Caro R, a proposito dello scrivere di getto (che si
collega con il discorso precedente): se inteso con il sacro fuoco
dell’ispirazione (dici bene, il Romanticismo lo pratica, ma anche il
Surrealismo e la Beat generation), presuppone l’idea che noi, nel profondo,
siamo autentici. Adorno, in “Minima moralia”, e tutto Faucault ci fanno invece
capire quanto anche il profondo sia contaminato dal potere. L’inconscio è il
regno dell’aggressività (vedi Fromm: “Anatomia della distruttività umana”) che
noi pieghiamo all’ordine civile già nel momento in cui lo trasformiamo in
discorso (la grammatica è infatti la rappresentazione simbolica delle gerarchie
del potere, con il Soggetto al centro e tutto l’apparato logico che gli fa da
sostegno, per l’affermazione dei suoi bisogni).
Seguire i suoni prima che il senso è una libertà
apparente: anche la gerarchia dei suoni, l’idea di eufonia e cacofonia sono un
risultato sociali, acquisito con l’educazione. Bisogna fare i conti con questo.
Pensa alla società romantica e all’eroismo della sua musica; e pensa ai
grappoli sonori di Debussy e quanto hanno a che fare con la crisi dei valori
nel tardo ottocento. E pensa ancora quanto la musica colta contemporanea, con i
suoi rumori insopportabili riesca, meglio di qualsiasi chitarra distorta, a
rappresentare la violenza in cui siamo immersi. Voglio dire: i suoni si devono
scegliere (anche se, come già detto, in parte ci scelgono) tenendo conto che
anch’essi veicolano valori.
Per quanto mi riguarda: sto sperimentando con un
musicista di liscio (musica popolare, dunque) la mia poesia, che non è affatto
popolare. Ultimamente, leggo in pubblico con lui. Lui deforma quella
tradizione, ma anche la conferma perché il nostro orecchio è allenato, la
conosce. Così come conosce (ma sente deformato) il messaggio che respira nei
miei versi.
Questo è un punto importante: un testo deve essere
poroso, deve consentire al lettore di attraversarlo, di farne esperienza. Se è
troppo compresso, ci scivola sopra e lo perde.
Per dagli maggiore porosità potresti usare differenti
registri (l'inserimento del nome degli asteroidi è un esempio di cambio
registro, ma è criptico, ha bisogno di note esplicative improponibili in un
contesto già di per sé ostico). Ti consiglio di leggere La ragazza Carla
di Pagliarani e il poemetto Un posto di vacanza di Sereni (è in Stella
variabile).
Mi
è difficile dirti ora che dovresti riscrivere il tutto facendo tesoro delle
soluzioni adottate da Pagliarani e Sereni. Capisco benissimo l'inanità della
proposta. Inoltre potrebbero esserci altre soluzioni, che trovi tu, con la tua
creatività. In ogni caso, prima di prendere qualsiasi decisione (anche di
lasciare il poema così come l'hai scritto), prova a leggere i due autori che ti
indico (li leggi in meno di un'ora ciascuno). Poi ne riparliamo.
In sintesi, ti consiglio più mobilità nella struttura (uso di
differenti registri ecc), una voce più libera di dire, meno preoccupata di far
poesia (sempre però stando attento che ogni riga-verso sia necessaria, ma non
per forza tirata allo stremo: anche il
banale può trovare posto (cfr Pagliarani che copia passi dal manuale di
dattilografia)
Approfondisco quanto detto
finora, riprendendo un mio passaggio che tu stesso hai sottolineato: Tutto
questo, come può diventare “popolare”? Io dico che lo può essere nella misura
in cui mantieni aperto un margine di senso in cui l’inconciliabile si senta, in
cui il lettore non possa mai dire: ho capito tutto. Se ha capito tutto,
significa che hai parlato la lingua
dell'omologazione.
