Le poesie di Reliqua Realia (lampi di stampa 2009) sono state scritte tra il 2005 e il 2007, nel pieno della vita reticolare di LiberInVersi il blog messo in piedi da Massimo Orgiazzi per mappare scientemente il panorama poetico italiano, anche quello del sottobosco. Proprio nel 2005, egli postò un breve saggio di Marco Giovenale, già uscito sull'"Almanacco del Ramo D'oro", intitolato Freddezza e persistenza del senso, nel quale il poeta romano rifletteva sulla contaminazione delle arti e sulla scrittura «a freddo», quale «forma di senso-non-senso, ossia come eco familiare dell'enigma che chiamiamo "oggetto estetico"». La definizione ha sicuramente agito sulla poetica del Nostro: l'opacità dei testi e la quasi assente tonalità affettiva, frutto di una ragionata decantazione sintattica e di una colatura versale cesellata, appunto, a freddo, ne sono il frutto più evidente. Reliqua Realia porta tuttavia incisi nel corpo tanti altri segni, attinti da ambiti differenti e utilizzati al fine di sostenere, da fedeli amici, il viaggio dell'autore tra le pieghe di «un essere minimo e tragico», che, a suo dire, «ci conduce nel franto». La stessa struttura portante è assegnata a cinque nuclei arcaici, alcuni esagrammi del Libro dei Mutamenti, ciascuno messo in esergo dei capitoli, ad indicarne la formula, la chiave di lettura. A questi, egli accosta citazioni mutuate da decine di autori, specialmente poeti, cui attribuisce il compito di incanalare meglio la traccia aperta dall'esagramma. Complessivamente, ne esce un progetto teso a fissare le metamorfosi attraversate da un soggetto in fieri prima di abbracciare il proprio destino; Reliqua Realia racconta insomma l'inferno gelido di un uomo, che cerca il coraggio per superare la contingenza, avendola percepita come qualcosa che è giunta al tramonto.
Hell in repeating
Eccolo l’inferno, libro chiaro:
l’ho allineato amaro
goccia a goccia di pioggia
di selciato estivo
di schiene morte in pietre
di enormi vomeri animali in selce
e vivo, di fuoco umido, d’odore
spento, di recedere e ridarsi sempre
in circolari cecità irredente
di gole aperte e schianto.
Eccolo: a me presente,
figlia: il tuo fiato d’occhi d’osso
segue un padre storto,
malandato. Certo: lo era.
Lo è nel muoverti, le medicine
in mano: un volto lo si sceglie
ed è le doglie di via: la frontiera.
***
Ci siamo già detti di quel cielo bianco, dell’aria più fredda
delle date in partenza, la fine d’agosto, la nostra auto stretta?
Mai detto di niente, di quei pomeriggi di prima dei secoli,
del sole di perla, in centoventisei, finiti i miracoli ?
Di quel mazzolin, cantato, provato per giorni
e poi singhiozzato su un’utilitaria, fingendoci eterni.
E via le montagne, la scabra autostrada per centro-città,
il sonno bambino stendeva una sua serena pietà.
Ed anche stasera che mi sono arreso, ho ammesso la vita
la serie di storie che tornano sempre, la sera imbastita
al sole di adii, (vedi la luce, si guarda più indietro)
un sonno più adulto distende distanze – di ghiaccio, di vetro.
Affondo
Si termina a valle un’estate con l’odore di fieno
bagnato ed è la sera a condurre, con la sua luce
di arcobaleno scaduto, al caldo dei muri,
alle formiche, alle corse fuori e dentro
le crepe, ignari del conto,
del dato e mai preso in ritorno.
Ci si siede. Una panca di roccia granitica
ingrigita alle notti
..................................settentrionali
all’ombra ai lenzuoli (sventolavano
a vela matrimoniali gli orli di pizzo,
le doti promesse e le canfore)
ha su di sé le topologie più sbandate – come la storia,
le date, le curve –
......................e sottoinsiemi ennesimi
per ere separate in vissuto e larve
lacrime d’ambra e quasar di quarzo ialino
in ammassi stellari infinitesimi.
Un gatto non rosso non nero che guarda
da oltre la strada, si attarda e aspetta che il rumore
di un auto lo spinga nell’una o nell’altra corte.
E anche: è un computare la sorte, prima
i semi, poi le figure sulle carte, finire
investiti, guadagnarsi la morte, o sostenere
gli stilemi del tempo e del mondo
dando a questo il suo peso molare e a quello
il ripetuto tono di strage che sta nel cercare.
