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martedì 10 novembre 2009

Alberto Cappi, Poesie 1973 - 2006



L'uscita di un'antologia personale, definitiva per la sopraggiunta dipartita dell'autore, è qualcosa di più che un resoconto dettagliato di un lavoro, ma dà l'opportunità di riflettere sul valore complessivo dell'Opera. Nell'attesa che la critica, nelle sedi opportune, s'impegni in tale impresa, dirò qualcosa di preliminare intorno a Poesie 1973 – 2006 (a cura di Mauro Ferrari, puntoacapo editrice, 2009) di Alberto Cappi.

La mia impressione, leggendo passo passo le 12 sezioni che sostanziano il libro, da Alfabeto a La bontà animale, è che Cappi si sia attardato forse troppo nella ricerca neoavanguardistica di stampo strutturalista, sperimentando le possibilità della parola e dei sintagmi con gran rigore, ma come un soldato chiuso nella sua stanza che, assieme a pochi altri arroccati nel fortino, non abbia visto la guerra finire, la qualità dei tempi mutare, l'orizzonte allargarsi verso una nuova relazione fra poesia e pubblico, fra società, ormai completamente indifferente alla problematizzazione delle proprie strutture formali, e l'istanza comunitaria di un popolo (quello della poesia, per quanto ridotto) che intende resistere al proprio annullamento mediatico e politico, anche attraverso una parola poetica di nuovo capace di nominare il mondo degli affetti e dei fenomeni. E' infatti vero che Cappi, come scrive Ottavio Rossani, nel BlogCorriere del 1/09/08, "si è imposto come il cultore della estrema manipolazione della parola, con ardite combinazioni, inverosimili concertazioni, disarticolazioni e ricostruzioni. Un lavoro di scavi, rotture, ricomposizioni: una scrittura unica e carismatica, al di là del significato, che alla fine comunque emerge in un magma espressivo ribollente e mai definito", e tuttavia, appunto, tali esperimenti, se negli anni Sessanta - primi Settanta potevano trovare ragione in una lotta al sistema attraverso la messa in crisi dei suoi codici, successivamente hanno rischiato di diventare maniera, esercizio, applicazione di un pensiero già dato (In Cappi, l'aveva già sottolineato nel 1981 Mario Lunetta, in Poesia italiana oggi (Newton Compton), tale debito faceva riferimento "agli anagrammi di De Saussure", ai "prelievi effettuati da Agosti, al concetto di anafonia di Barilli, di anatema di Baudrillard, alle relazioni inconscio-linguaggio suggerite da Clark, all'analisi dei giochi enigmistici verbali del folclore attuata da Jakobson, alla rilettura di Starobinski, non che alle nostre cantilene, nenie, filastrocche"). Certo il taglio che Cappi incide nel tessuto comunicativo e il timbro delle sue soluzioni alchemiche non mancano di originalità e di rinvii alla tradizione (per esempio, sarebbero da approfondire sia il suo legame con Pascoli e sia il dialogo con il divino, non lontano dalla sensibilità ungarettiana), tuttavia il suo percorso, d'acchito, sembra arenarsi per troppo tempo in questo coloratissimo ma pur sempre immobile acquitrino, laddove i migliori poeti della fine degli anni Settanta sentirono la necessità di passare oltre, di uscire dal laboratorio, per incontrare finalmente gli uomini. Non più dunque una verifica del potenziale linguistico, bensì uno stare nell'aperto del mondo, resistendo all'annullamento antropologico prodotto dalla società dello spettacolo, attraverso un attrito semantico ed etico, dove il biografico ha riacquistato importanza.

