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martedì 5 gennaio 2021

"C'è bufera dentro la madre", una nuova lettura di Giorgio Linguaglossa

 


Sorprende piacevolmente ricevere una lettura di un proprio libro, dieci anni dopo la sua pubblicazione. Un grazie a Giorgio Linguaglossa.


C’è bufera dentro la madre è la storia di un perdersi dentro il linguaggio materno e di un ritrovarsi in un altro linguaggio che si è allontanato definitivamente da quel linguaggio. Il tuo linguaggio poetico si situa in questa distanza, in questa tensione tra un linguaggio trovato e uno allontanato, che si è irreversibilmente allontanato dall’alveo materno. In quanto il linguaggio poetico è sempre un non domato, un linguaggio di tracce semi cancellate che baluginano nella pre-coscienza, senza mai riuscire a venire completamente alla luce.

Tutto ciò che è, è tale in accordo a un preliminare orizzonte d’essere che lo dispone. Qui si pone l’attenzione però su una cosa fondamentale, che troppo spesso rischia di essere tra-lasciata, e cioè che questo orizzonte d’essere ha un punto di vista, così come un punto cieco, e mentre quindi riceve e dispone tutto ciò che è in accordo al suo senso, è a un tempo spalancato a partire da un qui, da un ci che ne fornisce l’orientazione. Questo ci dell’essere è appunto l’esserci. Ciò vuol dire innanzitutto che tale orizzonte, in quanto orientato, non è assoluto, ha un punto di vista che non può ricomprendere tutto ma che accoglie e rigetta, seleziona e dispone, proprio a partire da qui, dal ci che esso stesso è, e non da un astratto punto distante, neutrale e indifferente. Questo è il tema centrale della finitezza di cui ogni sviluppo metafisico dovrebbe farsi carico: ogni considerazione sull’essere in generale è già sempre posta a partire da una posizione ontica che ne determina in qualche modo l’orientazione, il suo carattere.

Qui alcune poesie.


2 commenti:

  1. caro Stefano Guglielmin,

    le mie parole sono soltanto uno spunto per una futura ermeneutica, non vogliono essere niente di più... è che la tua poesia è obiettivamente difficoltosa, oppone una resistenza, è come se si ritraesse in sé in una paratia difensiva. E poi, la distanza temporale è essenziale per parlare di un libro di poesia, occorre sempre una distanza temporale, perché io penso che solo essa ci può portare dentro la poesia. E poi penso che ogni ermeneutica sia la prosecuzione di una interruzione di un'altra ermeneutica rimasta interrotta, forse perché l'ermeneutica si dà come un procedere a zig zag...

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  2. Sono d'accordo sia sul fatto che la mia scrittura sia difficile e sia sulla necessità di dare tempo al testo di sedimentarsi in una comunità. Grazie per il tuo commento.

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