mercoledì 7 ottobre 2009

Francesca Sallusti



Opera prima di Francesca Sallusti, La lepre cede il passo all'oro (L'arcolaio 2008) gira in rete da parecchi anni, anche se non in stesura definitiva. Già nell'ottobre 2005, su Absolutepoetry, rispondendo ad una provocazione di Christian Sinicco, Jacopo Ricciardi scriveva: «Nutrire l’animo, è questo quello che lei vuole, e come una cerva in un bosco rizza di colpo le orecchie per un rumore, così lei utilizza la poesia nei confronti del mondo, nutrendosi di essa come una materia primaria dell’uomo, per la sua vita, lavorandola come si lavora l’istinto». E Lorenzo Carlucci, nel medesimo post, aggiungeva: «Penso sia costitutivo della poesia di Francesca, della ricerca di "purezza" che la muove, e "nudità", il distacco dal ritmo e il tendere verso una forma epigrammatica, o di narrazione arcaica». Quando Gianfranco Fabbri, inaugurando la collana "I germogli", nel febbraio 2008 presentò il libro sul suo blog, ne evidenziò, fra l'altro, la connotazione luminosa e ferina: «La luce, - scrisse - ovunque lungo i vari testi, è posta in grande rilievo; essa, comparata al ragno e ai reticoli della moderna metropoli, pare un elemento pernicioso e penetrante. La ferinità è poi in dotazione pressoché esclusiva di agguerriti aggettivi possessivi, a dimostrare sia la gelosia del sé sia l’essere madre in senso lato (non solo del figlio, ma della polis tutta)». Ancora, nella densa postfazione, Stelvio Di Spigno afferma: «La lepre cede il passo all'oro è una raccolta di versi nella quale la disarmonia del vivere quotidiano si riempie di simboli preziosi, di chiaroscuri ricchi e viziosi, di echi deformanti, di continue slabbrature che mimano la causalità della vita».

Ciò che accomuna questi quattro autorevoli giudizi è il riconoscere l'elemento arcaico presente nella poesia della Sallusti, il contatto con le forze ctonie, che – mi verrebbe da dire – non diventa incendio, ma si condensa in frasi paratattiche e lisce come la verità monda dall'inferno. Inferno che tuttavia ancora s'intravede e pulsa e tiene la poetessa viva sulla soglia di una reggia diventata casa popolare, come una Clitemnestra pasoliniana, che canta sulla strada sterrata e fradicia dopo un temporale. Il suo canto patisce lo stesso smottamento, la stessa precarietà, che è quella del mondo moderno, luminoso eppure malato, solido soltanto nelle copertine patinate e nella retorica del potere.



Dicembre

In quel tempo la luce premeva nel cielo
e il cielo giaceva nella stanza, ci portava il ristoro,
chino su di me come fosse il casto rifugio prima del cammino.
La volontà si sporgeva in quel giaciglio e glorificava il mio corpo.


*

Lasciammo quelle pareti calde,
la delicatezza della prima mattina e l’ultimo gioco.
Lui cerca la parola lungo il corridoio assolato,
in questa luce che riscalda le ossa a chiunque la trapassi.
C’è solo questo cammino di linee di ferro illuminate dal sole,
le sacche sbattono sulle gambe come cuccioli di giraffa.
Nel cuore un pendio, le braccia si cingono l’un l’altra.

[...]


lettere a mio marito

L’Amore
Si masturba con le scarpe del nonno, riposte nell’armadio di noce.
È devastante.
La mattina morde gli angoli dei biscotti piangendo tra i muri rossi.
Lavora nel turismo sessuale sotto il sole con le scarpe del nonno.
La sera è di fianco.


*

Caro marito,
oggi stiamo insieme sei di là, Teresa ti sta accarezzando la testa
di nascosto. So che ti ama molto, dille che per me è meraviglioso...
Dille di venire a vivere qui con noi... So che non sa dove stare...
Dille che quello smalto le sta bene, quando si passa le mani
sulle labbra e piange ti guarda. Oggi mentre dormivi sono andata
con tuo figlio in battello... è disperato, è molto vivo, ti somiglia,
ha la stessa pelle divina... Sotto quella carne c’è lo stesso mondo.
Mi ha dato un bacio. Si è innamorato, ci siamo fumati
una sigaretta dove lei passa sempre... Ha le caviglie devastate
è felice.


