Questo frammento lo scrissi nel 2000, ma non entrò in Scritti nomadi. Lo posto oggi, dopo l'esito del referendum.
Il mito della Resistenza è un agile libretto di Romolo Gobbi, stampato nel ’92 da Rizzoli. Vi si racconta la complessità del movimento partigiano ed il valore fondativo della lotta contro il nazifascismo per la nascita dell’Italia borghese e democratica. Beppe Fenoglio ed Italo Calvino sono i suoi testimoni oculari, i pochi coraggiosi scrittori del dopoguerra a raccontare la confusione organizzativa delle brigate, l’esibizionismo dei capi e l’inconsapevolezza politica di molti combattenti, che passarono con disinvoltura con i repubblichini di Salò.
Riguardo alla propria impostazione storiografica, l’autore torinese fa esplicitamente propria la tesi di Georges Duby (Il sogno della storia), secondo la quale il resoconto dello storico è sempre, anche, racconto d’evasione, favola in cui impera la “soggettività del testimone”; e tuttavia egli ne complica le conseguenze, scegliendo di usare la propria favola, la propria storiografia, per demolirne una ancora più grande, quella della Resistenza come unità delle forze antifasciste. L’intenzione svelata di Gobbi è di sfatare un mito vecchio per fondarne un altro, vivo nell’urgenza dell’attualità parlamentare (la proposta generalizzata di una nuova Costituzione) e - a suo modo di vedere - più capace del primo di rispondere ai “gravi problemi politico-ecologici... che si annunciano”. Il suo racconto, parziale come ogni opera letteraria che si rispetti, privilegia le testimonianze, le seleziona, individua dei personaggi, organizza i ruoli delle comparse, parteggia per i “buoni”, costruisce insomma un discorso narrativo in cui il vero protagonista - l’intellettuale nuovo - esce soltanto alla fine, per proporsi come soggetto del prossimo racconto. E’ il principe machiavelliano, che non è però singolo redentore, bensì ceto, gruppo omogeneo e, probabilmente, “organico” in senso gramsciano. Bisogna però verificare organico a quale interesse.
E’ tuttavia vero che furono pochi gli autori che ebbero il coraggio di raccontare la Resistenza con il mezzo sorriso tragico di chi scopre, nel compagno di sventura, gli stessi vezzi propri, la stessa inquieta giovinezza: Beppe Fenoglio è stato, fra questi, il più coerente.
Riguardo alla propria impostazione storiografica, l’autore torinese fa esplicitamente propria la tesi di Georges Duby (Il sogno della storia), secondo la quale il resoconto dello storico è sempre, anche, racconto d’evasione, favola in cui impera la “soggettività del testimone”; e tuttavia egli ne complica le conseguenze, scegliendo di usare la propria favola, la propria storiografia, per demolirne una ancora più grande, quella della Resistenza come unità delle forze antifasciste. L’intenzione svelata di Gobbi è di sfatare un mito vecchio per fondarne un altro, vivo nell’urgenza dell’attualità parlamentare (la proposta generalizzata di una nuova Costituzione) e - a suo modo di vedere - più capace del primo di rispondere ai “gravi problemi politico-ecologici... che si annunciano”. Il suo racconto, parziale come ogni opera letteraria che si rispetti, privilegia le testimonianze, le seleziona, individua dei personaggi, organizza i ruoli delle comparse, parteggia per i “buoni”, costruisce insomma un discorso narrativo in cui il vero protagonista - l’intellettuale nuovo - esce soltanto alla fine, per proporsi come soggetto del prossimo racconto. E’ il principe machiavelliano, che non è però singolo redentore, bensì ceto, gruppo omogeneo e, probabilmente, “organico” in senso gramsciano. Bisogna però verificare organico a quale interesse.
E’ tuttavia vero che furono pochi gli autori che ebbero il coraggio di raccontare la Resistenza con il mezzo sorriso tragico di chi scopre, nel compagno di sventura, gli stessi vezzi propri, la stessa inquieta giovinezza: Beppe Fenoglio è stato, fra questi, il più coerente.
il tuo maestro lo citerò ancora, prossimamente:-)
RispondiEliminail sentiero dei nidi di ragno non è piaciuto tanto, m'è piaciuto all'inizio poi alla fine non so perchè mi ha delusa, non chiedermi perchè, il pensiero stanca e la forza di gravità non è noccioline. :-) e per pensare devo fare l'uncinetto e momentaneamente mi trovo sprovvista di cotone. di calvino mi ha entusiasmato molto il visconte dimezzato. quella secondo me è stata la genialità, mezzo uomo cattivo e mezzo uomo buono, ma infelice e inadeguato al vivere sia tutto cattivo che la parte tutta buona ma è inutile spiegarlo a voi che lo sapete meglio di me. a
RispondiEliminasì, certo, ti riferivi a quello, mi scuso ma io mi sono persa nei miei pensieri, non dialogavo con te. a.
RispondiEliminaa me la sorella di Pin stava antipatica:-)
RispondiElimina"Tutti abbiamo una ferita segreta per riscattare la quale combattiamo"
RispondiEliminaed è un modo azzeccato ci celebrare la vittoria del NO
RispondiEliminadi
RispondiEliminala nera era una poveraccia come pin. quello che non ho mai capito è il perchè del sentiero
RispondiEliminaforse bisognerebbe fare un parallelismo con "il giardino dei sentieri chesi biforcano" di Borges.
RispondiEliminaAli, tutti abbiamo quella ferita: si chiama nascita