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sabato 13 giugno 2020

Carla Mussi su Fabia Ghenzovich





Fabia Ghenzovich, NuditàLibreria Editrice Il Leggìo, Chioggia  (VE) 2020 
      - Collana “Radici” diretta da Gabriela Fantato -

Se dovessi creare una mappa per viaggiare dentro questa raccolta di Fabia Ghenzovich, mi servirei di ottima carta e buona stampa, e indicherei i luoghi definendone solo il nome comune. La città, la terra, il mare, la roccia, il fiume. Ogni segno sulla nudità della carta vorrei solo che suggerisse il carattere essenziale del luogo, perché restasse all’eventuale viaggiatore la scoperta del nome proprio di ciascun elemento.
Ecco appunto la “Nudità”, che è corpo senza vesti, parete senza orpelli, foglio bianco, luogo sacro, paesaggio naturale e interiore nella sua essenza, “qualcosa insomma/ di integro come alba/ o natale ma corporale”
Ed è la nudità il luogo di riferimento, “All’angolo cieco/ tra sistole e diastole/…”, dove anche gli oggetti si fanno corpo, e da “..i nostri corpi/ da animali invertebrati..”  prende forma e voce “una fotografia spina e piuma/ che dentro fa rumore.”.
 Tutta la realtà si fa corpo, a cominciare dal potere, che si manifesta come corpo mostruoso che “s’insinua covando patogene// imperfezioni chiede/ il conto sempre a proprio/ tornaconto tra fazioni/ di pensieri// e patteggiamenti. Solo all’ombra del dubbio mastica/ amaro al sentore del primo/ crollo a irrigidirsi…”. A questo corpo da “piccolo predatore” risponde il coro di “piccoli/ agnelli sacrificali/ belando a testa/ china così come servi senza mai// troppo disturbare”
La casa stessa, si mostra nuda e animata, rivela le “stanze che sgusciano furtive/ verso l’uscita – la porta-avamposto/ dell’ignoto.”  Qui l’autrice gioca con ironia sull’idea  di una spesa al supermercato come eroica impresa di caccia  in caccia improvvisata/ amazzone ripetere/ i passi di un cammino/ primordiale sulle tracce del nuovo//  supermarket che ha il nome/ arcaico di un antico guerriero/ barbaro/ CONAD!”
Ed è in questo “sgusciare” delle stanze, che sono ambienti di una casa, ma anche versi, strofe di poesia o ballata, che il viaggio del corpo si compie.  Un viaggio dove non possono esserci infingimenti, come ci ricorda questo testo:

Uno scalino dopo l’altro
sarebbe troppo semplice
una salita senza la tensione
che ti metta alla prova
l’inciampo di un bisogno
in agguato troppo facile

sventare un fiasco
dirsi fratelli nello strappo
nel taglio con l’amaro
di un sorriso mai
abbastanza dilaniato.

Datemi pure una tenebra
abituale trascendetemi
la preda nel trionfo
di una maschera nei secoli
dei secoli blasfema cercatemi
la bussola senza direzione

la libertà arriva nuda.

 “La libertà arriva nuda”, ecco il verso di Chlebnikov che chiude questa poesia, e che è posto in esergo al libro.  E se la nudità è necessario e faticoso viaggio con “La bussola senza direzione”, è la “maschera nei secoli/ dei secoli blasfema” che afferma la sacralità più che l’eresia del corpo nudo, come Pasolini ne “La crocifissione” , che ci ricorda il Cristo  esposto nudo in croce per “testimoniare lo scandalo”.
E la nudità si rivela anche nella versificazione, dove le spezzature, la scomposizione del fraseggio da un verso all’altro, (come evidenzia anche Luigi Cannillo nella prefazione) creano un ritmo che si fa viatico di luce e ombra, “passaparola che ritorna”.
In questa mappatura immaginaria dove anche il paesaggio si fa corpo e gli elementi si umanizzano, incontriamo “Il ventre del mare”, ed è sempre il mare che irrompe, al punto che nei versi “ciò che credevo si è sciolto/ fin dove arriva la vista// nel mare”, rimane il dubbio che non sia la nostra vista, ma quella del mare che osserva, in un gioco di rimandi  che in molti testi è nutrito dalla presenza costante di “specchi”, “occhi”, “riflessi”, “casse armoniche”, “lenti”.
 Tra gli elementi del paesaggio, compare solo un luogo geograficamente definito, il Sile, presenza acquatica che ci aveva accompagnato nella mitologia della Catanegài in due precedenti libri di Fabia Ghenzovich, “Totem” e “Se ti  la vardi contro luse”, (quest’ultimo in dialetto veneziano). E attraverso il Sile, luogo di una memoria antica, compare il mito di un “Dedalus nudo”, “riflesso d’occhi liquefatti”, animale lacustre, airone. Il mito irrompe anche come epica del futuro, nelle “ bioniche protosolitudini”   la cui nudità si affaccia nella “umana trasparenza” dell’effetto digitale di una lacrima.
Libro di grande sonorità e intensità, ci conferma un percorso nella autentica  nudità della parola e dell’atto poetico. Come indica Fabia Ghenzovich nella bella intervista di Anna Lombardo posta a fine volume:

 Per me la nudità sta nella parola
che salva dal condizionamento o dalla finzione, e che risponde ad
una spinta interna necessaria, così come dalla percezione del mondo,
di cui siamo parte e che in noi agisce.

