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venerdì 21 ottobre 2011

Roberto Capuzzo


Ci sono percorsi esistenziali che chiedono la parola poetica sin dapprincipio e quelli in cui essa giunge piano piano, a completamento di una sensibilità che finalmente vuole una forma appropriata, un suo ritmo anche alfabetico. Questo è l'evenienza di Roberto Capuzzo, poeta «da una decina d'anni», come scrive nella biografia, quasi quelli che lo stanno accompagnando all'età nuova del congedo lavorativo, ma non certo intellettivo e fisico. Attività intrapresa con rigore - visto che Atto di pensiero (Cierre Grafica, 2011) è la sua terza raccolta - durante la quale ha seguito «i seminari-laboratori" di Ida Travi.

Del suo secondo libro, Il silenzio, le cose (Cierre Grafica, 2007), qualche tempo fa sottolineavo «i modi pudichi di guardare e di annotare il divenire del mondo, così che le cose nominate vengono alla luce come da un fondo misterioso, che si ritrae silenzioso dalla vista ma non dal sentire. Sfrondati i rami del racconto, l'essenziale dei viventi trova dimora in queste poesie, in una purezza che diventa scelta di vita, eticità».

Di Ida Travi, in Atto di pensiero, si respirano certe le atmosfere sospese in un'aria metafisica, con qualche stanza-universo in cui qualcosa di vero accade: «La luce è accesa / dentro la casa, rischiara / gli insetti della notte». Verso esemplare anche per una seconda ragione: l'adiacenza della luce e dell'oscurità, messa in opera, come scrive Gio Ferri nella prefazione, non per «contrastante colloquio» bensì in una vicinanza adialettica, «in un unico accordo naturale». Ciò fa parte, aggiunge il critico, «di quella oggettiva osservazione» che contraddistingue il libro, essenziale più del precedente, direi, e vicini anche nei temi. Forse qui il conto con la memoria è più serrato, così come il tentativo di stare «indifferente» al suo «movimento» di «ceneri [...] sollevate / e ricomposte e nuovamente sollevate». Perché la vita fugge ma la poesia può tentare di fissarne il segreto, mostrarne la superficie attraverso frammenti emblematici, come l'irrigidire «gli angoli della bocca», l'abbandonarsi «per amore» di una donna all'«acqua limpida di un lago», «il pulsare delle ferite», tutti segni del corpo, risposte all'incedere del tempo, cui la parola dà ospitalità, diventando poesia. Talvolta, essa è persino epifanica, dando all'evento un senso universale, alludendo ad una ragione imperscrutabile che fonda il perché delle cose e ci consola. Ecco allora «il fiume che trasforma / in luce le pietre / e i passi della ballerina / in smeraldo» oppure un gioco di bimbo dal moto casuale in cui il poeta legge l'ordine fisico del mondo al quale nessuno può sottrarsi: «una manciata di sassibiglie / lanciata nella stanza / invasa di sole // ogni oggetto proietta la sua / ombra e le ombre affilate / si dispongono in relazione / perfetta».

Atto di pensiero, in definitiva, ci riporta alla necessità di equilibrare passione e ragione, dando più penso al distacco analitico, non per amore verso la scienza, comunque amica, ma per sopravvivere al dolore degli altri e per riuscire stoicamente a distaccarsi dal proprio.



**

Accanto al fuoco il calore
scioglie la compostezza
del movimento. La luce
intermittente penetra,
inconsapevole, in altri fuochi,
mai da allora spenti.

È possibile che di taluni di essi
più non vi sia la casa
o il prato o il bosco e che
le loro ceneri siano sollevate
e ricomposte e nuovamente sollevate.

Sono ora indifferente a quel
movimento, del tutto estraneo
al sopravvivere delle azioni
che ancora mi affermano.





**



Dalle voci i volti
presero forma e riconobbe
il fratello lungo la riva.
È il fiume che trasforma
in luce le pietre
e i passi della ballerina
in smeraldo.




