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martedì 14 luglio 2020

Cinque inediti di Cristina Annino



Nota (mia):

1 A differenza della goccia in un racconto allegorico di Buzzati, la presenza in Minaccia è reale, debordante e senza volto, essere fisico, cosa, che la metafora elettrizza o trasforma, forse, in ladro (“tensione da scasso”): figura centrale anche in Madrid. L’a-capo amplifica la tensione emotiva, dà la scossa al discorso.

2 A Nikola Tesla, Edison rubò il brevetto. Un derubato, forse. E ancora un ladro, in controcampo, dunque. Annino chiama lo scienziato in soccorso, metonimia del sapere?, contro la civiltà del Crodino e dei ruffiani, sineddoche dell’inciviltà dei consumi. Benvenuta la poesia che denuda il presente quando suona falso, senza rivestirlo da morale.

3 Una figura trafitta dal potere, San Sebastiano, e la finzione del teatro: il mondo è teatro dice il barocco, a inaugurare la modernità. E ancora lui minaccioso, l’Omone “tornato a illuminare / le travi”. Nel Gemello carnivoro era “l’ecce coso”. I sicari aspettano giù. L’io lirico non canta: straccia la sintassi come segno di impotenza rabbiosa.

4 Si parte da una giornata di lampi, con qualcuno che “ci stanca”, morde e fugge. Ancora un ladro di gioia? La scena è a spirale: siamo noi a morderci il garrese? Siamo disposti a tutto purché qualcosa accada? L’evento salva, ma quale? A un certo punto della discesa, arriva qualcuno, quello, che piomba sulla “nostra / faccenda” e la butta a fiume.
Fuori dalla lingua, non c’è futuro.

5 La caverna custodisce i tesori di prima: il ladro, le sigarette, le lampadine spente. Forse fuori ci stanno i poeti rupestri, che rubano ai ricchi per dare a se stessi. L’osservazione è feroce e Narciso nega fermamente mentre ruba da Eliot. Ma Eliot quante volte va letto? E che cosa: La terra desolata o i Quattro quartetti?



Minaccia


So ogni volta tre
cose: che forse
potrei impedire ciò
che farà. Magari
succede e non capirò
perché. Che mai però
sarà una colpa…
Quando lo
vidi salire le scale, tutto
sorrisi, centimetri, e fioca
intermittenza dentro. Fu
tensione da scasso o
lampioni di strada. Mi
fulminava la faccia
elettricamente, palo
da palo, con luce
compressa; era troppa
massa in un corpo
solo. Finché l’Ombra
intera mi fu sopra.




Cena con Tesla


Allora grazie per essere 
qui, noi che siamo
bottiglie. Si vive sul nostro
Crodino (ognuno il suo; ce ne sono
altissimi come pali). Noi
beviamo senza invidiarli. Caro
 il mio Tesla, vogliamo metterlo in
versi, lo sdegno sovrano della
carne per quella stracotta dei ruffiani? Mi       
guardi – falsi eredi, una
guerra!- Vero. Io fumo, ti stendi, mi
chiedi la sigaretta.



****


Pesanti gli scalini
come sono le scale;
Omone o Michlen, venga!
In ogni
stanza, passi di
noi due quasi
fosse lui solo, tornato a
illuminare
le travi. Ma laggiù
sulla porta, che fanno i
sicari? Infilzano doppi il 
Sebastiano vero poi 
via! Così
la dispersione scuce
molecolari: da una
parte i Fanti, dall’altra
i Santi del nostro cognome e
mettono il copione a
teatro. (Ma Ingresso del
pensiero, lui era dal
secolo annunciato come
cima delle due ali).
Creò
la casa
con frecce che sembrano
fari, balenii a squarci di
lampo. Luce,
dappertutto! In
tribunale
fece un atto così
di croce che
tradisce. Oggi ha
i più
perfetti nomi in mano come chiodi
di garofano.




Ultimi lampi


Malinconia geniale se arriva
fango alle porte di casa! Ma
quando piove così a lampi per
strada, neppure un compare di
danza potrebbe o la chirurgia.
Cerco
di capire chi sia che ci stanca
avanti indietro; s’attacca al
garrese, giro
eterno, poi scappa
volando sui tacchi coi nostri
volti. Forse ancora
ci tiene al mondo la voglia di
qualche evento.
Credo di
reincarnarmi o sia avvenuta una
grazia! nel lampo di
chiaroveggenza invece
penso: Quello
piomba
nella barca ferma di noi; ci
solleva una mano e sente
l’odore semivivo dei polsi. Ma
schiaccia
senza pena col piede la nostra
faccenda, la getta come niente dal
ponte. Rende insomma pulita la bomba.




La  caverna


Siamo seri. Lui sposta
scrivendo aria e basta. NON
leggere Eliot più d’una volta (se ci
riesci), i più mediocri furti
nascono dal tabaccaio. Tosa
con le mani ogni cosa dal
mondo. Hai presente le siepi?
Che altro!  C’è chi
starnutisce sinfonie celesti col
naso, ma ci sono lampadine
spente e bagliori fatui (Dal
tabaccaio ripeto, rubano
cartine fumando sigarette
curvi insieme sull’accendino,
come rupestri nella parete).



