Nanni Cagnone, Le cose innegabili,
Avagliano Editore, Roma 2018
Prodigo
Cagnone, negli ultimi anni, a rendere ragione di una traversata non esauribile
e poco rapportabile, per fortuna, a gran parte della produzione poetica
contemporanea. Senza offesa per alcuni esercizi (evitando limiti generazionali)
a cui occorre avvicinarsi, senza troppi dubbi né incaute censure. Ma qui è un’altra
storia. E la storia andrebbe verificata, quanto meno, nella imprescindibile e dilettevole
biografia pubblicata di recente presso Coup d’Idée: Dites-moi monsieur
Bovary. “Basato su una storia vera”, precisa l’autore, e dove hanno sede
gli “inevitabili”. Inevitabili sono appartenenti a una fauna dove s’incontra di
tutto: chi tenta di ridurre i grafici della poesia a mero copyright e coloro
che si trovano emigrati nella scrittura come vi fossero accalcati dalle ruspe.
Cagnone, da molte decadi ormai, manda a farsi fottere spintonanti e spintonati.
E non facciamoci troppe domande sul perché e sul percome. Affari suoi. Se non
fosse che molti di questi affari concernono la poesia e quanto consideriamo, a
torto o a ragione, su di essa. Il suo pensiero, a tal proposito, lo troviamo
raccolto nell’imprescindibile Discorde. Quel che pensiamo noi sui versi
di Cagnone, divulgati negli ultimi anni, andrebbe ponderato con saggia cautela,
e con prodigalità di tempo a disposizione. Ci sarà modo. Per ora può bastare
affermarne l’accadimento, poiché sono numerose le pubblicazioni giunte nell’ultimo
decennio. Una di queste uscì in forma di strenna degli amici presso le edizioni
della Galleria Mazzoli di Modena. Anno 2010, settantuno stanze con traduzione a
fronte di Paul Vangelisti, amico americano di Cagnone, oltre che poeta lui
stesso (e di gran valore) e legato in anni imbevuti di sanguigna mitologia a Adriano
Spatola. Altre epoche, non addomesticate. I settantuno testi, Le cose
innegabili, leggermente rivisti sono proposti oggi dalla collana di poesia
di Avagliano. Azione da mettere in evidenza, accogliendo il fatto che la
raccolta ha posizione egemone nella recente ricerca poetica dell’autore. Innegabili
dunque sono le cose attraversate da radiazioni penetranti o scontrate con
discreta forza, ma innegabili sono pure le singole poesie disposte. Classicità
aristocratica, critiche individuali, apparizioni poco inclini al setaccio, orditi
sgualciti dal tempo eppure commossi da nuovo indagare, tutto finisce nell’oggettività
fulgida del libro. Lasciando perdere le contemplazioni impotenti, Cagnone
replica orgogli e ricchezze affettive senza alcun impulso di resa, giammai vi
fosse stato un fugace pensiero, e avviene che prodigi e grandezze stiano ben
presenti all’eventuale fastidio (“Neppure la grandezza è esente da noia: e
questa resta tale anche per chi riesca a giustificarla”: Discorde). Raggiungere
un’età non offre esenzione dall’inclemenza delle polveri: rese abbondanti dai
morti definiscono profili non lieti. A Le cose innegabili possono
altresì collegarsi immeritorie fabbriche umane, piene di cretini, da sempre
visualizzati da Cagnone senza mezzi termini. Costoro lo additano come “accordatore”
rompiscatole. Ligure è, Nanni, stimandosi spesso ostaggio di altri lidi. Le
diatribe mentali del popolo di Liguria, regione anche mia, lo portano lontano
dal mare – ed è lì che si rianima, in foreste e in mezzo a mostri. Vita
scomoda, riesumata in libri come questo, e nei successivi Tornate altrove
e Ingenuitas, includendo i racconti “etnici” di Cammina mare. L’invincibile
poesia continua a vestire gli anni del ligure di Carcare, lei stessa dotata di
abiti conoscibili e tuttavia remoti: da Eschilo (l’Agamennone ha
sciupato diversi astanti) in poi vediamo fierezza talvolta ostentata e talvolta
addolcita d’affetti sicuri, vertiginosi intrecciati versi da accordare sulle
cose. Cose mai scoraggiate dall’inesausta profondità a cui tutti siamo
richiamati: è innegabile.
Elio Grasso
I
Non
sarà l’annuvolato cielo,
né
il difettoso patto,
a
tralasciare uno dei due
su
mulattiere d’infanzia –
saremo
noi, senza fretta
in
un istante, contenti
d’assordarci
e guarire.
Eravamo
pretendenti,
poi
spericolate serietà
di
cui nessuna
attenta
a uno spiraglio,
solo
un trasalire di colori
in
falso lume.
Noi
come siamo
ora,
noi che siamo
distanziato
sogno.