Un conto tuttavia è tenere aperto "un margine di
senso in cui l’inconciliabile si senta", un altro fare dell'inconciliabile
gran parte del versante del cammino. La "porosità" di cui parlo sopra
è appunto quanto permette al lettore di incontrare l'inconciliabile senza
sentirsi un escluso. Per fare questo, occorre che il lettore percepisca la
relazione fra testo e contesto e ciò lo ottieni anche cambiando registro e
inserendo una profondità che, appunto, eviti il tutto frontale che, mi pare,
caratterizza il tuo testo. Ora insomma si tratta di trasformare la teoria nella
pratica. È la cosa più difficile, perché coinvolge anche il tuo rapporto
emotivo con la parola, con la frase, con il suono e il ritmo oltre che con il
lettore. Credo anzi che a quest'ultimo livello dovresti lavorare. Non tanto
nell'individuare un destinatario (lo hai già fatto) quanto nel riuscire ad
essere più libero di dire, più aperto e fiducioso verso il lettore.
La neoavanguardia
inscena il frammento, l'anatomia del corpo sociale malato. Credo che, oggi, sia
giunta l'ora di ricomporre le fratture, ma senza fingere, là dove ci sono.
Al di là della diatriba se la canzone sia poesia (io
direi che è poesia popolare, dunque più carica di emotività che di conoscenza),
la questione prima, ora, è capire perché non riesci ad arrivare al tuo
pubblico. O meglio, lavorare sul come arrivarci: limando l'ostico dal verso,
togliendogli il rumore senza banalizzarlo, affinché diventi viatico di
conoscenza e bellezza (di una bellezza in cui, come direbbe Baudelaire, l’orrore
si specchia senza ritrarsi. In parte un passo l'abbiamo fatto a leggere quanto
dici riguardo "Un posto di vacanza".
La strofa di Sereni che citi è concettuosa, eppure ti
piace; non lirica (e questo potrebbe essere un pregio, per la tua sensibilità).
E soprattutto ti ha fatto capire che la poesia si legge con un tempo differente
dalla prosa. Ma questo non è detto che il lettore lo sappia. Però il poeta deve
saperlo. Deve sapere che leggere (a mente) poesia significa costruire un
andamento circolare, ondeggiante, dove l'occhio e il pensiero avanzano e
indietreggiano, ma anche salgono e scendono di riga. Scrivere con questa idea
può portarti a una nuova consapevolezza. Anziché andare avanti come un bisonte,
ti puoi muovere come una farfalla che indossa però scarpe da montagna: non
bisogna nemmeno svolazzare troppo. Il ritmo giusto, dicevano i poeti beat, è
dato dal respiro. Questo vale rispetto alla poetica. Riguardo al movimento
reale che Un posto di vacanza produce, dici bene qui: "dalla
dinamica dello sguardo, ora attratto in senso longitudinale, di fronte alla
riva, ora dal muovere trasversale, del fiume che va; dallo stare con la mente
sul fiume per poi andare al mare, la foce-limite".
Nei poemetti, in generale, è meglio essere inclusivi
perché il dettaglio, apparentemente fuori fuoco, può creare tensione o
distensione sia nel canto che nell'interesse del lettore. E può essere
evocativo oppure emergere per contrasto con la linea dominante. Che tuttavia
deve esserci: usando solo il movimento di camera e il primo piano, il testo
diventa monotono; si deve sentire che hai un tema per le mani (la città
depredata, nel tuo caso), ma la terza dimensione la crei uscendo dall'urgenza,
e costruendo uno spazio abitabile, imponendo tu il ritmo della lettura, con gli
a-capo e i differenti registri, con parole dolci o aspre, lunghe o corte. Buon
lavoro!
leggere una lettera così senza il testo davanti non permette un confronto, bisogna ciecamente fidarsi del maestro.
RispondiEliminama il maestro, non è dentro di noi?
io sono per un registro libero e per lo scrivere getto come primo impatto...diciamo che sono per una scrittura in tre tempi:
idea - materializzazione dell'idea - rifinitura.
ciao SisifoGugl!;-)
pongo questioni, non voglio insegnare niente. Ognuno elabori come vuole: ciò che conta è il risultato, non il processo per raggiungerlo
Eliminaciao DurgaBar :-)
io, intanto, prendo appunti.. :)
RispondiElimina:-)
EliminaLeggo con sempre più interesse e faccio complimenti per come si riesce a portare avanti discorsi complessi e articolati
RispondiEliminaun saluto grazie