettacolare di questo
tempo sfasata fragile illusione
bene mistico scivola nelle cose
lo spettacolo un capriccio agitato
oppure bellezza triste osa stringersi
alla grande lignea bocca orgogliosa.
10.
Sarà un tempo dopo la minaccia
questa scura passione fatica oppure
seme nervo mutato da quattro lune
chiamato destino occhiate al corpo
tremito marino come dose scorretta
di luoghi incerti di tempi scaduti
fa piacere salvare la faccia stupidi.
11.
Sarà un tempo dopo la minaccia
contro la sua finestra regole sospette
eccessi di coste ventose ma spie
bloccate dal ricordo estasi confidenti
risuonanti congiunte talvolta volute
dall’astio sprangato ma come sanno
questi fiori ah non moriranno mai.
(2009)
Elio Grasso (Genova, 1951), poeta, critico e traduttore (W. Shakespeare, T.S. Eliot, Wallace Stevens, C. Corman, tra gli altri ), ha pubblicato le seguenti raccolte: Avvicinamenti (Salerno, Ripostes, 1983), L’angelo delle distanza (Modena, Edizioni del Laboratorio, 1990), Nel soffio della terra (Genova, Guardamagna, 1993), La prima cenere / Conservatori del mare. Poesia e prosa (Modena, Edizioni del Laboratorio, 1994), La soglia a te nota (Bologna, Book Editore, 1997), L’acqua del tempo (Caramanica, 2001), Tre capitoli di fedeltà (Udine, Campanotto, 2004).
Tra le plaquettes: Acque territoriali (North, 1977), Trauma delle forme (Nuovo ruolo, 1981), Teoria del volo (Campanotto, 1982), Sulla stella (Ripostes, 1985), L’alleanza della neve (Laghi di Plitvice, 1996), Un mattino da esodo (Dialogo Libri, 2001).
Della sua opera di traduttore e curatore ricordiamo: Four Quartets di T.S. Eliot (Bari, Palomar, 2000), Un solido nulla, passi scelti dallo Zibaldone di G. Leopardi (Genova, Pirella, 1992).
Sono onorato, stefano, dell'ospitalità e delle parole che hai riservato alla mia poesia.
RispondiEliminagrazie.
elio
vedrai che arriveranno anche i commenti. la tua è poesia matura, su cui è difficile dire qualcosa. ma il lettori di Blanc sono all'altezza...
RispondiEliminaSplendide. Grandissimo Elio.
RispondiEliminauna domanda a Elio: vedo che c'è una assenza quasi totale dei segni d'interpunzione.
RispondiEliminaPoi: non so bene spiegare il perchè, ma trovo una sorta di consonanza con L'arcano "Baghdad-San Francisco" di Jack Hirschmann
( qui: http://www.vicoacitillo.it/poesiam/072001.pdf )...
Fabiano Alborghetti
ops, non era una domnanda, era una richiesta lieve di spiegazione al perchè c'è una assenza quasi totale dei segni d'interpunzione.
RispondiEliminaFA
La sensazione è un brivido.
RispondiEliminaCome scossa sottile muove la nebbia che sta sopra le cose. Le fa in qualche modo più chiare, tagliandole nel loro vero tratto buio.
Una sorta di risveglio. Faticoso ma che lascia tempo alla meraviglia dei *fiori* che *ah non moriranno mai.*
Poesia che chiede molto, che dà molto di più.
ciao stefano elio fabiano e tutti!
iole
la questione dei segni d'interpunzione... nella storia della poesia non sempre sono stati usati... in questo caso avevo bisogno quasi di un accavallamento sonoro, di una rottura delle "dighe" semantiche e così ho abbandonato la punteggiatura che usavo da molti anni... tenendo forte l'attenzione soltanto sul ritmo e le assonanze, e anche con un uso surmoltiplicato della aggettivazione. Modello di questo "modo" è stato per me Adriano Spatola, a cui questi versi sono idealmente dedicati. Grazie Fabiano della nota riguardante l'arcano "Baghdad-San Francisco" di Jack Hirschmann che non conosco.
RispondiElimina-Elio
come(forse mi sbaglierò)una continuazione ideale - ma meno sospeso, più dentro il senso/nonsenso di questo tempo scampato alla minaccia - di "Questa mia ricerca/ aggiunge anni alla tua vita", ci proponi dieci, cento, mille letture differenti di segni e simboli possibili. Traduci segnali, eventi, oggetti, come se fossi passato da uno stato indecifrabile e vagabondo ad un chiarore fisico chiarificante (scusa il gioco di parole). La cosa che apprezzo è che non fornisci alcuna soluzione preconfezionata, limitandoti qui a dare quante più opzioni possibili perché ci facciamo la nostra ragione, ricostruiamo il nostro percorso attraverso le tue mappe, le tue visioni.