9 commenti:

  1. Anche in questi inediti, tutto avviene in una perentoria contemporaneità, senza tempo e senza spazio, come fosse la cronaca del primo e ultimo giorno. Ogni dettaglio è colto con uno scatto a grand'angolo, misurato con spietata attenzione, lasciato lì con disinteresse. Una poesia che convince perché è una modalità di vita.

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  2. Intanto ringrazio il direttore per la pubblicazione di questi ottimi testi. Mi soffermo sul primo.
    Vi si oscilla, con la solita classe, tra l’immaginario e, forse, il reale.
    Da una parte si chiama in causa l’immaginario, come sottile paranoia di tutti, del poeta in particolare. Del resto il tre, è, un numero paranoico, poiché scaramantico: sapere tre cose forse equivale a farle, quelle tre cose, preventivamente, con la ‘mania’ apotropaica di ‘ogni volta’… quindi, ma è ovvio, non costringerei il tutto, né il ladro, quel ladro, a un furto con scasso, superando cioè l’elemento materiale che il termine ‘scasso’ introduce: la grande arte della Annino sta nel passare la cera, nel dare una patina aurea, nell’usare l’olio paglierino: su un pavimento, su un oggetto, su un mobile, quando questi si sono già rivelati evanescenti, sono già diventati impalpabili, impossibili a prendersi… e dunque, non dovendo, lei, temere che un ladro possa svaligiarle la casa! Insomma, in questo senso, la ‘minaccia’ è tutta interiore, la figura ladresca che sale le scale, non a caso “tutta sorrisi”, falsi, direi, non è che l’ennesimo et voilà superstizioso di una delle tante voci che premono nel fondo di questa straordinaria poeta sorpresa nel suo delirio coerente, e forse, ma forse lei non lo sa, terapeutico…
    Ma d’altra parte, come escludere del tutto un’oscillazione reale? Se non si fosse al corrente della tradizionale soggettiva maschile dell’autrice, si potrebbe pensare a una violenza tangibile, psicologica e non, su una donna che ha già elaborato la questione, e sa che l’essere vittima non dipende da lei. Nulla vi potrebbe allora la numerologia paranoica di prima, smentendomi sul profilo dell’io lirico tirato in ballo più sopra. O forse sarebbe la whitmaniana Annino a contraddirsi in quanto troppo ampia! Esploderebbe comunque, non a caso dopo il corsivo, una violenza in cui i personaggi sono poi davvero tanto reali? O non alludono piuttosto alle campiture e alla grafica delle onomatopee, quelle del fumetto… (intermittenza, scasso, lampioni, fulminava, elettricamente, palo, l’ombra che le fu addosso)… oddio! Il reale si allontana, si riaffaccia l’immaginario. Escluderei comunque ogni riferimento civile. Se c’è una poeta superbamente ‘acivile’. Eccola, l’abbiamo davanti: in ogni caso, come è già stato detto, una fuoriclasse!

    Ugo Magnanti

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  3. Escluderei comunque ogni riferimento civile. Se c’è una poeta superbamente ‘acivile’, eccola, l’abbiamo davanti: in ogni caso, come è già stato detto, una fuoriclasse!

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  4. Mi piace, come sempre, essere presente in questo blog, quindi ringrazio Stefano, e il commento molto interessante di Magnanti.
    L'ambiguità della prima poesia è dovuta al titolo sbagliatissimo (minaccia di che e perché?) In effetti si tratta- e Ugo ha ben intuito- della violenza "eventuale", e qui sta solo la minaccia, di un uomo sulla donna. Generatore di confusione è stato il mio io maschile,il quale, per chi conosce così bene il mio lavoro come appunto Guglielmin, non ha slegato dal testo;-)) Dovrò rimediare. Molto profonda, ripeto, la nota di Magnanti con cui concordo totalmente per quel "acivile". Tuttavia devo convenire che in molti testi, e Stefano li conosce molto bene, ho espresso certe irriverenze verso l'ipertecnicismo di certi comportamenti diciamo, esistenziali diventati ormai troppo conformistici nella nostra società. Quando un critico come Stefano conosce
    straordinariamente bene l'opera complessiva di un autore, può facilmente slittare. Lo ritengo un segno di grande stina ed affetto. Sarebbe complesso spiegarlo ma credo si sia capito correttamente.
    Un caro saluto a tutti, Cristina.

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  5. "Acivile", già! Etica del nontempo in uno spazio che si avvera(?) di sorpresa e "normalità" (soppressa), ogni volta?

    La poesia di Annino fa tornare in mente il volo al corpo, o in corpo il volo alla mente.
    Si tratta dell'intelligenza "impensabile", impossibile(?) della poesia, che sta alla portata delle sue dita oltre che dei pensieri, e si sa, nessuna poesia è pensiero!