E ancora:

Potrei dire che spesso la poesia si fa, avviene, senza
sapere quando inizio, quale sarà il percorso, in questo senso avviene.
Conosco la partenza, non l'arrivo. Ritengo inoltre che avventurandosi
in uno spazio in parte ignoto, la poesia apra spazi aperti anche
sull'indicibile, sia come sconfinamento, sia come rivelazione.

( Carla Mussi)


*

Dico - la nudità -
qualcosa insomma
di integro come alba
o natale ma corporale

dico ecco la voce
pulita sotto strati e strati
la voce dal fondo che spiazza
ogni parola vassalla

che non suona
che non filtra
più la luce.


  
*

Più di un corpo maschio
di un lampo a ciel
sereno del planare a testa
alta di un successo
seducente

un verso. Talvolta
inaspettato invita
alla luce lungo ogni filamento
d'inchiostro ogni osmotica
membrana di un corpo

celeste.
                                                                                                                                                 
          
*

Amor mundi nella luce
per coordinate circolari
benedice il gesto e la guerra
rifiuta a contrasto di conquista
alla cieca più feroce e guasto

per stupro di bellezza il male
all’apice con volto d’uomo
fallisce dove l’ultimo
presidio di luce reclama
giustizia per lo sforzo

terso per questo stare
malgrado e diverso nel gesto
gentile che del pane buono
del giorno in parti uguali
divide quello che resta.



*

Un contrarsi l'ultimo
flebile ardere sul confine
dove sussurrano i morti.



*

All'angolo cieco
tra sistole e diastole
di chiari e di scuri stenta una viva

fiamma negli occhi
prudenti dietro lenti
fumè occhi di pavone
che  invitando escludono
a volte distanti raramente

stupiti se non per l'ironia
di un istante quando tradisce
una fossetta come un tic l' intima
fessurina quasi infantile
a lato della bocca

quel piccolo colpo
di reni che della tua vita
può farti campione.



*

Credetemi
amo l'imperfezione.
Non dover essere
che soddisfazione!

Essere
con ogni mia parte
sorella a sorelle
diverse che mi fanno

l'occhiolino
per scampare all'ingombro
dell'ovvietà.



*

Piccole
rinunce muta
di piume nient’altra

quiete che un crollo
di farfalle. 



Fabia Ghenzovich è nata a Venezia dove vive.
E’ interessata alla poesia e alle sue possibili interazioni e contaminazioni tra i linguaggi dell’arte, in particolare con quello musicale come nel caso di “Metropoli”, testi musicati in stile rap.  Ha partecipato alla prima Biennale di poesia “Officina della percezione” 2004 a Verona. Ha pubblicato libri di poesia : “Giro di boa” (Joker edizioni 2007), “Il cielo aperto del corpo” (Kolibris 2011 e  nel 2016 in ebook su La Recherche), “Totem”( Puntoacapo  Editrice 2015 ), “Se ti la vardi contro luse” (Supernova 2018), primo libro in dialetto  veneziano,“ Nudità”  (Libreria editrice Il Leggio 2020). Ha vinto premi a concorsi di poesia. E’ inserita in antologie tra le quali: “Blanc de ta nuque. Uno sguardo dalla rete sulla poesia italiana contemporanea, vol. II, a cura di Stefano Guglielmin (Le Voci della luna, 2016) e nel Tomo II° “Il Fiore della poesia contemporanea” (Puntoacapo editrice 2016). Suoi testi sono pubblicati su riviste cartacee e online: Il Segnale, Le Voci della luna,  La Mosca di Milano, Carte nel vento (Anterem), Tribuna magazine (rivista romena di poesia italiana), Periferie recensione di Nelvia Di Monte,  L'Avvenire recensione di Enrico Grandesso, rivista internazionale “Letteratura e dialetti” recensione di Maurizio Casagrande, Aspre Rime 4 inediti in dialetto (Campanotto) a cura di Matteo Vercesi, Adiacenze (Milanocosa), Mutter Courage di Anna Maria Curci e su vari altri blog.



2 commenti:

  1. Fabia Ghenzovich17/6/20 16:49

    Ringrazio Stefano Guglielmin per l'ospitalità e l'attenzione alla mia poesia e Carla Mussi, per la recensione in cui mi riconosco totalmente.

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  2. Grazie a te e a Carla.

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