RispondiEliminaTi stimo, lo sai, Elio.
Ma posso anche comprendere l'importanza della tua opera andando al di là dell'affetto e della simpatia. Sono poesie molto belle. Grazie a te e grazie a Guglielmin per avercele proposte.
grazie anna, forse il "tradotto" dalla poesia sono io...
RispondiEliminapardon, il "tradotto" sono io, eg
RispondiEliminanon dare soluzioni ma porre l'intrico nella sua natura disvelante è proprio della poesia. Elio Grasso fa questo, appunto, come dice Anna Ruotolo.
RispondiEliminaun saluto a Fabiano e a Iole.
a Volterra da ragazzo ero rimasto colpito da certe botteghe di scultori di alabastro - non tutti "commercial-seriali", c'erano splendide eccezioni, quelle che mi emozionavano di più, dove la serialità di certi gesti non appiattiva la forma, ma rinnovava di scalpellata in scalpellata le vibrazioni di certe superfici, e volumi informati al modello riprodotto
RispondiEliminae ritrovo proprio quelle emozioni leggendo di Elio Grasso questi undici pezzi ad esordio anaforico
si riconferma l'impressione, già avuta altrove da suoi scritti, di un uso della costruzione lessicale che non lascia crepe dove possa insinuarsi acqua gelida che, appena ghiaccio, spacca
al di là di queste note di stima, osservo sul piano del contenuto una profonda assonanza con un sentire che mi attraversa da giorni, e che ben sintetizza Stefano: "germogli scardineranno il vecchio per rifondare il nuovo"
no, non è questo il tempo dei lamenti impotenti e delle rabbie riversate, ma dei cunei
Trovo che la potenza di questi testi risieda essenzialmente nella loro intrinseca, sorprendente asperità espressiva.
RispondiEliminaLa costruzione sintattica nominale (il più delle volte) risponde all’esigenza del poeta di rendere il messaggio profetico che promana scopertamente dai testi; in tal senso, gli incipit anaforici di ciascuna strofa (che nel loro insieme soddisfano ad una sola ampia voluta poetica) esprimono la problematica "visio" del poeta, il suo “sarà un tempo dopo la minaccia”.
La stessa articolazione in stanze di uguale ampiezza (7 versi ciascuna) conferisce altresì all’impianto generale una sua rigorosa compiutezza, pur nella furente e vorticosa mobilità delle immagini presenti in ogni lassa poetica. Ne deriva un linguaggio solenne e, al contempo, ostico, scabro, in forza sia della tramatura fonica, che privilegia essenzialmente i suoni aspri e vibranti (uso, non a caso, vibranti per riprendere una sensazione di Bertasa riportata nel suo bel commento), sia in virtù non già solo della privazione dei segni di interpunzione, quanto anche degli articoli di base; assenza, quest’ultima, seppure in parte controbilanciata dall’uso parco delle preposizioni articolate.
Una poesia interessante, insomma. E, dunque, i miei complimenti ad Elio.
Daniele Santoro
mi fa piacere che sia Bertasa e sia Santoro condividano la mia interpretazione e che l'arricchiscano con ulteriori elementi. Vorrei dire a Santoro: "interessante" depotenzia la carica eversiva dei testi, rischia di ridurli a mero materiale da laboratorio. i "cunei", i "germogli" danno forse con più chiarezza l'idea della poetenza destabilizzante (sotto il profilo linguistico e valoriale) di questi testi.
RispondiEliminaun grazie ad entrambi.
Il verso di anafora mi si rappresenta come un nodo per l'anello di versi che lo seguono, come il gancio di chiusura degli stessi
RispondiElimina(mi attengo ad una loro immagine circolare , perché questo per me è il loro andamento isomorfico, così senza segni di interpunzione e con l'accavallarsi nominale e strutturale già messo in evidenza da altri commenti)
gancio rappresentato da “sarà un tempo” che mi arriva come una vera e propria tautologia (“sarà” è già in essere tempo futuro) e dall'uncino che sporge in quel “dopo una minaccia”
così che i versi successivi a quello di inizio possono avanzare chiaroscuri
sia una preconizzazione del tempo a venire, senza per questo darlo per certo
( “per lasciarlo invece nell'oscillazione del possibile, in quella "soglia del mattino"” come tu gugl metti bene in evidenza, cioè in quella certa sospensione da vaticinio)
sia la rappresentazione di quel presente di minaccia (in quasi tutte le “stanze” è ambigua l'attribuzione delle specifiche dei versi se a “tempo” o se a “minaccia”, ed è in questa ambiguità, secondo me, la loro enorme forza e potenza evocativa, in questa ambiguità la possibilità di quell'anello del quale dico all'inizio).
