Ciò
che conta nella lettura di un libro è il piacere. Voglio dire, tutto quello che
la critica può dire riguardo alla parola scritta da un autore, è riassumibile
nella parola piacere. O dispiacere, certo. Ma quando un libro mi dispiace non
termino neppure di leggerlo. E in più non ne parlo se non per sconsigliarlo. E’
stato dunque il piacere a convincermi a tradurre Fanon City Meu, l’ultimo libro
di Jaime
Luis Huenún. Il piacere di una scrittura che
affonda appieno nelle radici del Sudamerica, percorrendone i miti, le simbologie, la
passione. Ci sono i luoghi, i santuari, gli eroi e mi è parso naturale nella
traduzione, mantenere le parole chiave di questa tradizione, usarle come pietre,
appigli per restare saldamente ancorati alle atmosfere e al sentire
dell’America Latina. Anche perché il
senso stesso del libro di Huenún
è proprio quello di riappropriarsi della cultura indio a
partire dai riferimenti che già il titolo ci suggerisce chiaramente.
(Frantz)
Fanon, psicologo nato nel 1925 in Martinica e rappresentante
simbolo del movimento terzomondista per la decolonizzazione, dona il suo nome
ad una città immaginaria nella quale si snoda il percorso poetico offerto al
lettore. Una city che l’autore sente propria; meu cioè mia, non a caso in lingua
portoghese nel titolo.
Egli
si addentra in questa città, che si costruisce e si consolida come entità
anticoloniale, decostruendo nel medesimo tempo e tramite la parola giusta, le radici linguistiche e culturali
del colonialismo. E’ infatti la potenza
di parole intraducibili a caratterizzare
questo percorso che vede il pronunciarsi dei (meticci) zambos , dei (messaggeri) chasquis,
degli (spiriti) apus, degli (indigeni) arahuacos e mocovies, delle chacanas,
le antiche croci
andine. Parole che segnano un cammino
che può essere fatto e detto solamente in quella che è la lingua indio e sulla
quale si poggia saldamente la struttura delle poesie di questa raccolta.
Di
origine mapuche huilliche, cioè appartenente
al gruppo di etnia mapuche che vive nella parte più meridionale del Cile, il
poeta afferma cosi le sue radici recuperando l’identità indigena che è da
sempre discriminata e che solo da pochi anni a questa parte, si va
orgogliosamente riaffermando in varie parti del continente americano. Ed
ogni poesia è uno spaccato su un luogo, una situazione, un piccolo evento che
attraversa le vene dell’america latina.
Parlo di piccolo, solo volendo intendere la brevità delle poesie di Huenún che sono concise, efficaci, dirette, volte al
concetto più che alla sonorità del verso. Dicono quello che devono senza
ammorbarci con pagine di parole annacquate. E a uno come me che ha una delicata
soglia d’attenzione, nonchè una facile inclinazione ad annoiarsi presto, non può
far altro che piacere trovare quest’efficacia espressiva che ritengo sia propria della
grande poesia.
Dopo gli aridi
colori della lotta,
vedrete di nuovo, tornando sui vostri passi,
il terribile fulgore della nostra storia.
vedrete di nuovo, tornando sui vostri passi,
il terribile fulgore della nostra storia.
E’
cosi che Huenun conclude il suo libro.
Paolo
Agrati
FANON CITY MEU
Jaime Luis Huenún
Jaime Luis Huenún
(Edicola
Ediciones, 2015. Traduzione di P. Agrati)
Sentì
nascere in me
Sentì
nascere in me
le lame del
coltello.
C’era vento
fuori,
palme che
ballavano.
Decisi
quindi
in quella stanza infetta,
di cavarmi l’errore
dolente della vita.
in quella stanza infetta,
di cavarmi l’errore
dolente della vita.
Seguimmo
il sentiero luminoso
Seguimmo il sentiero luminoso
convocati dagli spiriti Apus
delle colline di Ayacucho.
Ci armammo con i fucili di Guzmán
e sandali che tessemmo
con rifinito cuoio andino.
