Gianmario Lucini, lucidissimo critico della poesia italiana contemporanea, ha dato alle stampe Sapienziali (puntacapo, 2010), "nove sequenze" bibliche e "36 poesie" civili, legate da un unico tema: l'ingiustizia antica e moderna, con le "lettere prostituite" di foscoliana memoria e il "baratro" in cui viviamo, l'oscurità dalla quale Lucini scrive calcando – a suo dire – l'impoetico ("l'impoetico dorme nella mia scrittura"), perché, lascia intendere, altra via non è praticabile quando si vive nelle tenebre. In verità, la sua poesia canta con una pienezza cara ai classici; semmai è l'oggetto ad essere povero, basso, specie nei 36 lamenti per morte di una regione, la Calabria, per mano dell' 'ndrangheta, che cementa "scheletri e pilastri", depredando uomini e paesaggi. E' ancora possibile, si chiede l'autore, cantare la bellezza, "quando si vive al ritmo dei topi"? E come può "il candore dei fragili versi / di una poesia" salvare il mondo? Questioni che Adorno pose rispetto all'arte dopo Hiroshima e che Vittorini tradusse nella necessità di separare arte da consolazione, per un "impegno" che fosse anzitutto conoscenza del reale, arricchendo l'umanesimo con i saperi complessi del presente. Lucini mi pare scelga solo lateralmente questa via, così come non gli basta la denuncia del degrado. Nel profondo, si sente in lui il passo profetico di chi invoca la rifondazione dell'inizio, di chi attende vigile che il trapasso si compia, mutando la miseria in salvezza. Non è solo il cristianesimo apocalittico il referente, ma, credo, anche il Trakl di A un morto prematuro, laddove questi parla di una nuova stirpe governata dalla "più quieta infanzia". Scrive infatti il poeta di Sondrio, certo coniugando "stirpe" in qualcosa di assai più pessimistico: "Siamo soltanto la ciurma testarda / a traghettare nel futuro la speranza". Questa brigata delle lettere, che non poggia su alcuno tessuto politico presente e che, anzi, da esso si sente incompresa, agisce spesso in rete, nei blog, nelle riviste cartacee non sponsorizzate e trova nell'associazionismo solidale l'energia morale per continuare la propria lotta. In particolare, Lucini dedica la sezione calabrese all'Associazione Don Milani di Gioiosa Jonica, con la quale ha collaborato, da volontario, tra il 2008 e il 2009. La resistenza alla barbarie, sotto il profilo stilistico, consiste appunto nella scelta classicista, che si sostanzia nell'imitazione del dettato e dell'allegorismo testamentario (soprattutto nella prima sezione), nell'accento posto sull'umanesimo, in una certa propensione all'armonia del verso e nel sospetto nei confronti della scienza e della tecnica. Più realistica la lingua di scirocco, la seconda sezione, mossa sintatticamente, volutamente sporca e civile o forse, meglio ancora, responsabilmente cristiana nella misura in cui si fa denuncia nei confronti del male e dei malavitosi, che diventano emblema di una cultura centrata sul culto della personalità, sulla tirannia dell'individuo sulle masse, cui Lucini contrappone, qui e altrove, la partecipazione alla polis quale evento essenziale dell'uomo, che è zoon politikon, ossia animale politico come bene insegna Aristotele.
da Sapienziali
Io sono la Sapienza e abito nel vuoto
fra l’abisso e l’abisso, sono scintilla
che graffia l’orizzonte come stella
un lampo nelle notti dell’umano.
Ho aperto la porta, ho acceso il focolare
ho chiamato i miei figli a rinsavire
prima che ardesse l’astro di sventura
e si levasse il vento a urlare e sradicare;
ho pianto nella notte, ho la gola riarsa
ho il cuore pesante,
oggi per sempre ho richiuso i battenti;
cessate dunque di bussare alla mia porta:
resterà sempre chiusa, soglia muta
– come l’arida tecnica o la scienza
che si esalta per una formula nuova,
cerca la gioia ma sparge dolore –.
**
Io sono la Sapienza e non ho corpo, non ho voce;
non sono la parola che straripa dal suo tempo
non sono il silenzio che contiene ogni parola
sono l'orecchio che sente
vibrare nell'abisso altri mondi.