Insomma, c'è un rimescolamento turbinoso che, “pur nella furente e vorticosa mobilità delle immagini” come dice Daniele Santoro, sfocia in una specie di focus – centro dentro il maelström (quel “germoglio” dentro il movimento degli elementi costitutivi del seme)
insomma se dovessi associare un quadro mi viene in mente “Snowstorm” di Turner.
Infine, i momenti preferiti: 1. 8. 11.
volevo anche chiedere se la scelta del 7 come numero di versi, si rifà appunto alla ricorrenza di questo numero in ambito religioso – nell'Apocalisse per es, e nella tradizione ebraico cristiana in genere
(a questo proposito aggiungo che “sarà un tempo” anche continua o dilata quel “c'è tempo per ogni cosa sotto il sole”...Qohelet).
Complimenti e grazie.
a tutti ciao.
C'è qualcosa di greco in queste poesie di Elio. Penso a Teognide. E anche qualcosa di biblico (forse mediato da Kafka). Mi piace la scansione precisa di questi versi, dove unità metrica e unità sintattica spesso coincidono, restituendo al lettore immagini di rara potenza.
RispondiEliminaCorrado Benigni
troppo acute queste utlime due riflessioni per aggiungere qualcosa.
RispondiEliminaad elio la parola
ci ritrovo (e ci sento) una musicalità antica e nuova e originale al contempo; ecco anche questo fa grande un poeta.
RispondiEliminasuono e ritmo qui creano senso.
un abbraccio
alessandro ghignoli
l'accuratezza delle letture, l'attenzione, mi lasciano quasi senza parole... non posso che ringraziare prima di tutto mario margherita e alessandro che non conosco personalmente, e poi gli amici che hanno lasciato parole con il loro passaggio qui...
RispondiEliminami spingete a riflettere su cose a cui dovrò per forza rispondere...
grazie!
elio
(elio.g@tin.it)
una poesia dovrebbe per necessità sottrarre le parole alle manipolazioni che le impongono i poteri dominanti a propria propaganda e giustificazione (es. durante una recente polemica parlamentare abbiamo scoperto che in Italia esistono le "sententiae contra personam"... se questa non è appropriazione indebita di vocabolario...)
RispondiEliminaquest'idea di poesia non è mia, ma di René Char, mediata da una "lectio" di Francesco Marotta qui a Brugherio la scorsa primavera
se passasse da queste parti Francesco, mi piacerebbe sentire la sua e se si ritrova o meno in questa discussione attorno al lavoro di Elio Grasso
(eh, vedo che di commentatori acuti non è scarso il paesaggio...) aggiungo solo, per arricchire le convergenze con Corrado Benigni e Margherita Ealla e Daniele Santoro, che quella che definivo come sensazione è in realtà anche aggrapparsi ad un'analisi metrica: 11 strofe numerate, di 7 versi ciascuna (numeri primi...! indivisibili...!), ma con una fittissima variabilità di "piedi" al suo interno (mai due versi identici si susseguono, e se anche identici per silabe non per accenti), oscillante fra il minimo del novenario e il massimo dell'alessandrino (ma c'è anche un "quattordecasillabo" che alessandrino vero e proprio non è) - con altre proporzioni, es. strofe solo di 7 endecasillabi, ecc. - si avrebbe una rotondità anche un po' fatua, un nobilitare a tutti i costi con versi carichi di tradizione una materia verbale che si vuole invece collocare su altra "altezza". La sensazione è che il poeta abbia voluto lasciare tracce di un suo "scavare" tra superfici lineari, proprio come quegli scultori di albastro che citavo, abilissimi nell'alternare su corposi volumi scabrosità e lisciature
Complimenti, come sempre, ad Elio e mi fa piacere segnalare alcune mie riflessioni scritte molti anni fa sull'opera di Elio:
RispondiEliminahttp://ivancrico.blogspot.com/2008/10/sulla-poesia-di-elio-grasso.html
La scelta del numero 7, così come del 9 e del 5 (talvolta dell'11), nei miei libri (quasi tutti quelli pubblicati) non corrisponde necessariamente a considerazioni filosofiche, non voglio attribuirmi conoscenze (o meriti, non so) che non ho... certo è che la bellezza dei numeri primi, ma anche del 9 che "primo" non è) mi ha sempre coinvolto, senza contare che la suddivisione simmetrica in letteratura mi affascina da sempre, come se ci fosse bisogno di un "piccolo ordine" in quello che mi sembra apparire come caos in cielo e in terra. Non tanto per eleggermi a una sorta di spirito coordinatore, ma per regalarmi una briciola di apparente buonsenso del tutto "personale", come dire: per salvarmi la vita con la poesia (così come diceva Wenders riguardo alla musica rock), ho proprio bisogno di costruirmi una geografia dove aggirarmi, guardarmi intorno, senza troppa paura. Ricordate i dialoghi nel film "Stalker" di Tarkovsky? ecco, da decenni (fatte le debite proporzioni, per carità) mi aggiro in un delirio simile.
