Dal numero 40 di Anterem (giugno 1990) riporto questa dichiarazione di poetica di Mario Moroni, esemplare nell'indicare lo scarto fra la poesia degli anni settanta e quella degli anni ottanta: "II testo del 1979 (Qui finisce la sentimentalità) era segnato, già nel suo titolo, da una mia formazione culturale che aveva avuto come basi la neoavanguardia italiana degli anni Sessanta e, più in generale, la nozione di avanguardia come si era venuta delineando dalla fine dell'Ottocento fino alle avanguardie storiche. Questo testo era attraversato dalla consapevolezza che alla poesia non si potessero affidare compiti di salvazione dell'uomo, né tantomeno di facili e dirette identificazioni con la realtà e con il vissuto. In quel momento la mia ipotesi operativa era di svolgere una ricerca che fosse contemporaneamente un atto critico verso il linguaggio stesso. Ciò implicava che ogni poesia fosse in qualche modo una "poesia sul fare poesia", affidando a questa scelta tautologica il compito di rimettere in discussione quelli che erano i meccanismi scontati della comunicazione estetica e non. Nello stesso tempo si delineava il tentativo (di cui le due strofe qui presentate sono un esempio) di operare una ricostruzione che investisse sia il livello sintattico sia quello semantico del verso. Vale a dire il tentativo di riattivare circuiti del significato, un tentativo che conteneva le premesse dello sviluppo che i miei testi poetici avrebbero avuto nel decennio successivo.
Venendo al testo del 1988 (Paesaggi Pavesiani I), si può notare già ad una prima lettura come la prospettiva semantica e sintattica si sia notevolmente aperta, in vista di maggiori possibilità di comunicazione. Dalla rigida e "crudele" fissità straniata dei versi del 1979 mi sono spostato verso una maggiore disponibilità alla mobilizzazione dell'immagine poetica. Da una struttura sintattica rigidamente costruita (verbo + sostantivo + aggettivo; oppure soltanto sostantivo + aggettivo) mi sono spostato verso una sintassi più flessibile, che potesse contenere scarti semantici sottili, riferimenti a fili della memoria e infine la reintroduzione di referenti legati alla natura e alle sue possibili connessioni a livello d'immagine (descrizione di luoghi e ambienti, paesaggi, ecc...). Sul piano del messaggio poetico dovrei segnalare ulteriori spostamenti, filtraggi. Mi limiterò a dire che ho cercato di assumere e riassumere la funzione "critica" della scrittura poetica in una serie di segnali minimi, allo scopo di farla scorrere come una linea sotterranea nel testo. Ma senza trasmetterla con un tono troppo eclatante che potrebbe produrre segnali definitivi e definitori, nel senso di indicare con certezza dove la poesia deve andare a parare, dove deve colpire. Tutto ciò nella convinzione che i percorsi della scrittura richiedano trasformazioni degli atteggiamenti e delle modalità compositive; e nella convinzione che la cosa più importante per un autore sia continuare a lanciare segnali, a lasciare dietro di sé tracce che inducano a una lettura complessa, come complessa è l'operazione di scrittura.
da Qui finisce la sentimentalità
1
lasciandola al suo posto abbandonando locuzioni
senza conforti comunicando infrazioni
logica inconscia lanciando segnali senza conforti
sul percorso animato molto tradotto
materia estroversa o tensione animale
simili conferme su nessuna posizione
senza registri o altre preistorie senza crogioli
10
diventando l'articolo come la vita
se l'oggetto è tutto nel mondo
che sembra spiegare ma poi s'inabissa
sotto forme impastate tra due o tre parole
già permeabili in questo tramonto
la migliore lettura è dotata di corpo
di fronte al disegno della nutrice
1979
da Paesaggi pavesiani I
quando gli occhi, avete spento gli occhi
se c'è nulla che valga adesso e ancora giorno
come alberi e forme se poi piano scendete
come se fossero ancora cicli che sempre dopo tutto
e col corpo parlando e col fiume nuotando
senza arrivare, senza scappare, sull'altro versante
a miglia di terra e zone innevate, vedete
così e anche così, voi siete quelli
che avreste voluto chiamare e dopo
aver detto ogni cosa e ascoltato, così
seduti ma anche non visti, non ancora
soltanto le immagini all'ombra e così
non muovete il buio, che resta da solo
a descrivere
poi lasciate ferme le cose, con schiume di nuvole
al di qua del deserto anche dentro e di fuori
nel vostro passaggio, posizioni di vetro
le solite materie, a invogliare risposte
1988
Mario Moroni è nato a Tarquinia (VT) nel 1955. Dal 1989 vive negli Stati Uniti dove ha insegnato all' università di Yale e a quella di Memphis. Dal 2001 è Assistente al Colby College. Ha pubblicato sei volumi di poesia ed uno di prose poetiche. Nel 1989 ha vinto il premio di poesia Lorenzo Montano. Sue poesie sono apparse su numerose riviste ed antologie di poesia italiana contemporanea. Come critico letterario, ha pubblicato "Essere e fare" (Luisè, 1991), "La presenza complessa" (Longo,1998) ed è stato il co-curatore di due volumi di saggi: "Italian Modernism (University of Toronto Press, 2004) e "From Eugenio Montale to Amelia Rosselli" (Troubador Press, 2004).
