photo©Antonia Antonova
Segnalo l’imminente
uscita di un libro di una poetessa bulgara che piacerà ai lettori italiani.
Tradotto magistralmente da Emilia Mirazchiyska e Danilo Mandolini, con il
contributo della National Book Center di Bulgaria per Arcipelago itaca Edizioni, Natura selvaggia di Beloslava Dimitrova
ha il fascino di una scrittura libera da incrostazioni retoriche, da strutture
formalmente complesse, e questo non per l’inevitabile scarto fra le due lingue,
bensì per lo stile asciutto e quasi compulsivo della poetessa di Sofia, che
segue l’imprevedibilità ritmica dell’emozione, ma anche una precisa visione del
mondo: l’idea che la felicità originaria sia perduta per sempre e che sia
cominciata la fine del mondo. Una fine in
progress, segnata dal caos, nella quale, ci racconta la Beloslava, ogni forma di vita, umana e
animale, fatica a sopravvivere, per quanto esista un codice parzialmente
salvifico, una scrittura altrettanto originaria che fa da guida per tutti: è il
corredo genetico che garantisce a ciascuno, darwinianamente, un margine di
stabilità. Bastano cromosomi, “cibo e ossigeno” e il miracolo della creazione
si compie. Un venire al mondo, che tuttavia è sia un consegnarsi alla morte (in
Fetus: “La vita comincia / il
miracolo muore”) e sia alla violenza del vivere, secondo la logica sadico-capitalistica
del beneficio personale oppure, più in profondo, per la sopravvivenza della
specie.
Talvolta la posta in
gioco è più complessa, meno soggettiva, fino a rompere il principio di
individuazione, e dare voce a figure indefinite, polimorfe, dicotomiche (a
questo proposito, si veda quante volte il numero due è messo in gioco), come in Per
gradi affondiamo nel vuoto: “Il mio corpo è un formicaio / vedo una
sequenza di piccoli dispiaceri / che ci sono di fronte / noi vogliamo fare del
male / infilo la mano dentro, la tengo lì”. Cinque versi al centro del testo,
dove chi dice io si dissemina nella pluralità del formicaio, per poi diventare noi e, senza soluzione di continuità,
nuovamente io. Un io violento, che
distrugge tutto, pur conservandosi. Prosegue infatti la poesia: “continuo entro
in profondità / distruggo tutto / poi me stessa / poi tu / non sparisco”. Un
finale che, probabilmente, dissolve l’uno nel tutto, come se, leopardianamente,
fosse l’intero a prendere la parola, governato dal principio autoconservativo. Al
Dio della rivelazione, infatti, la Beloslava preferisce l’energia anonima della
materia, che, preservandosi, tiene nel medesimo alveo le singolarità, protese appunto
a lottare per sopravvivere l’una contro l’altra, dai batteri ai mammiferi.
Questa lotta è
raccontata secondo punti di vista originali, non lontani da quanto fece Italo
Calvino nelle Cosmicomiche. La
poetessa bulgara, tuttavia, in questo afflato ci trasmette maggiore
inquietudine, come se il processo vitale, naturale in sé, le avesse inciso la carne, lasciandole segni
indelebili, soprattutto nell’esperienza amorosa.
Ad attraversare
interamente il libro è un sentore di morte, che non viene tuttavia drammatizzato,
bensì disteso sul ruvido della lingua, con strutture paratattiche, e per questo massimamente incisive, senza
punteggiatura e caratteri maiuscoli. Ne deriva un testo che sembra scritto
precipitando, dove prevale la denotazione per tratti rapidi, sincopati, quasi
che non ci fosse più tempo per approfondire il senso della caduta e nemmeno più
la pazienza. Tutto questo si traduce in energia, ma anche in passione per la
vita, per il suo resistere alla distruzione.
La
natura selvaggia è insomma un bel libro non solamente
per la modernità del dettato, fluido nel verso e tensivo nell’organizzazione
della strofa, ma anche per i temi trattati, sovrannazionali, potremmo dire,
fuori dalle logiche conflittuali di natura politica, bensì immerso in una
filosofia del disincanto che fa i conti con la gettatezza degli esseri viventi,
alle prese con il tempo biologico prima che storico, darwiniano prima che
sentimentale.
Da La natura
selvaggia, trad. in it. di Emilia Mirazchiyska e Danilo Mandolini, Arcipelago
itaca Edizioni, 2017.
Sciagura
per
non dimenticare la Pastarmà di bufalo[*]
aggredita
dalle vespe che di essa si nutrono
come
divorando, bucandole, le budella
sono
contenta di ciò che sto osservando
poi
il riavviarsi del pensiero
che
non è giusto dividere
la
voce di tua madre dal corriodoio
il
rumore delle ciabatte trascinate
non
gettare il cibo
lava
le orecchie le mani la bocca
sii
umile sii ubbidiente
togli
questo ago dalla vena
il
telefono è caldo
pieno
di scarafaggi tedeschi
[*]
Tipico insaccato bulgaro.