RispondiEliminaE poi, come dice Stefano, mi porto dietro la storia della poesia cosiddetta sperimentale (anche se ci starei attento con certe definizioni, provate infatti a leggere oggi Antonio Porta) degli anni 70, soprattutto Porta, Spatola, Costa, Villa, Dal Fabbro, Cacciatore, "peso" non da poco, da cui mi pareva di essermi allontanato, e che invece in questi ultimi anni mi si è riproposta prepotentemente. Ma lo so perché: la storia corrente della poesia italiana del secondo 900 andrebbe ampiamente riscritta, troppi poeti sono stati sottovalutati o racchiusi in un limbo che definire scandaloso è poco (e non riguarda soltanto una certa area: due nomi per tutti, Calogero e Anna Cascella Luciani, che non possono certo definirsi "avanguardisti"). Da qualche tempo c'è un risveglio di attenzione verso questi autori, da parte di alcuni critici, e questo mi sembra un buon segno: penso soprattutto al lavoro di Cortellessa svolto nella collana Fuoriformato dell'editore Le Lettere.
Tutto molto complicato, miei cari, il discorso si fa arduo, e va ben oltre quel che concerne la mia piccola esperienza poetica. Ma è importante che qui o altrove se ne parli... Dunque, grazie di cuore a Stefano e a tutti voi.
elio
Ho letto e riletto i testi di Elio, con l'attenzione che sempre si deve alle scritture che sono un necessario, ineludibile termine di confronto, e dalle quali soltanto è possibile imparare.
RispondiEliminaRipasserò stasera.
Un saluto a tutti.
fm
Caro Mario, ho riletto tutti gli interventi e ne ho tratto la convinzione (su "Blanc" mi succede spesso) che quando un thread contiene commenti di questo spessore, non c'è critica accademica che tenga.
RispondiEliminaSe metto assieme il senso di ogni contributo, a partire dalla nota di Stefano, che sottoscrivo, ne esce un profilo molto ben delineato, nei suoi tratti essenziali, della poetica di Elio.
Alcune immagini, comprese quelle che si ricavano facilmente dalle tue similitudini, mi rimandano netta quella "luce murata" che emerge dal meticoloso, artigianale, mirabile lavoro di sgrezzamento dell'ombra di cui ho avuto modo di parlare a proposito di altri inediti di Elio (credo che nascano dalla stessa temperie, o che facciano parte dello stesso progetto): ritagliare nei versi un margine mobile, come un fascio di luce proiettato da un faro, e osservare lo sciamare irrequieto della marea del buio: senza mai dimenticare che noi siamo ai piedi del faro, e che ai piedi del faro non c'è luce: siamo parte del migrare dell'ombra - nella quale cerchiamo di lasciare un segno della nostra mano che cerca di fermarne il corso.
fm
condivido l'impressione di Francesco sulla qualità assoluta degl iinterventi che accadono, come un miracolo, su Blanc.
RispondiEliminasul verso di 14 sillabe: lo possiamo chiamare "martelliano"?
sulla poesia "sperimentale": volponi (altro grande della poesia novecentesca) distingueva - con Leonetti (autore eccellente) - tra poesia sperimentale e poesia d'avanguardia. Sperimentale è ricerca spesso solitaria, ma con l'occhio attentissimo all'ora e alle tradizioni; avanguardia è metodo che chiude la ricerca entro coordinate di gruppo e tende alla stereotipia.
elio, come tutti i poeti, fa ricerca ossia sperimenta la propria voce in relazione alle infinite voci che lo attraverano in quanto "animale sociale". In quetso senso, anche ungaretti e montale fanno poesia sperimentale. e anche porta, specie quando si sgancia dai "novissimi". ma anche lì, il suo timbro si sente.
ciao!
La grande poesia è sempre "sperimentale". Tutta la poesia "dovrebbe" esserlo.