La vita liquida
Qui si sta ad ascoltare
giorni strisciare sul fondo abrasivo,
sul pavimento del bagno mai pulito, si perdono
chili, nozioni di cinema e fisica
vecchie canzoni di quando s’era marinai
insieme bambini, eroi – i nastri rossi ai capelli.
Perdite idrauliche
unità di tempo arbitrarie
più danni di mesi, meno di anni
piastrelle crepate
“le so fissare per ore”
“ma è ora di pranzo”
grazie ancora di cuore di queste misure
la vita che liquida cola nelle fessure
Semplice la fine
Non ci sono: ho raggiunto il tono labile, la trasfusione
di pensati, concetti esatti che tu passasti alle mie labbra
un bacio, un’emulsione di pellicola e la messa a fuoco
perfetta dell’immagine, anamorfica del buio che fosti
abile a raddrizzare: insieme in cima a respirare mosti
a vento, l’infinito non è che accostamento di spezzoni,
la scelta non casuale di contrasti, variazioni di stupore all’ora
in cui ritorna il tempo, declinato astratto, senza sentimento;
il cuore (tu lo dici) è solo la versione precedente di un contratto
asintattico, scritto calligrafico (come scrivi bene, mi dicesti);
e la tua guancia affiora dal cuscino ancora intriso
di primo tentativo, sfondo cielo, inviso – vivo – gelido
di luce olivo chiara come ci apparvero i paradigmi
delle distanze lunghe, pomeriggi in fondo al sole, muri
screpolati, infiggersi d’avventi attese: come
mi guardavi, partendo. Una leggenda di silenzio.
Vorrei vederti scendere le scale sola, nel crocicchio
di questi capodanni. Ce l’avranno i freddi di qualsiasi
stagione uno scalino che ne ferma la discesa.
Com’è semplice la fine, la sua accoglienza.
Messaggi non inviati
Di cose se ne va: di un lento
che non è proprio, steso alla campagna
che nella spiegazione perde tanto;
ne è, di silenzio sopra e frana
ma non chiude – rimane aperto a nuvole
di fianco bianche per analogia.
Risaie: voi le vedete così instabili
nell’oretta viola che precipita emorragia,
nell’andare svelti, ingrati tra un’implosione
e l’altra, in fini tiri e flussi solitudini:
memorie sono le file sfoglie e buone
di ciò che sfugge a brezze radiofoniche,
che torna su a giri liberi, leggeri e sfiora
immagini richiuse dentro i margini di icone
poi nei mattini: quel che manca è l’ora.
Ecco a noi andare di stanza in stanza
a volo di comete e scorrere di sere
violette ed io e te più certi d’essere più fermi
quantunque viali vadano distali a velocità
costanti, in stati consci e rem dispersi,
in viaggio come messaggi non inviati:
la stanchezza è in stasi ritrasmessa
di vecchi ed operai stare tristi agli steccati
di ridere a vedere soli infosforire il verde
pizzicando l’acqua piovuta tardi non in fase
.
mettere il punto per concludere una frase.
Massimo Orgiazzi è nato a Torino nel 1973, ma vive e lavora in Valsesia, nel vercellese, dal 1990. Ingegnere meccanico, nel tempo libero scrive e si occupa di rassegne e attività cinematografiche. Nel 2003 ha pubblicato la raccolta di racconti brevi Gli aerei volano ancora per l’Editice Clinamen di Firenze. Sue poesie sono state raccolte in riviste e rubriche on-line (tra cui Sinestesie, L’Ulisse, Dissidenze, Rotta Nord Ovest e Absolute Poetry) e in alcune antologie, tra cui Dedicato a… Poesie per ricordare, Aletti Editore, 2005; Il Segreto delle Fragole – Poetico Diario 2006, Lietocollelibri, 2005 e Verso i bit, Lietocollelibri, 2005. Ha creato nel 2005 il blog LiberInVersi, muovendo dall’esperienza maturata nei gruppi di discussione di Usenet e che ha come fine la divulg(azione) poetica e la diffusione di letture critiche essenziali sui testi contemporanei. Collabora con le riviste "Atelier" e "Pagina Zero." Nel 2006 ha fondato la rivista letteraria on line "L’Attenzione".
il testo introduttivo qui postato è l'incipit della mia prefazione.
