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lunedì 14 settembre 2009

Francesca Ruth Brandes

L'operazione stilistica cui piega la materia poetica Francesca Ruth Brandes consiste nell'avvicinare il silenzio, che è un tutto pieno di tensioni indicibili, tramite un verso che nasca da esso e in esso muoia. Un verso breve, denso ma non ridondante, preciso nel fissare l'immagine, che pare sospesa nel vuoto, come un lampo in un cielo scuro. Tema centrale della sua poesia è il viaggio, maturo già in Piccole benedizioni (il prato, 2006), che si apre con l'esilio «a notte cupa» dei nonni da Venezia, verso est. La storia dell'ebraismo è pregna di partenze e notti cupe. Notti che qui spingono da sotto, gridano plurali, come del resto allude il suo primo libro, Canto a più grida (Centro Internazionale della Grafica di Venezia, 2005), scritto per uscire da un profondo esilio interiore, per convertire il dolore in gioia, in parola ancora gravida di speranza. E così fa il suo ultimo lavoro, Trasporto (LietoColle 2009), il cui titolo allude, ancora, al viaggio, ma soprattutto all'abbandono all'altro, alla «passività dell'amore» in cui, come scrive Maria Zambrano citata in esergo, «la realtà si fa incontro». Trasporto è la volontà di lasciare andare il carico penoso accumulato vivendo, per abbracciare «il futuro della domanda», quell'interrogare continuo sul senso del nostro essere qui che appartiene alla cultura occidentale e a quella ebraica in modo particolare. Si pensi a Edmond Jabes e a Gershom Scholem che si spesero, tra l'altro, anche per il pacifismo, ulteriore elemento cardine della poesia di Francesca Ruth Brandes. Scelta che viene dalla volontà di dimenticare («Generato dalla dimenticanza / il più bello / dei nostri sorrisi»), dal farsi silenzio della storia personale, un silenzio-terra benedetta dal quale germoglia una parola luminosa, che addita progetto e determinazione.




VIAGGI

Che il trasporto
metta nei nervi il calore

rollare secco

che faccia leggeri
il piacere e l'azzardo
l'umile fatto

sospetto veleno
amaro

verde campo
ora si fa scura la terra
all'allungare delle ombre



PER MARIA ZAMBRANO

E il silenzio
il silenzio che si fa
è come un vaso

dicono le tue ali
di umida terra
minerale vermicola.

A noi
il bruciore bianco
dello spasimo
e più luce di prima.



PASSING BY

Non consolazioni
voglio
ma furori incandescenti
inferni vivibili

né cristallino
rigido distacco
ma insensata scelta
rischio dinamico
guaio

E il trascorrere
ubriaca i nervi
una condanna per ognuno
ti racconto.

Non consolazioni
voglio
ma prendermi a cuore
la discesa.



SAN TROVASO

Generato dalla dimenticanza
il più bello
dei nostri sorrisi
di luce allagata
la peggiore delle tempeste

al suono sul bilico
ci diamo
in un giorno d'argento.

Fa freddo a San Trovaso
e par di toccare
lo sguardo
vicino nuovo nuovo
a me che sbircio la
tua vita
si trasportano i fuochi
talvolta.



LA MATTANZA

Ima o ima
dammi un senso
santo
dai un senso al male
a tutto ch'è troppo

Ima
per le braccia
di Raja
un senso

un senso
per lo sguardo
di bestia che fugge.

E poi che piova.



HOPE

Io sono il viaggio

Hope

e si vive nascendo
offrendo il fianco
alle soste
agli intoppi di via.

Io sono il viaggio
e tu il ripensamento
il pensiero
l'attesa l'abbaglio
della tua carne d'arte

l'Angelus Novus
di Barbara

statica innocenza attonita.

C'è una ragione
nel tuo stare
un empito di volontà
l'essere ugualmente
che calma ogni affanno
dell'andare

Guai a cercarti
sarebbe idolatria


***
Questa raccolta è come un cerchio, che parte col rollare di un treno e si chiude nel riconoscimento di una necessità statica. Una pausa, uno stacco pensato, l'accettare la vita come un'onda che ti sommerge. Per questo, forse, ho citato il messaggio folgorante di Maria Zambrano: la passività come chiave per assorbire l'amore e compenetrarsi con esso. Solo che il mio andare, l'essere che trascorre nascendo (sempre e sempre, come tela di Penelope diseguale e dalle infinite sorprese) e, soprattutto, la voce che racconta le scintille, i deragliamenti, l'invettiva e la tenerezza, tutto questo è ciò che viene prima. Prima che si aprano le braccia al mistero (e a me - ribelle e sventata - poco si addice). Meglio, prima che lo s'intraveda come fulmine, meraviglioso e terribile.