Il cambio di rotta avviene a partire da Piccoli dei (1993), ma giunge a maturità soltanto nel 2004 con La casa del custode e con il libro successivo (assente dall'antologia per ovvie ragioni editoriali), dal titolo Il modello del mondo (Marietti 1820), uscito nel 2008. La svolta, riconosciuta anche da Rossani e Rondoni, trova a mio avviso in Quaderno mantovano (1999) il suo perno sostanziale, laddove le relazioni amicali vengono in primo piano, rimanendo una costante sino alla fine. L'intimità, che i testi per gli amici espongono, non diventa mai oscena, sintetizzando piuttosto i frammenti di un discorso esistenziale fra due mortali, dove frasi opere ed omissioni si combinano nel testo per mettere il punto della situazione dialogica, così da ripartire poi di nuovo in privato, fuori dal riflettori. Credo che si debba cominciare da questa rete d'affetti per ripensare l'Opera di Alberto Cappi, che ha la sua cifra complessiva nella sfiducia nel mondo e nell'uso rituale dell'alfabeto, oltre che nell'idea che poesia sia un "arso dono" che la storia, matrigna, rifiuta, così che non resti al poeta altra via che "affondare poco a poco in nessun loco,/ smemorare, per astuzia o erranza,/ e poi smembrare, dividere, giocare". Se la ragione profonda, anche del suo gioco strutturalista, riposa in tale drammaticità (e non è, dunque, maniera come sembra in superficie), allora la persistente adesione di Cappi ad un modo del poetico storicamente determinato rivela tutta la sua pregnanza e, perciò, trova giustificata coerenza. Questa ragione ideologica non basta tuttavia a fondare il valore della sua Opera; uno studio serio in tal senso, che volesse togliere il sospetto di epigonismo alla sua ricerca, dovrebbe infatti verificare il contributo che egli ha dato alla poesia italiana contemporanea nello sperimentare il limiti del tessuto linguistico e sintattico, mentre, per quanto riguarda le poesie della svolta, occorrerebbe misurare quanto d'ineludibile rimane, a partire dal connubio che egli istituisce – nei suoi testi migliori – fra sperimentalismo fonematico-versale e linguaggio quotidiano, il cui effetto è un'asimmetria stratificata, spesso mimetica all'instabilità del tempo presente, talvolta capace di portarci nel cuore della verità del tempo tout court, della cura che il tempo è quando lo sappiamo ascoltare. Forse riposa in quest'ultima acquisizione il punto più memorabile della sua poesia, e con questo metro dovremmo misurare tutta la faticosa ascesa (più di trent'anni) che egli ha compiuto per raggiungerlo.



da PER VERSIONI

VACANZE


g

nibbio lume
nebbia piuma
pioggia fune
sfuma
g di linua
l'anolo del tuono



p

lisca rena
mana tana
nassa luna
sfama
p di coro
l'ugola del esce




L'aria

l'aria
la gara
la dolce finzione
il ventre
la riga
la divisione
mentre
l'arida ruga
l'azione
aggira il
simbolo rete
ruoto l'arena
l'arnia
la sete
l'antrodilete
sintomalendo
il tomo
la ria
moke l'arma
del fono



Gerundio

generando la nottola e il topo
germinando la trappola e il gene
la notte il genere errando
la mina l'atropo e il tropo



Infinito

scovare l'immagine e il dono
le mani nel cavo scolpire
scavare la voce nel nodo
il colpo dell'ira nel covo



Imperfetto

teneva testo e la tela
palmo l'orca addentava
tesseva tèndine l'ora
arco il lampo attendeva



Inverbale

rattratto il sonno e la trama
il sogno la tana rapito
ritratto il suono e la tara
il trauma la sosta tarpato



da PICCOLI DEI



dio dell'acqua

dio delle acque e della
pioggia lucente dio
delle splendenti iridi e
della liquida elle
o dio che avanzi dal lontano
pesce dei silenzi
dalla tana nella rete
che imbriglia il tuono
piuma del cielo
occhio acquitrino
rapace vino
lenza e gelo
dio del battello e dell'uomo
scampo e ristagno
dardo di nebbia
serpeggia
ricurvo l'amo
dio dei nostri padri
padus nomen flumen
delle rane e del rame
pane
della tarda rena vegetale
verde alabarda e vento
bardo o osso
che suona nel tempo
pube animale
specchio di nube
che è pecora azzurra
o sole
cruda argilla
seme
lampo
culla
stampo
nulla
del nostro dono
dio del perdono