RispondiEliminafm
"bloccate dal ricordo estasi confidenti" è un bel verso martelliano, o alessandrino che dir si voglia, che è tale perché doppio settenario, proprio per gli accenti in 6a e 13a posizione
RispondiElimina"l’assoluto buco sulla fronte l’arabesco" pur essendo di 14 sillabe ha un bel "buco" accentato in 5a posizione: per quanto quattordecasillabo, non credo lo si possa dire martelliano
(non prendete per oro quel che cola, perché non sono un metricista, è che mi sta a cuore approfondire la materia per "sperimentalmente" reimpastarla)
e notare che questi due sono gli unici versi di 14 sillabe di tutto il "poemetto", quindi ribadisco le ragioni "scientifiche" della percezione di una procedura scritturale che ottiene un'estrema mobilità interna della materia fonico-ritmica pur dentro le scansioni geometriche dell'impianto
e sapere da Elio della sua "mania" per i numeri (primi o magici, o aurei, ecc.) mi dà credo la stessa sensazione del cane da tartufo quando trova scavando dove ha annusato giusto
ma mi dà anche l'emozione di trovarmi di fronte ad un'autentica lezione di umiltà, per come parla del suo fare poesia
un po' come quella di Francesco, che loda i thread di questo blog senza citare affatto quelli che lui sa attrarre nel suo...
(e sarebbe utile, Stefano, approfondire la vasta questione sperimentale/d'avanguardia, ma in altro luogo, ovviamente!)
Ti leggo da qui, elio,
RispondiElimina"dal bel laghetto
sotto la scrivania
dove coltivavamo rane"
Un bacione
aida
certo è, che le ultime proposte, Grasso, Franzin, Febbraro, Broggi e i commenti che ne sono seguiti, stanno contribuendo a rendere questo luogo davvero germoglio e cuneo.
RispondiEliminaComplimenti a Stefano e se posso anche a Francesco, per questa luce
che si vede da lontano.
Un abbraccio, vincenzo celli
grazie a tutti, davvero tutti, mi avete insegnato molte cose, qui...
RispondiElimina(quello che intendo dovrebbe sempre accadere nei "veri blog" di poesia (che poi sono la versione moderna di quanto storicamente accadeva nelle riviste e giornali letterari), come quelli curati da Guglielmin e Marotta)
elio
grazie a tutti voi per questi commenti e questa spinta che mi date per continuate questo lavoro. sono inoltre fiero che facciate il nome di Francesco Marotta in questa occasione. anch'io ho imparato molto da lui e continuo ad imparare.
RispondiEliminaLeggo la pesia di Elio Grasso da anni e da tutto questo tempo sono attratta ,ovviamente, dal suo indiscutibile valore di poeta. Sempre però pensando che egli corra su quel filo di rischio
RispondiEliminaintelligentemente pieno di pensiero alto che potrebbe però costituire un suo sofisticatissimo "esecutore". In tal senso mi permetto di avanzare un'ipotesi: se Elio peccasse di minor pudore emotivo e mettesse al centro del suo scrivere la febbre spaventosamente umana che si trascina dietro da sempre, diventasse più "furioso", pur dentro i canoni della sua eccellenza, allora davvero sarebbe superbo.
Cristina Annino
consiglio prezioso, direi.
RispondiEliminagrazie Cristina.
A me sembra che la poesia di Elio qui abbia una furia astratta molto forte e molto umana, al di là delle fortezze di parole che spesso la sua poesia genera come propria struttura intrinseca. Sono tavole sintattiche, ponti durissimi. Sono un insegnamento ai poeti a costruire il proprio buio con meticolosa ossessione.
RispondiEliminaMarco
se lasciassi il pudore, e mettessi in piazza la mia febbre, diventerei uno dei tanti incantatori di sentimenti... e poi non ne sarei capace. non narro, scrivo poesie. questo è tutto.
RispondiEliminacome ha sempre compreso, prendendomi (e prendendoli come sono, i versi) come sono, marco ercolani.
immagino che l'ultimo commento sia di Elio. giusto mettere le mani avanti: la febbre può incantare o distruggere. meglio seguire la poesia, che ci conduce là dove vuole lei.
RispondiEliminaun grazie a Marco Ercolani per l'osservazione critica.
ah scusate, sì il commento - forse un po' troppo reattivo - è mio.
RispondiEliminaelio
Bellissime le poesie di Elio Grasso e il suo recente commento al volume di Cummings su "Poesia"!
RispondiEliminacome posso mettermi in contatto con questo grande mio coetaneo e conterraneo?
Pietro Sarzana