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martedì 24 settembre 2019

Gianfranco Vacca



La sua poesia denota una buona consapevolezza ritmica e una buona gestione del periodo. Le tracce elegiache indicano la sacralità che attribuita al verso e la fiducia che esso possa in qualche modo salvare dall’orrore del mondo. Molto poesia contemporanea ha un disincanto maggiore rispetto a questa, sublime, possibilità, ma non è detto che essa abbia ragione.

Gianfranco Vacca, Se il silenzio se io ascolto, se i tamburi (Puntoeacapo, 2019)

I Fratelli Karamazov

Apparso alle stampe
nel Duemila o Tremila
prima o dopo Cristo
è oggi il capolavoro.
Fratello, mio amante
vieni da me
come sia possibile che il mondo viva
e la bellezza, la sua anima
cosa sia l’anima
se tu le muti in diamante
l’ordine mistico dei cieli
cosa a lei resta di noi
se le porti in mano l’innocenza
fino al gelo delle Siberie
come un pazzo tra visioni di fuoco
passando di ghiaccio in ghiaccio
tra i pericoli dell’immortalità
l’anima, alta
per tutte le volte
per ogni volta che abbiamo amato.
Ed è lei tutto quanto siamo
gli uccelli – le grida
(gioia lontana)
è lei ognuno di noi
“È chi non ha fratello
casa destino
è tutto ciò che attende e te e me
che siamo suo fratello
casa destino”
e se non le siamo questo
volto al volto come gemelli
sguardi, lo sguardo
che vede se stesso perduto
– oramai,
se non le siamo questo
un filo, appena l’altra metà del cielo
per diventarle respiro,
noi non siamo niente.


Capri

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