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martedì 11 settembre 2012

Caterina Davinio



In questi giorni l'esperienza poetica e artistica di Caterina Davinio è in primo piano in rete. Finalmente, visto i vent'anni e passa di ricerca nella poesia visiva e neomediale. Mi preme però qui parlare di Fenomenologie seriali (Campanotto 2010), un libro con versione inglese a fianco che, pur richiamando nel titolo un'operatività avanguardistica, è pienamente lineare, anzi talvolta persino conservatore nel trattenere espressioni attraversate dallo struggimento ("ho pianto di speranza", "Poi venne il pianto / disperato", "sciolse nodi di dolore") e da una timbrica che sfiora l'aulico e/o il sublime ("cresciuta in gemme turgide", "piango l'ora priva, / l'aria greve riarsa tra corteggi di vespe").

Con Fenomenologie seriali siamo di fronte una lingua poetica, nei suoi momenti meno convincenti, tutta immersa in un alone malinconico, introflesso, poco combattivo, che si lascia talvolta vincere da immagini deboli o già consumate dalla tradizione ("Volavo / come un angelo / dalle grandi ali / dolorose", "laghi come specchi", "le lacrime / diventarono sangue"). Lotta che invece si mostra ben più poderosa nei testi che danno il titolo al libro, più ispirati di Squeeze, la seconda sezione dalla quale ho tratto i versi sopracitati.

Le 20 poesie della prima sezione, più che serializzare – secondo la tecnica musicale della costruzione preordinata di una successione di fenomeni concreti ben riconoscibili – mettono in campo una drammaticità d'impianto espressionista, col taglio diagonale della scena e l'uso di verbi dal forte impatto emotivo, una drammaticità che si combina fecondamente con il bisogno di tenerezza, trasmettendo al lettore un empatia di grande effetto emotivo. La vera lotta messa in scena è quella tra Chronos e Kairos, tra il tempo indifferente dell'orologio cosmico e quello dei mortali, che pur fugge tuttavia. Niente di nuovo, ma raccontato con il grido che solo in novecento ha saputo realizzare: effetto di un naufragio ontologico a cui, anche la Davinio, contrappone la fenomenologia degli oggetti, arche o zattere a cui aggrapparsi verso un dove sconosciuto e che spaura.

L'amore di coppia, che fa da galleggiante alla deriva, diventa l'unico antro abitabile, per quanto buio e paradossale, tanto da essere il bene "che uccide dentro". L'ossimoro evidenzia la posizione non decisa dell'io lirico nei confronti del Tempo: a volte sembra propendere per l'ebbrezza che tutto brucia (sulla scorta anche delle poesie giovanili – assai intense nell'ispirazione – raccolte in parte ne Il libro dell'oppio, puntoacapo, 2012); talaltra soffre la mancanza di un "per sempre" che eternizzi la gioia. L'oscillazione tra Chronos e Kairos, disequilibria l'identità, ma – quando tutto funziona –  le permette di costruire versi efficaci, sintatticamente slogati, sincopati nel ritmo, capaci di aprire l'interiorità nel suo essere antro complesso di natura essenzialmente linguistica.



*

qui
confitta pianta tutta      
radici
memore del pianto come della linfa
e nel tronco imprevedibili, aride felicità
(e nelle pupille nidificano
uccelli)
nel sacco un'esistenza raschiata nuda
fino alle ossa
Da non poterla neppure pronunciare
Da non dirla invano
Da tenerla segreta come un sanguinoso
dio senza tempio.



*

Il bene camminava scalzo
Era nostro malgrado
E nonostante noi
Andava intorno vago
sole scappato alle orbite,
e le traiettorie del tuo spazio avevano
lunghe curve,
non misurabili parabole.
Mentre io ti giuravo che sempre.
E spergiuravo che
per
sempre.

La pensilina tagliava prospettive oblique tra cielo e terra
Si conficcava fra binari e nubi grigie
Con il nostro precario senso
Fendeva la retina passiva
Il cuore fermo.