Sciocchi
«Il mondo era pieno di padri –
dunque pieno di miserie
era pieno di madri – dunque anche pieno di
perversioni
di ogni tipo –
dal sadismo alla pudicizia; era pieno di fratelli,
sorelle, zii e zie – dunque pieno anche di
follia e di suicidi.
Aldous Huxley, Il mondo nuovo (Brave New
World)
un’auto
lungo la strada
l’autista
è mio padre
incontriamo
un disastro
un
vero fallimento
dell’umano
abbiamo
molta fretta
procediamo
velocissimi
per
evitarlo
entra
comunque in auto
si
siede sul sedile posteriore
ci
trasporta su di un fiume
con
mio padre siamo in una barca
il
nostro compito è contare
i
coccodrilli sulla costa
uno
due tre quattro
cinque
sette
c’è
il pericolo reale
che
ci mangino mentre contiamo
lui
dice
fosse
stato un rito antico
mi
avrebbe insegnato qualcosa
mi
dico va be’
non
avere paura
l’hanno
fatto
generazioni
prima di noi
io
faccio la mia parte
io
sono solo una persona
questi
sono i miei avi
non
mi accorgo
che
ci hanno circondati
che
ormai spingono la barca
il
quarto rosicchia il remo
il
primo mi guarda sa
proprio
dove e come
trovare
il sangue
e
non ci siamo aggrappati
l’uno
all’altra e contiamo
alcuni
minuti dopo
mi
volto guardo
il
sedile a sinistra
quando
tutto è finito
quello
seduto lì
non
è più nemmeno
mio
padre
Per gradi affoghiamo nel vuoto
Siccome
non ho bisogni esigenze desideri
decido
che la felicità è l’ozio
ne
approfitto e mi sdraio
ci
vuole un po’ di sporcizia per questo organismo
mi
trovo su di un prato
sogno
di riuscire a morire delle nostre malattie
ahimè
è impossibile
il
mio corpo è un formicaio
vedo
una sequenza di piccoli dispiaceri
che
ci sono di fronte
non
vogliamo fare del male
infilo
la mano dentro la tengo lì
continuo
entro in profondità
distruggo
tutto
poi
me stessa
poi
tu
non
sparisco
Cuore
fino
ad oggi è stato un ammasso dormiente
di
cellule muscolari
da
circa il ventiduesimo giorno una cellula
spontaneamente
si è stretta
ha
eccitato quelle vicine
provocato
reazioni a catena
e
tutto il contenitore ha cominciato a pulsare
sono
necessari cibo e ossigeno
verso
le vene sottili come capelli
ci
vogliono molte più risorse
per
battere tre miliardi di volte
[“Cuore”
è uscita sul lit-blog Carte sensibili,
ma con i verbi coniugati al passato remoto]
Beloslava
Dimitrova è nata il 2 aprile del 1986 a Sofia, Bulgaria. E’
laureata in Lettere, Filologia tedesca e Comunicazioni.
Per alcuni anni ha lavorato alla Radio Nazionale
bulgara come conduttrice di un programma pomeridiano orientato ai giovani
ascoltatori; dal dicembre del 2016 lavora come giornalista per il sito
"Sofia Live".
Alcune sue poesie sono state pubblicate in vari
giornali e riviste on-line e cartacee (tra queste “Granta”, edizione bulgara
della rivista internazionale) e lit-blog italiani come “Cartesensibili” e
“Atelier” on-line. Alla fine del 2012 è stato pubblicato il suo primo libro di
poesie, Начало и край (Inizio e fine) edito
dalla Casa editrice dell’Università degli studi di Sofia. Nell’aprile del 2014 è poi uscita la seconda
raccolta di versi Дивата природа (La
natura selvaggia. ed. Deja Book) che, nello stesso anno è staro prima
nominata e poi premiata nell’ambito del Premio nazionale di poesia per un libro
edito "Ivan Nikolov".
Molto, molto interessante. Starebbe bene su "L'ombra delle parole" dove da anni si dibatte sula: "Nuova Ontologia Estetica". Penso che questa poeta rientri a pieno in questa nuova visione. (se poi è davvero nuova ai posteri...) :)
RispondiEliminaaccolgo con favore il tuo suggerimento, Gabriele, mi occuperò presto di questa poetessa su L'Ombra delle Parole perché mi sembra si muova nella stessa direzione perseguita dalla nostra Nuova ontologia estetica
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