    Grazie,
    Giampaolo

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  6. Rimango colpito, inter pares, dalla poesia di chiusura. "...Tosa / con le mani ogni cosa dal / mondo" resterà molto con me, e si raccorda bene con quanto Annino ha detto giorni fa durante il videoincontro, rispondendo a Emilia Barbato che le chiedeva a proposito della "ispirazione", della sorgente... "Hai presente le siepi? Che altro!". E lo starnutire sinfonie col naso, in bilico ermeneutico tra taumaturgia del sinfonico e viralità di tendenza.
    Grazie Cristina, come sempre.

    Coda in risposta a Stefano: parteggio decisamente per i Quartetti; ce n'è una versione (parziale: di ogni quartetto mancano le sezioni pari*) sontuosa su Youtube, per la voce di Emidio Clementi e la musica di Nucini, da quando l'ho trovata per me è un problema non metterla in "loop".

    *Una sezione pari, la quarta di Little Gidding, fu musicata per coro - mi pare - dall'ultimo Stravinskij.

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    1. Io rimango un patito della Terra, ma capisco la passione per i Quartetti

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  7. Cosa riserva una vita intera di poesia? altra poesia – “Ultimi Lampi”. Finché c’è vita c’è Fratellanza. Annino attenua la profezia e aumenta la portata del messaggio di cui è portavoce: Solidarietà contro il Nulla.

    È imbrigliato come di consueto il cervello di chi legge in una rete lessicale distribuita attraverso ogni testo – e da un testo all’altro. Per esempio i sicari, la minaccia. O: i pali, la luce elettrica, la tensione, Tesla, illuminare, lampi di luce, dispersion, lampadine. I testi inediti fanno pur sempre parte di un libro che è scritto e che vedremo nella sua interezza una volta compiuto. Ma quali sono i primi due versi del primo testo del primo libro di questo poeta? “ Accendere / prendere una sigaretta.”: preludio/premessa alla voglia di parlare del poeta. Così anche questo libro fa parte di una e una sola opera, la “tinozza del colloquio” amicale. Se pensate di essere manipolati da un testo – figuriamoci l’effetto inconscio vi fanno tutti i testi di tutti ilibri del poeta che da mezzo secolo vi propina la sua raffinata intenzionale propaganda.

    E una volta stabilita la consistenza, e causata la persuasione che qui si sta parlando di qualcosa di preciso (perché altrimenti non si spiega lo scheletro, la struttura, non c’è Caos qui, c’è un piano nascosto) come può il testo disturbare invece di rassicurare? Risposta: alludendo invece di dichiarare. Il dettaglio sta nel periferico: il coraggio del minacciato che pensa al peggio, e nemmeno così giudica ("mai però / sarà una colpa”); l’Ombra da cui teme d’esser schiacciato. Il poeta in casa o nella caverna, la pioggia o i lampi di fuori. Di Tesla: gli atti, la mano, balenii, “cima delle ali”. Del minacciatore il poeta sa tre cose non dette; ciò che farà potrà essere impedito forse, o forse no – e comunque non si capirà perché. Fuori fuoco anche la “fioca intermittenza”, la “luce compressa”, l’“Ombra”. Poeti che scrivono spostando aria. Lampadine spente e bagliori fatui. Per evocare il Morte (già “pulitore di cessi”) qui basta un "Quello".

    Tra parentesi: questa tecnica non ha solo l’effetto di sconvolgere chi legge: assicura anche che una volta catturata l’attenzione, l’ascolto continui, come in un inseguimento. Come si crocifigge il lettore, condannandolo alla (ri)lettura? Per indizi e per fuga. Diventiamo tutti investigatori di questi testi criminali: Annino il probabile colpevole - ma come possiamo incastrarla? Il poeta stesso insegue “qualche evento” e noi dietro a lui.

    Infine: senza un contenuto chiaramente tutto sarebbe retorica. Rassicura osservare che anche se la forma è costante, il contenuto è transiente, come deve essere: senza contemporaneità non si crea immanenza. Di cosa ci parla allora il libro di cui questi testi faran parte? Della luce che porta informazione da un individuo all’altro. E del poeta che ha voglia di parlare, magari con Tesla, fratello – orizzontale (la postura eretta sempre sospetta/spaventosa in Annino da sempre). Di un individuo dentro casa, malinconico, semivivo. Chi lo minaccia entra da fuori e sale per le scale. Riceve un amico immaginario per cena, non rilegge un poeta modernista. Non sono mai stati giovanili i testi di questo poeta – anche se a un certo punto esplosero nella maturità onnipotente di “Madrid”. Questi inediti sono abitati da una certa età. I sensi sono affievoliti ma la mente ha affilato la capacità di deformare, di strizzare senso dal mondo. Stiamo assistendo a culmine – tanta è la semplicità di sottofondo. Tutto è asciugato e concentrato qui. Il poeta siede a tavolino con Nikola Tesla, la conversazione non verte sullo sdegno per i ruffiani, l’invettiva. Basta un crodino invece tra questi due per generare tanta elettricità che si crea una casa, le frecce del martirio diventano nomi perfetti (come sempre è la Natura). Si trasformano i chiodi della croce in chiodi di garofano. Una lezione di pulizia: si presagisce – e ci si aderisce - il Bang più Big di tutti, la bomba che spazzerà via la faccenda che siamo diventati.

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  8. Ringrazio tutti per i commenti articolati.

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