*

Il giallo oro verdicante come
angoscia
Che fende il mio spazio - cielo il liquido
sole mio cielo -
Tuonava in alto, poco sopra l'orizzonte
E il verde grida nell'erba
E il piombo delle nubi chiude il
coperchio
E l'acqua diamantina conserva tutto del
mondo nei solchi di terra
e ancora un po' di mondo
e la luce tutta da bere, fredda
E il sangue di rampicanti avviticchiato
ai pini
E il verde nero dei pini
E il mio passo di sole tra i fili di grano
E la tua casa, prima del bosco
E la tua casa prima
le cose tue l'aria tua
il mondo tuo e il pensiero tuo
gli amati tuoi
E il tuo tempo
Il tuo tutto
Il tuo ferro la tua pietra.




*

Così forte, e mi chiedevo cosa fosse

Perché l'urlo di dicembre schianta
querce secolari
E io strappo le mie foglie i miei rami
E io pianta nuda non odo che stormire
di fronde
e rumore di
ali tra le non-foglie i non-rami
e il freddo del tronco rotto
e il fuoco
del non-tempo
non ho tempo
non ho più tempo

Conto secondi secolari
anelli nel tronco dei nostri alberi,
spezzo tutti i rami nostri e nulla
mi consola.

E scalza sul prato ferito (rosso-sangue)
non lascio tempo
niente al caso
a deserto, le gemme.



*

Tu
desiderio-respiro
te tutto     
tu senza sempre
senza mai
tu tutto respiro
ossigeno
e battiti di cuore
lacrime e cenere e grandissimi fiumi
e finissima
polvere
tu tutto odore
tocco sapore e lingua.




*

Cocaina

III.

E tu l'ami quella nostra morte
allineata sul vetro,
la sua carne di polvere ti fa fragile,
quel flusso di variazioni concave, malate, sorde,
ferventi,
assuefatte al fardello
di sensi tremuli,
di pupille molli,
di matrici allenate
a Vita in eccesso, dici,
candide di graffi
e luce feroce
a portata di passo, di cuore,
dissipata con una preghiera mattutina
e lo sguardo al cielo.


2004



*

Ballata dell’amore eterno

Che mi pensi.
Che sorridi pensandomi.

Ti crederò immerso nella tua fronte
Che non dimentica.

Dinanzi
Al tuo lieto fine
Al pietoso cuore
Con la musica amica.

Con la mano stretta
nel palmo stregato.

Con gli occhi che sanno
e carezzano da lontano.

Così (amerò)
- Voglio amarti per sempre -
in una ballata dell’amore eterno.



Qui altre poesie


Nata a Foggia nel 1957, Caterina Davinio è cresciuta a Roma, dove dopo la laurea in Lettere all'università Sapienza si è occupata d'arte contemporanea e nuovi media, come autrice, curatrice e teorica. Presente in antologie e riviste internazionali, ha pubblicato,
in poesia, Il libro dell'oppio, puntoacapo 2012; Fenomenologie seriali, Campanotto, 2010, menzione speciale nel Premio Nabokov 2011, con testo inglese a fronte, postfazione di Francesco Muzzioli e nota critica di David W. Seaman; il romanzo Còlor còlor, 1998; il saggio Tecno-Poesia e realtà virtuali, 2002, con prefazione di Eugenio Miccini; la raccolta di scritti sulla poesia elettronica Virtual Mercury House Planetary & Interplanetary Events, libro con dvd, 2012. Ha ottenuto riconoscimenti come finalista nei premi Lorenzo Montano, Franco Fortini 2011,Scriveredonna 2010 (Pescara), per l'inedito.
Tra i pionieri della poesia digitale e della computer arte nel 1990, ha esposto in oltre trecento mostre in molti paesi d'Europa, Asia, Americhe, Australia.
Dal 1997 ha partecipato e creato manifestazioni di poesia e arte multimediale in sette edizioni della Biennale di Venezia ed eventi collaterali.


11 commenti:

  1. Prima volta che leggo a questa scritrice e mi sono piaciuto molto le sue poesie.Ottimo articolo.Daniela V.

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  2. mi piace Caterina, (tra l'altro anche se è solo nata a Foggia, è mia "compaesana"...) Bel post, grazie...Antonio B.