Questo autentico gentiluomo, questo poeta e generoso intellettuale è un mio amico con cui abbiamo partecipato a, e realizzato cose bellissime insieme: conferenze, libri, poesie. Condividiamo il destino di emigrati in aree anglofone. Grazie Stefano. Se permettete, amici, gli do il benvenuto!Sono molto felice di vederti,
RispondiEliminaMario, qui. (erminia)
cara Erminia, lo sapevo di farti una bella sorpresa. Lo è anche per lui giacché l'ho avvisato a cose fatte. Non so se verrà a vedere, ma, se lo fa, sarà fra amici.
RispondiEliminaIl tema di quel numero di Anterem era "Passaggi due". Mi piace che questo blog offra più di un passaggio (e quindi più di un solo paesaggio)
RispondiEliminapaesaggio e passaggio, poesaggio.
RispondiEliminaottimo blog
RispondiEliminami associo al matisse
c'è una fucina aperta qui
mi chiedevo tutta sta roba dove la tieni? e quando la spolveri?
dei due testi critici del moroni
sai dirci di più?
tantomisai
grazie Tantomisai (tms?). sarebbe bello che fosse Moroni a dire qualcosa di più, ma credo che i tempi (di questo) blog non lo consentano. Mi pare che le conclusioni del suo interveno tracci una strada significativa: poesia e stratificazione, poesia e pluarlità si danno insieme e, aggiungo io, ciò perchè l'essere che le attraversa si mette in opera in quanto singolarità ogni volta differente, e senza resto.
RispondiEliminala funzione "critica" della scrittura poetica in una serie di segnali minimi, allo scopo di farla scorrere come una linea sotterranea nel testo.
RispondiEliminaqui una linea leggerezza calviniana
direi
tantomisai
sì, calvino è maestro per tutti (tutti i savi, naturalmente).
RispondiEliminala leggerezza, d'altro canto, è figlia della perdita del fondamento assoluto (la morte di dio niciana e l'ontologia heideggeriana): quest'ultima affermazione meriterebbe ulteriore approfondimento. se hai voglia e tempo, leggi questo mio saggio, che trovi qui:
http://www.nabanassar.com/canonfinitezza.pdf
ciao
leggo male l'indirizzo. lo trovi nei link, sotto la voce "nabanassar"
RispondiEliminaVorrei precisare una cosa forse non chiara nella bio di Mario Moroni postata in Italiano. Vi si afferma che egli sia "Assistente", (ma in che senso non è chiarito). La definizione è "Assistant to Professor", che significa Professore Associato (TIROLARE di Cattedra.)
RispondiEliminaScusate la pignoleria.
Ermi
"titolare"; (SCUSATE IL TYPO), E.
RispondiEliminaho scritto male io. la dicitura esatta è: "Paul and Marilyn Paganucci Assistant Professor of Italian Department of French and Italian Colby College".
RispondiEliminafai bene a precisare
ciao
si lo so: questa definizione "Assistant Professor" è ambigua per noi, ma appunto descrive un Professore Associato a cui manca solo un gradino per diventare Ordinario di Cattedra Universitaria.
RispondiEliminaAllora la fredda morte che la Silvia leopardiana indica a noi lettori con la mano, insegna pur qualcosa!:
RispondiElimina´Tu, misera, cadesti: e con la mano
La fredda morte ed una tomba ignuda
Mostravi di lontano´ (Leopardi, A Silvia)
Giacomo Leopardi
A SILVIA
Silvia, rimembri ancora
Quel tempo della tua vita mortale,
Quando beltà splendea
Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
E tu, lieta e pensosa, il limitare
Di gioventù salivi?
Sonavan le quiete
Stanze, e le vie dintorno,
Al tuo perpetuo canto,
Allor che all'opre femminili intenta
Sedevi, assai contenta
Di quel vago avvenir che in mente avevi.
Era il maggio odoroso: e tu solevi
Così menare il giorno.
Io gli studi leggiadri
Talor lasciando e le sudate carte,
Ove il tempo mio primo
E di me si spendea la miglior parte,
D'in su i veroni del paterno ostello
Porgea gli orecchi al suon della tua voce,
Ed alla man veloce
Che percorrea la faticosa tela.
Mirava il ciel sereno,
Le vie dorate e gli orti,
E quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
Lingua mortal non dice
Quel ch'io sentiva in seno.
Che pensieri soavi,
Che speranze, che cori, o Silvia mia!
Quale allor ci apparia
La vita umana e il fato!
Quando sovviemmi di cotanta speme,
Un affetto mi preme
Acerbo e sconsolato,
E tornami a doler di mia sventura.
O natura, o natura,
Perché non rendi poi
Quel che prometti allor? perché di tanto
Inganni i figli tuoi?
Tu pria che l'erbe inaridisse il verno,
Da chiuso morbo combattuta e vinta,
Perivi, o tenerella. E non vedevi
Il fior degli anni tuoi;
Non ti molceva il core
La dolce lode or delle negre chiome,
Or degli sguardi innamorati e schivi;
Né teco le compagne ai dì festivi
Ragionavan d'amore.
Anche peria fra poco
La speranza mia dolce: agli anni miei
Anche negaro i fati
La giovanezza. Ahi come,
Come passata sei,
Cara compagna dell'età mia nova,
Mia lacrimata speme!
Questo è quel mondo? questi
I diletti, l'amor, l'opre, gli eventi
Onde cotanto ragionammo insieme?
Questa la sorte dell'umane genti?
All'apparir del vero
Tu, misera, cadesti: e con la mano
La fredda morte ed una tomba ignuda
Mostravi di lontano