*

Caro marito, oggi `e morto mio padre! Lo so, lo sai... eri vicino
a me, eri metallo vicino alla sua bara laccio vicino alla sua bocca
mano sulla mia gamba. Io non ho sentito niente, ma tu soffrivi.
La prima volta che ti ho visto eri di fronte a me radioso, sulla
sedia di paglia, e i tuoi capelli ridevano, i tuoi riccioli insabbiati.
Io sono salva, giuntura di dio, tu l’altra mia gamba tra le luci
aranciate, il mio rigore. Quanti anni avevi? La mia indifferenza
è un fardello. Domani insieme.



Claudia


Vorrei essere la signora di mezza età
alla fermata dell'autobus
che indica il numero
alla sua amica.

Vorrei essere la donna con il bimbo in mano
ancora gravida.
Vorrei essere la ragazza che cerca la via
lontana dal suo quartiere.

Invece sono una puttana con il suo bambino.

Vorrei essere l'uomo che giace
e un muro di casa
rinfrescato dalla pioggia di fuori
dipinto di un colore
ben intatto, non rovinato
dal tempo e guardare i miei cari mangiare.

Vorrei essere la mano che dirige
un piccolo veicolo
nel pomeriggio mite di un giorno autunnale
vorrei essere un individuo caro al tempo.



Primavere e visioni


*

Il pastore, nelle polveri, come candidi infarti.



*

Donne aprono libri come foglie di tè nei lombi delle lune.



*

La lepre cede il passo all’oro.





Altre poesie su Reb Stein

Francesca Sallusti è nata a Roma nel 1976. Lavora come insegnante di portamento in un'agenzia di moda e pubblicità a Roma. E' autrice dì cortometraggi. Suoi testi sono apparsi nell'antologia "Da Napoli/verso" a cura di Antonio Spagnuolo e Stelvio Di Spigno (Kairòs, 2007). E ' stata finalista al premio De André 2006.

9 commenti:

  1. Penso che Francesca sia una voce interessante, nel campo della odierna. E' vero ciò che afferma Stefano: la dissi ferina e luminosa. La maternità come elemento affatto animale. Felice di avere pubblicato quest'opera così icastica e corroborante.
    Un abbraccio alla "poeta" e uno al mio direttore.
    Gianfranco

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  2. ...della odierna poesia.

    scusate.
    Gian

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  3. la qualità, d'altro canto, è la cifra delle tue scelte editoriali.

    gugl

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  4. andrò a leggere le altre, sì.
    di questa mi convincono/piacciono le "lettere a mio marito".
    le trovo quasi rasserenanti...
    s.

    ps @ francesca: facciamo a cambio? (tuo libro/mio libro)

    ps @ gugl: ne approfitto sempre...

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  5. finché si tratta di questo, fai pure :-)

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  6. marghe ealla8/10/09 20:25

    anch'io "le lettere a mio marito", non solo per la capacità di condurre il verso, ma per la capacità di scostare l'amore dalla visione (spesso femminile) del "mi" "mi" (come di un miagolio a chiedere) per offrirlo nel suo movimento turbativo, disorientante;

    alla larga perciò dalla retorica dell'"l'amore è"
    lo si presenta qui "che si masturba", o che "Lavora nel turismo sessuale" e allora sì, attorno che riecheggia:
    "è devastante".
    o ancora:
    "caviglie devastate/è felice."
    Questa sì dunque una possibilità di definizione.

    Trovo anche molto interessante il "filo" (anche ambiguo) fra gli attori: quelli maschili che rivestono diversi ruoli "canonici" e di appartenenza (nonno, marito, figlio che pure essendo di lui si innamora come qualunque figlio della madre, padre)
    e l'"altra" femminile (forse la madre del bambino), della quale però non si sottolinea l'antagonismo, anzi la complicità (che bello! altra diversità rispetto a tante rappresentazioni d'amore).

    Questa la mia lettura.
    ciao

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  7. "vorrei essere un individuo caro al tempo".
    Nonostante le contaminazioni del mondo, questi testi arrivano limpidi, puri. Si parla di donne, di uomini, di bambini, ma è come se si parlasse di angeli...
    Mi sono piaciuti molto, complimenti a Francesca... e un saluto a Stefano.

    Stefania

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  8. due punti di vista femminili di sicuro interesse. e anhe, mi pare, contrapposti: nel primo si celebra la terra, nel secondo, l'aria.

    è proprio della poesia comunicare, nel medesimo tratto, l'una e l'altra.

    ciao!
    gugl

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  9. quello che stavo cercando, grazie

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