IV
Ed
ora, perché
meravigliare
d’altri suoni
il
prato notturno? Laggiù
sanno
quel che devono,
senz’invidia
d’accadere,
laggiù
si giace in molte lingue
(nessuna
grammatica però,
né
scontentezza di legami),
accanto
a uno strepito d’acqua
che
nei secoli
afferma
la floridezza –
lei,
l’incompresa.
V
E
un giorno
non
si resiste più
ai
particolari: l’intonaco
ancora
screpolato
qui,
l’esclamazione
d’un
libro accantonato,
quell’insistere
d’ombre
verso
il buio. E noi,
alberi
sfrondati, ignari
dell’abbondanza
del disegno
e
minuziosamente asserviti.
Anomalìe
– tra selci
e
amuleti, respinti doni.
VI
Andando
senza moto,
intimamente,
e
correndo ai ripari
quando
sgualcito il tempo,
facendo
nascondiglio
nel
condiviso mondo
così
docile a nostre figure,
che
alla burlesca fa ritorno
lungo
i sogni. Andando
per
impuntarsi di colpo,
impigliarsi,
nell’ordito
che
non dipende da noi,
nella
pretesa saggezza
di
nostre disfatte.
X
Addietro,
ove per tempo
l’antagonista
delle lontananze
addomesticò
il vuoto,
quante
cose custodite
che
non sono, esuli in serre
che
non han stagione.
Quel
che germoglio qui,
non
mai disfatto –
per
indolenza di fioritura.
XIII
Questo
lento inverarsi non è il mio,
che
saprei precipitare il mondo
come
un disastroso condottiero,
almeno
incontrando cose
invece
di guardar avanti
se
sopravvivano a loro stanchezza –
le
cose innegabili, esordio senza sigillo
il
cui adempimento richiede il tu,
temerario
ornamento dell’io.
XVI
Alle
radici, da ragazzo,
preferisco
il culmine
dei
cedri, che – si dice –
svettano
e più volentieri
oscillano,
quando
a
commuoverli
il
vento di ponente.
Quel
verde approfondito
che
di notte si fa
incompiuto
nero
è
l’insegna di pochi
che
non fan ritorno,
se
lasciarono una terra
che
sanguina legami.
XXV
Pinus
halepensis
alto
alla scogliera, solo
e
non nel periodare del bosco.
Poi,
su lo stanco viottolo,
un
fanale. Tenendo a mente
come
in basso agisse il mare,
riguardi
il tratto
ruvidamente
schiarito
che
dice il primitivo rossore
della
terra.
Passi
senza cognizione
tra
cose variate
che
si eguagliano,
guardandoti
bene
dal
far domande.
XXXI
Vegliare
accanto ai solchi
ove
semi insonni maturano
senza
rumore, senza sognarsi
spighe,
poi andar via,
orme
superstiti
su
rovesciate zolle, simili
al
coltivatore dell’inverno,
orfano
di terra, che inutile
andrà
verso una casa
come
farebbe la grandine.
XLIV
Al
fine, scrivere la storia
delle
cose minute –
la
vicenda d’un pettine
ai
capelli
o
il culto delle scaglie
di
madreperla.
È
tempo di destarsi
per
consistere
nell’ardua
interezza
dei
frammenti:
è
qui che si viene vinti –
un
vetro offuscato,
un
appuntamento
con
la polvere.
XLIX
La
macchia d’inchiostro
conviene
al foglio scritto,
racconta
cose
che
accadono fuori,
più
individuali
di
quanto si creda,
e
la premura d’una gomma,
il
suo rimedio, è un’altra
quotidiana
servitù.
Quante
cose ci vogliono
per
far di noi
qualcosa
di semplice?
LX
Anni
invernali, da cui
per
falsamento di luce
non
si vede la soglia.
Uno
di noi, cullato
e
già rimpianto
da
dolenti stridule parole,
riconosce
infangate
le
sue scarpe.
LXIII
Cose
scartate
avranno
in altra vita
rinomanza,
vita a dirotto
senza
teologie senza preamboli,
non
altro che intridere vegliare
lasciarsi
mescolare,
e
veder folgorato il restìo.
Smarrirsi,
una volta sola,
nel
vecchio fruscìo radiofonico
di
quando
non
scarseggiava la distanza.
LXVI
Quasi
ottant’anni –
poi,
curvando il tempo,
rivedi
la via, se non la casa,
dell’origine.
Via
senza
vagiti, silenziosa.
Molti
vi saranno morti
nel
frattempo, a sminuire
la
tua pretesa, rammentarti
che
non c’è rispetto
tra
nascere e morire,
e
non si fa amicizia
con
l’intermedio vuoto.
LXXI
Nello
sguardo
di
chi si ferma
e non
saluta il qui,
stremato
il divenire.
Poi,
nel tempo fra gli anni,
frastuono
di fiumi sotterranei
e
orme di terra sui pensieri,
e
tutti questi libri da sfogliare
da
non lèggere, perché
corroso
contorno del cuore.
grazie per l'ospitalità.
RispondiEliminaGrazie a te per l'interessante lettura.
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