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  3. ma sulle critiche avanzate, niente da dire?

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  4. Su tutte, la seconda poesia. Sono però d'accordo con te, Stefano, sulle riserve espresse riguardo la lingua poetica: e mi fa piacere che una nota onesta come la tua non taccia queste perplessità, ma anzi le argomenti riportando gli stralci che non ci hanno convinto. E non penso si tratti solo di diversi orientamenti estetici: se certe formule non sono attualizzate, se sono spente, allora sono "oggettivamente" sbagliate, al di là di una specifica preferenza per un genere o l'altro di poesia. Mi piacerebbe che la Davinio dicesse la sua su questo. Comunque sia, mi sembra una voce forte, anche se su moduli che mi appagano solo parzialmente.

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  5. qui ho postato le poesie che mi sono piaciute di più. Sarebbero forse da leggere interamente quelle che critico, così che tutti possano farsi un'idea. Però non mi pare che la Davinio sia interessata a sostenere pubblicamente le proprie scelte. Questo è un peccato per tutti.

    grazie Davide per il tuo intervento.

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  6. Belle queste poesie. Grazie del post. Amo le poesie di questa autrice. Ho letto degli incredibili inediti qui: http://issuu.com/poesia2.0/docs/inediti_-_davinio/70
    Mi hanno colpito molto le poesie "Cadere all'infinito (a casa di F.)" e "Novoli". E' una grande.
    Ho letto che il libro è nella cinquina dei finalisti Premio Carver. In bocca al lupo!
    Rossella Bre

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  7. Il linguaggio poetico di questa autrice non rientra propriamente nelle mie scelte usuali, vi è tuttavia una musicalità ed un utilizzo talvolta di espressioni forti e decise che riescono ad emozionarmi.

    Tiziana

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  8. Conoscevo la Davinio come curatrice e artista e ho letto tempo fa questo suo libro, che a me ha lasciato un'impronta, un'esperienza, non scivola via così, e che rispecchia, a mio avviso, una voce forte e interessante della contemporaneità. Determinate scelte vanno direttamente al cuore di quello che l'autrice vuole dire, senza artificio, in modo diretto, tagliente, come osserva anche Muzzioli nella postfazione. A me è piaciuta anche la seconda parte del libro, "Squeeze", dove parla di amori che nascono sulle chat, dei loro linguaggi e icone dal mondo telematico, della cocaina e di certe atmosfere più rarefatte, dove la scrittura si fa più lieve, ma non meno consapevole, meditata, e per nulla scontata, rivisitando infine il mito di Medea, colta dopo l'uccisione dei figli, un tema drammatico trattato con sobrietà e forza, che a me ha molto colpito. Aggiungo che recentemente ho letto, anzi, letteralmente "divorato" un altro libro di questa scrittrice, che consiglio a tutti, "Il libro dell'oppio", che mi ha coinvolto moltissimo per i temi - parla infatti di droghe e specificamente di eroina - e il modo di trattarli: raccoglie scritti incredibili che risalgono anche all'adolescenza dell'autrice e mi ha riportato alla mente il Trainspotting di Welsh, un approccio simile. Può piacere o non piacere, ma non ti lascia certo indifferente come tanta poesia contemporanea, pure ricca di sottigliezze e di sofisticate soluzioni formali.
    Rodolfo Bini

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  9. sono d'accordo che i temi trattati sono profondi, importanti e, probabilmente, vissuti. Rilevavo la debolezza di alcuni versi rispetto il parametro della "originalità". Io credo che quando un verso è debole sotto questo profilo perde anche di forza, appunto perché lo avevamo già letto, già metabolizzato altrove.

    Sono d'accordo anche sull'ultima questione: la sofisticazione, in poesia, nuoce alla salute della verità e del lettore.

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  10. Un bellissimo libro.
    Carol Phi.

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  11. Ho letto sia Fenomenologie seriali, sia Il libro dell'oppio, e in futuro vorrò leggere ogni cosa scritta da questa autrice, che riesce a scuoterti, a darti quello che non ti aspetti: la verità su cose che ben pochi dicono, Bello e basta.
    Camilla Brioschi

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