da QUADERNO MANTOVANO


a Rino Lappi

Guarda — mi dice Italo Lanfredini — qui
i pittori ferraresi gli hanno dato esca;
guarda: traspare Degas, e, vedi?, la parete
è di Van Gogh; dai, rincorri Morandi, Semeghini,
la sottile dolcezza depisiana, la meraviglia
cruda dechirichiana.
Io sono ancora qui, Rino, decenne caduto
da una bici che mai ha vinto gare, lì, nella
tua bottega, scura come ti si dipingeva,
scorbutica, con quel magro fare che toglieva
una "p" e tra i lupi in solitudine portava.
In abitudine la Cartoleria Carreri: c'era
la gioia nel pensiero. Gino Baratta, navigatore
insonne di pagine astrali; Centis che a Londra
andò davvero; Bugni con i suoi ghiribizzi
musicali d'ironia.
Sulla via il tuo Po ha, a volte, il colore
del mosto, quasi omerico mare; la neve visita
da vicino vicoli felliniani; filini d'alberi
annunciano nel tino i cangiamenti della natura;
il bosco va e viene lungo il fiume; un bianco
balocca sotto l'orologio; adagio, gli interni
impallidiscono di vertigine; i fiori s'innamorano
della loro origine vegetale.
Siamo ancora lì, sulla tua scala natale,
gradata, istoriata, portata alla soffitta
dove la vita, la morte, la sconfitta,
hanno arte e pace.



Ad Alberto Spagna

Vorrei vederti una di queste sere
con la sorella dal nome di campana,
Dianella Spaglia, e sapere
che la grappa si accende ancora
negli occhi blu della ragazza
che tra i tavoli guazzava, gazza
d'osteria, quotidiana litania,
e noi che nella notte desta, in vespa,
a ripercorrere il destino o il tino
di una botte di cantina nella china
stellata della valle: la luger
apre falle e leva il fuoco. Ehi,
ti ricordi il prima e il dopo?
Dio benedica la memoria, Alberto,
benedetta sia la nostra storia



da QUATTRO CANTI


primo canto della neve

quando venne la neve
la neve portò bianchi glicini
e dolci tortore di farina
quando venne la brina
anima candida luce di luna
quando candì il giorno intorno
e l’oro si fece solo sole
quando la notte si annodò
e nodo e nido furono uno
quando il violino suonò le note
della terra bruna e del mare
quando ritmando e poetando
siamo tornati ad amare



secondo canto del vento

dove venne il vento
il vento seminò sibilanti serpi
sui sentieri del sonno e del sogno
dove venne l’uomo e disse
sia detta aurora la prima
ora del tempo
benedetto sia il mattino
dove bambino colsi
alle cose il senso



da VISITAZIONI


*

ascolta lo scalpiccio delle stelle
clip.......... clip............. clip
che cosa abbandoni mio sole
nel buio dei millenni
per catacombe e ombre
in cunicoli di nubi
senza luce o ratio o voce
in filamenti d'arso agosto
nei lamenti
d'agra tessitura duro costo?



Per Aldo Dosoli, bancario e amico

ma che cos'è la morte Aldo?
una sosta alle porte della banca
un passaggio dallo stanco vivo
dell'esistenza all'essere senza
attivo tenendo in conto il
tremendo del canto, il saldo



da LA CASA DEL CUSTODE



La casa è il libro, il custode è il poeta. A partire dalla casa si dipana un'erranza, la scrittura. Le si accorpa la storia. Sulla pagina viaggiano i tempi, l'esilio, la guerra, le luci nucleari, le schegge dei terrorismi, i lacerti d'umanesimo in resti, le utopie di massa, i silenzi del dopo, il dopo delle spente fedi. Le voci che qua e là tendono le corde sono del testo, del Dio, degli umani, degli eventi che indicano un fato. Alla casa, infine, torna la vita: la consegna che il segno fa della memoria.