RispondiEliminaGrazie Stefano per questo spazio dedicatomi, ovviamente in aggiunta al grazie già formulato per la preziosa prefazione. Il libro è uscito come detto in maggio e in effetti il tempo dedicatogli finora non è forse congruo. Spero di poter rimediare: questo tuo gradito gesto è un primo passo.
RispondiEliminaOvviamente ero io, Massimo :-|
RispondiEliminaMassimo,
RispondiEliminaera ora!
;)
fabiano
Ehm, sì, sono stato un po' assente dalla rete in questo ultimo periodo, e in generale abbastanza in silezione sulla questione scrittura. Questo corrisponde ancora con una fermata, se così si puà definire, della mia «produzione», sia poetica che critica. Questo ha per certi versi favorito la pubblicazione del libro qui segnalato, grazie soprattutto alla segnalazione che Silvia Monti mi aveva fatto della collana Festival di Lampi di Stampa. Valentino Ronchi ha fatto dal mio punto di vista un ottimo lavoro di curatore di collana e l'operazione Lampi di Stampa ha infine incluso anche il mio titolo. Personalmente ne sono rimasto molto soddisfatto, anche per come l'editore ha tenuto in conto finora la collana e i suoi autori.
RispondiEliminaForse a Fabiano piacerebbe sapere se il progetto "Liberinversi" è ancora in piedi.
RispondiEliminasono d'accordo sul lavoro accurato di Ronchi e sulle sue scelte editoriali.
gugl
Ahinoi, Stefano (e Fabiano) dire che il progetto LiberInVersi sia ancora in piedi è un pizzico azzardato, dopo ben 10 mesi e più di stop. Sarebbe per carità tecnicamente errato anche dire il contrario, ma il peggio forse è l'averlo piantato lì nel limbo, non quello dei famosi celeberrimi poeti forse, ma un limbo non meno tenace. Come detto almeno un paio di volte, per dichiarare che il progetto LiberInVersi in qualche modo prosegue, servirebbe almeno un evento che lo dimostri ed ad oggi ahimé questo non si è ancora presentatato (lo dico con un terribile senso di colpa). Insomma al momento non si possono fare dichiarazioni precise su LiberInVersi, anche se purtroppo la fermata cui è stato sottoposto è stata insieme causa e conseguenza (un po' paradossale) della fermata di entusiasmo che l'ha generata. Un cane che si morde la coda, insomma.
RispondiEliminaIntanto passo velocemente per dire che sono felice del libro, e salutare Massimo e gli altri intervenuti con affetto. A domani, con più calma, per due chiacchiere un po' più approfondite.
RispondiEliminaFrancesco t.
Saluto ricambiato, Francesco, un piacere risentirci.
RispondiElimina(up)
RispondiEliminaMassimo O.
Ben tornato, Massimo.
RispondiEliminaUn abbraccio.
fm
Grazie anche a te, Francesco M. Un abbraccio.
RispondiEliminaM.
Ripasso, come promesso.
RispondiEliminaAlcune cose che mi colpiscono della scrittura di Massimo:
l'utilizzo di così tanti termini scientifici in un contesto diverso, riuscendo a mantenere il ritmo, una sospensione, e trasmettendo qualcosa che (almeno per me) in certi momenti è più una sensazione che un significato. E' una forma di artigianato prezioso - lo dico nel senso migliore del termine - utilizzare ciò che si possiede in un contesto così diverso, non solo utilizzare ma riuscirci.
Il dividere in modo fulminante le azioni e le cose negli istanti che le compongono: "l'infinito non è che un accostamento di spezzoni", ricorda l'avanzare del cielo costruito di piccoli ritardi (so di non citare perfettamente e me ne scuso) di un'altra poesia di Massimo, che già allora mi colpì tantissimo.
Se non si è capito mi piace molto questa poesia.
Francesco t.
Grazie Francesco per quanto scrivi: «una forma di artigianato prezioso» è forse il più bel modo che abbia mai visto usare per descrivere quel che scrivo :) non che creda sia poi davvero artigianato «prezioso». Mi basterebbe già che fosse un lavoro artigiano e basta. Grazie comunque per l'apprezzamento.
RispondiEliminaMassimo
un caro saluto a massimo da antonella p. - mi fa piacere leggerti.
RispondiEliminaGrazie Antonella. Un piacere risentirti.
RispondiEliminaM.