**



Dentro di te
tra i petali il profumo
è puro bianco
e pietre roventi.

Una manciata di sassibiglie
lanciata nella stanza
invasa di sole.

Ogni oggetto proietta la sua
ombra e le ombre affilate
si dispongono in relazione
perfetta.




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E’ lontana
la stanza dei vetri opachi.
Il tremito irrigidisce
gli angoli della bocca.
L’attesa ha ricevuto risposta,
reclina il capo lungo la scala.

Si incammina
il passo è incerto nel sentiero
dei cipressi, il respiro profondo.
Perla è il colore del ritorno,
il treno scuote
il sonno alfine la prende.





**



Graffiano l’ombra
gli occhi, il buio li nasconde
dietro la siepe. Osservano
il sogno della giovane
che tende la mano.

La luce è accesa
dentro la casa, rischiara
gli insetti della notte.

I primi uccelli,
nell’ora di cui mi avevi parlato,
disegnano ampie trame,
fino a che la luce.




**



Invaso dal tempo riunisco
i frammenti disseminati
nella stanza dove il viaggiatore
ha posato la sacca.

Sono le luci dell’aurora
a riaffiorare il bianco.
Mi accompagna il tuo profumo
mi raggiunge e recede, come è
la tua presenza, discreta e insonne,
linfa nel mio moto circolare.

Ti ho letto
dell’acqua limpida del lago,
della donna che per amore
vi si abbandona, delle particelle
di impensabile piccolezza
che ci danno luogo.
Tutto questo già era dentro
racchiuso nell’interno.





**



L’ho sentita cantare questa sera,
delle luci che sanno muovere l’aria,
di chi fiducioso nel bosco s’incammina.

Del suo stare in equilibrio
è segno il pieno,
racchiuso nella scatola dei colori,
riaperta senza preavviso
con atto di pensiero.




**



La parete inclina
forma angolo,
sono le dita a sostenere
il corpo finché il baricentro
ribalta la figura e l’arco
riprende moto,
sino dentro questa
fragile sera.




**



Non di persona
ma a suo modo si avvicinò
al piano inclinato
dove le biglie si incontrano
e la ragazza
-assumendo una posizione
del tutto naturale- indica,
e provò a camminare.

Nell’angolo degli orologi,
muove preciso
il tempo. Di tanto in tanto
frazioni impercettibili
si frappongono tra alcuni
dei secondi concedendo
spazio al silenzio.





**



Scopro parole che non conoscevo
o che mai avevo pronunciato:
esserci, malattia, non più essere,
distillate con precisione
tanto da poterle leggere da lontano.

Ad ogni passo, nella sera avanzata,
le foglie ritrovano posizione
lungo il viale.
Non temo il temporale
e il percuotere tormentato d’autunno.




**



Si raccoglie l’impercettibile
in perfette geometrie,
attraverso lo schermo
fluiscono, non lasciano
traccia del passaggio.

Allineata ogni forma
sfugge alla regola un filo
trascinato da cirri,
sale, rilascia sostanza,
si perde nell’oltre.




**



Sai dire con le parole,
lette o solo scritte,
diventano rigo.
Quando la pagina è sollevata
consuma ogni carattere
mano a mano che il segno lo trasforma.

Ne rimane il riflesso, continuo,
persistente oltre l’udito stesso
sino a che solo risuona.
Da lì le sfioro la mano,
nel silenzio.



Roberto Capuzzo è nato nel 1952 a Verona, dove esercita la professione di avvocato. Fa parte del Gruppo laboratorio poetico "Poesia in corso", con il quale ha aderito a numerosi eventi e spettacoli di poesia e musica. Suoi testi figurano in antologie e volumi collettivi. Nel 2003 ha pubblicato la raccolta Senza vera regola e nel 2005, per la Collana di poesia contemporanea Via Heràkleia, la raccolta Il silenzio, le cose. Ora è uscito, per la stessa collana (curata da Ida Travi e Flavio Ermini), Atto di pensiero.



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