Sacrificio degli dei

Gli Dei vanno e vengono in questa casa.
Uno dice: "Sia la notte un accordo di sogni";
uno narra della distanza tra illusione e
l'antica tenera suzione di alfabeti; tra
le mura delle stanze altro incede
cucendo il tempo al tallone di una calza
da cui fugge sempre un alluce istoriato
di dolori, di fuochi, di timide esclusioni.
Di tanto in tanto dalla luna del camino
si alza una favilla di parola, fiaba
cruda, accesa, lasciata allo splendore.
Che ore sono queste che ci dan
no il dardo da scagliare verso il cielo? Chi
davvero ci conduce al tardo divenire di
presenze, assenze, tribolanze, rare e
care di smottamenti d'essere,
farine o polveri, slavine dulcamare
di malattia, di domestica stige,
di materna effigie? Un Dio canta il
proprio passo di lontananza: abitare
senza il mondo, nel fondo dell'idea,
affondare poco a poco in nessun loco,
smemorare, per astuzia o erranza,
e poi smembrare, dividere, giocare.


Risalita del demone

Salendo dal pozzo il demone scrollò la rugiada,
affilò lame all'ortica: "Fosse insetto, formica
questa gente, sarebbe purificanza il fuoco". Dopo,
levigando le corna sulla selce dell'aurora e
stelline sprizzando e spremendo per offesa,
temendo l'improvvisa resa degli intenti, rise: "
Ci vuoi tanto poco a sedurre l'uomo; è come
camminare il ciclo in consonanza al tuono,
sul carro del temporale, in girelli d'infanzia".
Nella sua danza un solco tracciava sul terreno,
un aprile meno crudele del fato, un dato
tolto alla leggenda, una lava astrale
d'invenzioni, istinti, ghiacci, solleoni,
trepidanza di bilance senza pesi e mesi e
mesi d'intolleranze. "Lo so, mio Dio,
sei qui in agguato, la tua vampa mi spaventa,
mi offende la tua luce. Disparirò in un suono,
un gorgo d'impazienza, un ghigno d'impotenza".



da LA BONTA' ANIMALE



a Cesare Cancellieri

è così Cesare che appena ieri si
sfilava sul bordo del marciapiede
un filo scucito dalla maglia rossa
ci diede sogno e volontà di amare
fa che ora si possa non cancellare
la memoria, l'uscita dalla storia.



a Giacomo Bergamini

avevi ragione: la malattia del verbo
è nervo sconosciuto ti invita a bere
alle spalle della vita; avevi torto:
la nostra notte non è fuoco, è buio
urto sorto poco a poco nel solco di
paura e d'illusione: abbiamo avuto.



Alberto Cappi, 1940- 2009. E' stato poeta, saggista, traduttore.
Per la poesia: Passo Passo (Firenze, 1965); Alfabeto (1973); 7 (1976); Mapa (1980); Per Versioni (1984); Casa delle Forme (1992); Piccoli dei (1994); Il Sereno Untore (1997). Quaderno Mantovano (1999), Quattro canti (2000), Visitazioni (2001), Libro di terra (2003), La casa del custode (2004), La bontà animale (2006), Il modello del mondo (2008).

Per la saggistica: Il Testo e il Viaggio (1977); Materiali per un frammento (1989); Linguistica e semiologia (1994); Materiali per una voce (1995); In atto di poesia (1997); Materiali per un'arca (1998); Il luogo del verso (1998); Il passo di Euridice (1999). Libro di poche pagine (2002)

E' stato redattore delle riviste "Anterem", "Quaderno", "Steve", "Testuale", "Tracce" e ha collaborato con "Poesia", "Testo a fronte", "La Clessidra", "Il Verri", "Hebenon", le americane "Gradiva" e "Differentia", la venezuelana "Zona Franca" e la spagnola "Serta".

15 commenti:

  1. Gran lavoro, Stefano, anche per la qualità dei tuoi suggerimenti in chiave di analisi critica complessiva dell'opera di Cappi. Complimenti.

    Ti suggerisco, appena hai un po' di tempo, di correggere alcuni refusi presenti nel testo (che comunque non inficiano minimamente la sostanza complessiva di un post bello e veramente importante).

    Ciao, a presto.

    fm

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  2. Grazie Francesco. Ci vediamo sabato ad Anterem.

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  3. tieni conto che le prime due poesie "g" e "p" si chiudono proprio con quel gioco combinatorio, con quella zeppa, tanto cara a noi prof quando facciamo giocare gli studenti con le parole.