Ho gli occhi chiusi, il vuoto li rapisce
dove ogni meta è confusa con l'origine.
Il sale spezza le labbra ai miei sorrisi.
Io sono il grande invito nel diniego
- la libertà è la grande meretrice
che si dissipa in cacce spensierate
a briglia sciolta giù per le colline
in un vagare per vagare, senza fine -.
da Scirocco
Se vai lungo la costa dello Jonio
da Reggio a Squillace, osservali
gli scheletri di muri che la ‘ndràngheta
ha disseminato lungo il litorale
e rifletti se questo è il Paese
magnifico che abbiamo ereditato
dagli antichi Greci e dai Normanni.
Considera poi che la bellezza
è soltanto una piccola preda
nel carniere dei loro misfatti:
rifletti sulla tua stessa vita
aggrovigliata nel disordine e nel grigio
dell’incertezza che ti consegna inerme
a giochi segreti e perversi
di massoni deviati;
non crederti indenne perché abiti a Milano
o al Nord o in Inghilterra
in ogni Paese ormai la guerra
unilaterale è da tempo dichiarata:
la ‘dràngheta avanza, il mondo
le cade fra le braccia
- illuso di sconfiggerla
con l’efficienza della polizia
o il candore dei fragili versi
d’una poesia -.
Elegia per il mare
Immagina una spiaggia slanciata verso sud
a capo Bruzzano arcigno levarsi
dalla spuma che fende la caligine del mare
nel crepuscolo. Biancheggia all’arenile
la sozzura venuta giù con l’amaro
succo delle fiumare
e che risputa il mare quando s’infuria
sotto lo scirocco e il maestrale.
Io vi passeggio, catturo immagini
come potesse qualche scatto abradere
questo scempio, ricondurlo all’origine
farlo sparire, cancellarne l’incubo
ritrovare l’arenile degli antichi Elleni
che qui approdarono e chiamarono bellezza
questa lingua di monti che sorge dal mare.
Qui ritrovo le loro vestigia, le mura
di Locri Epizephiri, i templi, le tombe
coi vasi preziosi. Anche l’epoca nostra
lascerà monumenti sotto la rena:
grovigli carcasse, plastiche, cemento
e d’ogni veleno e porcheria
per le future leve dell’archeologia.
Colpa di nessuno
Le discariche abusive sulla spiaggia
a Bovalino sono colpa di nessuno
non specialmente della ‘ndràngheta
- seppure è nel caos che si genera
la sua cultura irresponsabile -.
Le colpe di nessuno sono accumulate
per il disgusto collettivo fra i canneti
rifiuti con nomi e cognomi
che nessuno osa pronunciare,
che nessuna forza della Legge
potrebbe mai indagare.
So di essere un poeta indisciplinato
e scrivo versi brutti raccontando le brutture
so d’aver deviato
dileggiando i canoni estetici:
scrivo corsaro e veloce in prosa
versi che mai avrei voluto scrivere
se altra fosse stata la coerenza
fra l’ideale e l’esperienza;
ma l’esistenza qui pare un beffardo
rifiuto d’ogni decenza
e anche il volto di Dio sembra fuggire
nella luce del mare avvelenato.
Vorrei scrivere che ho trovato la parola
quella sola che raddrizza ogni stortura
ma sono coerente
col mio niente che domanda e tace.
dal Monologo del dittatore (Inedito)
Accarezzavo il vello e ascoltavo il belato
dei capri espiatori
sacrificati al furore del mio popolo.
Col sangue li ho resi puri e inflessibili;
pochi per il bene di molti
è la chiave di ogni paradiso
qui in terra per i secoli dei secoli.
Questo semplice algoritmo durerà in eterno
dopo ogni popolo, ogni era;
la storia può essere rinchiusa nel palmo d’una mano
in poche parole chiare e finali,
nella semplicità di un desiderio e del suo adempimento,
con la potenza d’una fede
senza carità e senza occhi (oh gli occhi,
questi orribili spettri
dei giorni alla deriva...).
***
Questa notte mi sono calato nel bunker
e ho gustato il passare del tempo al di fuori del tempo.
Lo scompiglio, là in alto di un mondo
impoverito dalla mia assenza
m’inteneriva sino alle lacrime.