Francesca Ruth Brandes vive ed opera tra Venezia e Verona. Saggista, curatrice e critica d'arte, ha scritto e condotto per RadioRai programmi di attualità culturale. Si è spesso occupata di tematiche ebraiche. Ha pubblicato, fra gli altri, per i tipi di Marsilio Itinerari ebraici del Veneto, oltre a testi per il teatro e cataloghi monografici. È collaboratrice del Centro Internazionale della Grafica di Venezia, dell'Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia, del Gruppo di ricerca visuale Verifica 8+1 di Venezia-Mestre. Tra le pubblicazioni si possono ricordare: L'altra storia, Eidos, 1995; La casa dei viventi. L'antico Beth Chaim di San Nicolò del Lido, Venezia, Atiesse, 1997; L'ultima farfalla a Terezin, testo teatrale, 1998; Pacovska. Magica Kveta, Padova, 1999; Albedo. L'acqua della luna, Roma-Spello, 2002; Tobia Ravà. Memoria del futuro, Verona, 2003; Nagual o del non-visto, Castelfranco Veneto, 2004; La parte per il tutto in Pensare e insegnare Auschwitz, Milano, Franco Angeli, 2004; Canto a più grida, Venezia, 2005; Piccole benedizioni, Padova, 2006; Tikkun, Milano, 2008; Virgiliana, Mantova, 2008.

14 commenti:

  1. mi vien subito una domanda (anche un po' banale) per francesca.
    perchè la scelta di versi corti/di un ritmo così spezzato?
    s.

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  2. Chiamala, forse, necessità di chiarezza...come di chi operi in levare. Oppure, ma ci penso ora, il bisogno di convertire le diverse lingue della mia vita in un esperanto fruibile.
    Francesca Brandes

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  3. rifaccio.
    c'è qualcosa che mi affascina, in queste poesie. però l'effetto che "mi fanno" (da qui la domanda) è una certa fatica nell'inseguire le immagini ogni volta che il verso/la spaziatura mi costringe a fermarmi...
    è una scelta per questo libro, o scrivi sempre così?
    s.

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  4. a me pare che lo stile si sia affinato - di libro in libro - proprio nell'esercizio del levare. l'orizzonte, direi, è la poesia pura.

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  5. scusami gugl ma la domanda me la strappi di bocca...
    poesia pura???
    s.

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  6. sì. soppressi gli elementi prosaici, resta il canto (di radice simbolista). vedi Valery (certo, poi, ogni poeta di questo genere fa i conti con il proprio silenzio)

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  7. la mia sensazione alla lettura è quella di versi come raggi rifratti in un prisma (l'originaria ispirazione fratta e poi ricomposta, spaziata anche) per uno spettro di parole, il silenzio della spaziatura ad assorbire (come fa il nero)o, viceversa, il silenzio come originaria matrice bianca.
    Ma certo sono condizionata dalla mia formazione, oltre che dalla poesia che io avverto, ma non so bene perché, "centrale" fra queste proposte:
    "PER MARIA ZAMBRANO"

    nella quale quel vaso
    (di silenzio, ma che in me non si fa vuoto, piuttosto si pone a mo' di vaso di Pandora :))
    raccoglie come una ampolla-lampadina
    il verme filamento bianco ("noi"!? :)) che si torce di luce e nella luce, appena messo a nudo, tirato fuori allo scoperto, dopo essere stato protetto, dalla sua stessa carne -quella bellissima "terra vermicola".
    Così esposta è la condizione umana: falena (che vivendo si brucia).

    Dentro, questa ampolla, bolla, terra, o quant'altro circolare
    circola il nostro viaggio e via andare.

    ciao

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  8. bellissima e profonda l'immagine del'ampolla-lampadina! ci circola il nostro viaggio terrestre e celeste, per dirla con il Luzi del "Simone Martini".

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  9. Vivere 'offrendo il fianco':

    'Non consolazioni/ voglio/ ma furori incandescenti/ inferni vivibili'...

    Questa poesia è insieme sfida e abbandono, resistenza e resa.
    Ha dentro la lezione di Jabes sul silenzio e la perennità del domandarsi.

    Un caro saluto
    Antonio Fiori

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  10. ciao Antonio, hai ragione: Jabes è stato un maestro che non può essere dimenticato.

    gugl

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  11. Come Silvia leggo queste poesie con attrazione, anche se ugualmente ne subisco in parte il disagio del ritmo che troppo spesso viene spezzato.

    L'essenzialità della poesia che coglie il puro ascolto, credo non verrebbe meno anche in un verso più lungo.

    In ogni caso è poesia di qualità.

    ciao Gugl! :)

    iole

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  12. ciao Iole. tornata la luce?

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  13. è vero...Jabes mi è molto caro. Grazie a chi l'ha colto...
    Francesca

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  14. Un ringraziamento a Francesca per l'emozionante presentazione di Cirvoi: una poetessa di altissimo valore, una donna che non ci si stancherebbe mai di ascoltare. Il suo libro "Trasporto" sono certa che mi seguirà ovunque andrò. Lorella.

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