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  4. Sì, gran lavoro.
    Che dà la possibilità a tutti (me per primo) di iniziare a conoscere un autore nello svolgersi del suo percorso.
    E mi sembra anche un gesto di - dovuta - memoria, in qualche modo.
    Grazie.

    Francesco t.

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  5. sì "memoria" ma anche la volontà di cominciare a parlare di un autore protagonista del presente della poesia italiana, mettendolo in gioco nella sua specificità letteraria, anziché nella veste di operatore culturale.

    ciao!

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  6. Caro Stefano,
    anch'io ti ringrazio per la sensibilità attenta nei confronti di un poeta, che è stato certamente
    un bravissisimo organizzatore culturale, ma che era, prima di tutto un poeta. E credo che in questa dimensione debba essere letto e riletto.

    Ciao. Credo che ci vedremo sabato a Verona.
    Giorgio Bonacini

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  7. grazie Giorgio, a sabato.

    gugl

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  8. marghe ealla10/11/09 22:36

    Anzitutto complimenti per la presentazione, molto chiara, direi più che “un preliminare” dal momento che sa tracciare in modo sintetico e anche suggestivo il “percorso” di questo autore, “suggestivo” perché non lo dà per completamente rivelato (calato al lettore), ma ne rileva piuttosto le tensioni a (anche incongrue).

    Cmq, di queste che hai presentate mi colpiscono le strutture
    che siano refrain di suono o di immagini, o di ripetizione in una parte tutta della stessa struttura sintattica -es nella penultima strofa di “a Rino Lappi”- ecc..)
    o di “numero”
    (nn parlo del conteggio delle sillabe, non sono in grado, solo osservo
    es: il due due due uno due due delle prime di “per versione”che mostrano lo sdoppiamento (quasi)simmetrico di sostantivi iniziale che si raccorda o im punta sull'unico verbo (bisillabo) e poi si “apre” con lettera o sostantivo + specificazione sotto;
    oppure l'uno due che dà un andamento a filo d'aria a “L'aria”
    o il tre di “gerundio” “imperfetto” “inverbale”)


    La mia preferita “Ad Alberto Spagna”
    e a seguire le ultime due da “LA BONTA' ANIMALE” (bel titolo per una raccolta, con una certa vena ironica che si ritrova poi in quelle due che hai postato)

    Per finire interessante ne la “risalita del demone” il verso “un aprile meno crudele del fato” che rovescia quasi quello di Eliot de “la terra desolata”: “aprile è il mese più crudele”.

    Grazie
    mi scuso per eventuali cavolate.
    ciao

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  9. marghe ealla10/11/09 22:40

    ecco oops cavolo, che figura :), non avevo letto ne il tuo commento del "gioco combinatorio, con quella zeppa".
    sorry
    arriciao

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  10. cara Margherita i tuoi commenti sono sempre graditi. In questo caso, necessari ossia illuminanti.

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  11. roberto cogo12/11/09 17:53

    bravo stefano! grazie della tua proposta. grazie ad alberto cappi per il suo intenso passaggio in vita. roberto

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  12. grazie a te, roberto per l'attenzione e il sostegno.

    gugl

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  13. Alberto Cappi ha traversato il novecento e le sue vicende poetiche con la leggerezza, ma pure con il coinvolgimento di un amante, appassionandosi, e credendoci,a fondo, sempre. Pper questo lasciandosi abitare, anch'io concordo, più a lungo del necessario, in stagioni della formazione. Ma per fedeltà, o amore del dettato poetico, per amore di una vocazione etica, quasi di militanza, appunto.
    Il resto e il suo divenire, sono quel magnifico svolgimento di un poeta maturo,che spicca il suo volo verso la lingua sua.. illimpidito, e in libertà.Grazie, Stefano.
    Maria Pia Quintavalla

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  14. grazie Maria Pia, anche per gli altri commenti autorevoli che hai lasciato in questi ultimi blog.

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  15. Ho conosciuto Alberto per caso, ho ascoltato l'armonia della sua poesia.
    Tengo le sue poesie qui, a portata di mano.
    Della sua intelligente ironia resta ilare, un ammiccare.

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