Ho provato la gioia dell’angelo che vola negli abissi più profondi
nella leggerezza che separa la vita e dalla morte.
Forse Dio è soltanto
un Essere rinchiuso in un bunker
che ascolta lo scompiglio del mondo e sorride con orgoglio
d’essere l’oggetto d’un perenne desiderio.
***
Le cose hanno un’anima sincrona
al mio volere, le cose
seguono l’ombra della mia mano e ombre
d’uomini sulla sabbia sono il vento
de mio volere che con impeto e dilaga e svelle
ogni insana fantasia di libertà.
Sulla carta geografica precedo i battaglioni
il loro passo chiodato e il volo
dei miei angeli d’acciaio.
Ho sorpreso me stesso spegnendo il mio sigaro cubano
su quella caccola nera dove sta scritto
Bengasi.
Gianmario Lucini, classe 1953, vive a Sondrio. Gestisce il sito Poiein.it che pubblica scritti di critica, narrativa, poesia e arte, discipline umane e sul quale svolge una intensa attività come critico, recensore, polemista e poeta. Organizza annualmente i concorsi letterari dedicati a David Maria Turoldo (alla IX edizione) e a Franco Fortini (prima edizione nel 2010). Ha pubblicato di recente la raccolta Allegro moderato (2001), Sapienziali (puntoacapo, 2010) A futura memoria (CFR, 2011) ed ha partecipato alla collettiva Poesia del dissenso, (Troubadour, 2004, con E. Passannanti, F. Ciofi e R. Astremo). Nel 2010 ha pubblicato quaderni monografici per l'editrice Puntoacapo, dedicate a Arnold de Vos, Annamaria Ferramosca, Daniela Raimondi, Giovanni Nuscis e Valeria Serofilli. Dall’autunno 2010 svolge l’attività di editore con la sigla CFR edizioni.
Lucini, ovvero la dedizione totale, rigorosa scrittura e sacrificio per l'unica causa amiessibile e ammessa: la dignità umana. Quand'essa è calpestata 'anche il volto di Dio sembra fuggire' fino a rinchiudersi in un bunker e l'amata scrittura rischia la bruttezza 'raccontando le brutture'...ma poi sono perle i due testi scelti da 'Sapienziali', una voce monologante che viene direttamente dal teatro greco.
RispondiEliminaDo volentieri questa testimonianza di stima per il poeta e per l'uomo, perchè davvero Gianmario Lucini da anima e corpo nella vita e nella poesia. Come pochissimi.
Antonio Fiori
grazie Antonio: è raro trovare tanta fedeltà ad un pensiero e ad un'azione. Le tue parole sono preziose per chi avesse dubbi sul ruolo del poeta, oggi.
RispondiEliminaVorrei scrivere che ho trovato la parola
RispondiEliminaquella sola che raddrizza ogni stortura
ma sono coerente
col mio niente che domanda e tace.
Questa l’essenza umana di Lucini, subito percepibile da chi lo accosta, questa richiesta-continua nel suo fare indagando pensiero e parola- di veder emergere la limpidezza dell’uomo.
La sua è una parola tersa di denuncia, un invito alla fermezza troppo spesso dimenticata. Parola che colpisce il segno perché, pur mostrando profonda sapienza, si avverte il suo porsi ” umile”, dunque superiore. Qualità ossimorica di ciò che è vicino al vero.
Grazie, Stefano, per la diffusione di una voce necessaria.
Annamaria Ferramosca
"se ancora c'è un Giusto sulla terra, questi è Gianmario Lucini" Una definizione azzeccatissima di Claudio Roncarati lo psichiatra-poeta vincitore del "Fortini". "Voce di popolo voce di Dio"- mi sembra commento molto aderente a questa definizione. Dato che siamo in tanti,credo,a nutrire stima profonda per lui, per il suo spessore umano e poetico.Persone come lui si contano sulle punta delle dita.
RispondiEliminalucetta frisa
Non si può, in effetti, scindere la figura umana e artistica di Lucini proprio perché azione e parola dialogamo costantemente e coerentemente operano.
RispondiElimina"Nel profondo, si sente in lui il passo profetico di chi invoca la rifondazione dell'inizio, di chi attende vigile che il trapasso si compia, mutando la miseria in salvezza."
RispondiEliminaParole che sento di condividere, cogliendo con precisione e sintesi un aspetto fondamentale della personalità di Gianmario. Sapienziali è una delle più belle raccolte uscite lo scorso anno, per qualità di scrittura e per l'umanesimo autentico che le pervade. Uno dei pochi, Gianmario, che si spende, nei fatti, per dare voce alla poesia (altrui), battendosi nel contempo per un'idea di società (basta andare nel suo sito, Poiein, e su quello della sua casa editrice, CFR, per vedere le molte iniziative ed interessi, le centinaia di interventi critici e prese di posizione).
Grazie dunque a Stefano per aver saputo guardare, nel profondo, un libro e uomo.
Giovanni Nuscis
Gli apprezzamenti degli amici sono dolci e fanno arrossire...
RispondiEliminaMa io so, in cuor mio, di essere in buona compagnia: perché chi vede, vede quello che sa vedere, e lo riconosce perché è suo.
Ringrazio anche le parole forse per me troppo grandi (e comunque siano di sprone) di Stefano: "Non si può, in effetti, scindere la figura umana e artistica di Lucini proprio perché azione e parola dialogamo costantemente e coerentemente operano". Non si può scindere: la poesia è vita, è, in fin dei conti, quello che fai e sei o che speri di essere o che vuoi essere. Questa è la libertà che cerco, come tutti voi.
Grazie per tutto.
Gianmario Lucini
Lucini, con la sua voce poetica, fa sentire al sicuro parecchie coscienze. Voglio dire che il suo io si estende alla pluralità di chi magari pensa quel che egli dice ma non sa dirlo. Si fa dunque carico di un certo pensiero collettivo che pur conoscendo questo nostro mondo e soffrendone, crede e spera ancora nel rimedio delle nuvole.
RispondiEliminaHo dimenticato la firma:
RispondiEliminaCristina Annino.
grazie a tutti per i commenti: tutti a lodare l'impegno effettuivo, sul campo, di un autore che si spende anche per gli altri.
RispondiEliminaLA COSCIENZA INFELICE CON L’AFFETTIVITÀ LARGA
RispondiEliminaLa poesia di Lucini non è quella dell’epica urbana ipotattica, senza centro, che non ha molteplicità, e nemmeno l’ozio del flâneur, ma come nella poetica urbana del XX secolo, il poeta-Lucini sembra che sia l’uomo del bisogno, come una città moderna ha un io spezzettato in quartieri isolati ma che non si risolve mai in un mosaico di comunità locali, di borgate; non è, la poesia di Lucini, nemmeno dentro la staticità del particolarismo e, al contrario, non funziona nemmeno con lo spostamento flâneuristico dell’io(o del fantasma) come avviene nella poesia di Franco Beltrametti, Luciano Troisio, Leonardo Mancino, Franco Verdi.
Nella sua poesia, la segregazione sociale dell’io è speculare, mi pare, all’uniformità della “coscienza infelice”, senza, però, che il testo funzioni a “deissi indefinita”, come avviene in Raboni.
Questo perché per il suo attante(ammesso che ci sia) non si può parlare né di deprivazione emotiva né di generalizzazione.
V.S.Gaudio
condivido in pieno!
RispondiEliminadirei che spera in qualcosa di più del rimedio delle nuvole e anche in questo intimo soffrire mi pare ci sia un senso di grandissima dignità e fierezza, niente a che vedere con il narcisismo nichilista di tanti intellettuali di oggi. Complimneti
RispondiEliminaLaura
esattamente!
RispondiEliminaUn applauso a Gianamrio, non solo per questa sua notevole raccolta, ma per il suo incessante e rigoroso lavoro di diffusione della poesia e dei nuovi autori del panorama poetico italiano.
RispondiEliminaUn saluto,
daniela
questo è un vero poeta...
RispondiEliminacon la P maiuscola!
Buona sera
C.
Gianmario è e continuerà ad essere la cattiva coscienza di tanta poesia vana effimera che mette in scena pedissequamente il "teatro" del sé e non del soggetto che fa esperienza del mondo e la descrive . La pulizia umana/etica/spirituale espressa da Gianmario non si dimentica più .
RispondiEliminaleopoldo attolico -