Nella sierra si unirono a noi
tribù Campas, gente quechua
e alcuni vaghi mori amazzonici
con diversi conti in sospeso con la legge.
Ci spazzarono nello Yuro senza pietà
e lasciarono i nostri corpi
all’arbitrio delle mosche,
in regalo agli avvoltoi.
Da allora camminiamo senza destino
fra i ghetti e le fiere
dei fuggiaschi zambos.
E nelle notti rubiamo le monete
all’orribile lurida fontana
delle vecchie utopie.
Seguimmo il sentiero luminoso
convocati dagli spiriti Apus
delle colline di Ayacucho.
Ci armammo con i fucili di Guzmán
e sandali che tessemmo
con rifinito cuoio andino.
Nella sierra si unirono a noi
tribù Campas, gente quechua
e alcuni vaghi mori amazzonici
con diversi conti in sospeso con la legge.
Ci spazzarono nello Yuro senza pietà
e lasciarono i nostri corpi
all’arbitrio delle mosche,
in regalo agli avvoltoi.
Da allora camminiamo senza destino
fra i ghetti e le fiere
dei fuggiaschi zambos.
E nelle notti rubiamo le monete
all’orribile lurida fontana
delle vecchie utopie.
La
veggente lucumì
La veggente
lucumì,
erede delle doti
negromanti di sua nonna,
tacchetta già ubriaca
sul rotto selciato
nel vecchio molo.
Aggrappata ai turisti
non parla più della fortuna
né dei mali che verranno.
Adesso porta un demonio fedele
sorridendo e ballando
nella faccia del cuore.
erede delle doti
negromanti di sua nonna,
tacchetta già ubriaca
sul rotto selciato
nel vecchio molo.
Aggrappata ai turisti
non parla più della fortuna
né dei mali che verranno.
Adesso porta un demonio fedele
sorridendo e ballando
nella faccia del cuore.
Liberammo
Vallejo dal carcere
Liberammo
Vallejo dal carcere
lanciando le granate che ci diede
il caparbio comandante Abimael.
lanciando le granate che ci diede
il caparbio comandante Abimael.
Caddero le
muraglie, le torrette,
l’ufficetto
blindato del direttore,
e il tempietto francescano del fortino.
Il poeta si lamentava da un sedia,
ricoperto dalla polvere delle bombe,
contemplandoci perduto e senza parlare.
“Esci adesso, compagno!” – gli gridavamo,
trapassando l’apertura della cella
e tirandolo con forza sul camion.
“Ormai non credo in voi – ci rispose –,
non siete che una mandria di ruffiani,
vile risma della banda di Guzmán”.
Lo guardammo e gli offendemmo la madre
e il tempietto francescano del fortino.
Il poeta si lamentava da un sedia,
ricoperto dalla polvere delle bombe,
contemplandoci perduto e senza parlare.
“Esci adesso, compagno!” – gli gridavamo,
trapassando l’apertura della cella
e tirandolo con forza sul camion.
“Ormai non credo in voi – ci rispose –,
non siete che una mandria di ruffiani,
vile risma della banda di Guzmán”.
Lo guardammo e gli offendemmo la madre
sotto un
sole che incrinava la sabbia
giusto di fronte al santuario di Chan Chan.
giusto di fronte al santuario di Chan Chan.
Come
marrano portoghese
Come
marrano portoghese
tra le indie vado e passo.
Porto al collo una stella a sei punte
che mi brucia sotto il cielo tropicale.
tra le indie vado e passo.
Porto al collo una stella a sei punte
che mi brucia sotto il cielo tropicale.
L’autore
Jaime Luis Huenún (Valdivia, 1967) è un poeta mapuche-williche. È una delle voci più autorevoli della poesia contemporanea cilena. Tra le sue opere: i libri Ceremonias (1999), Puerto Trakl (2001) e Reducciones (2012), oltre a diverse antologie di poesia mapuche. Ha ricevuto diversi riconoscimenti come il Premio Municipale di Santiago (2000), il Premio Pablo Neruda (2003), la borsa di studio Guggenheim (2005) e il Premio alla Migliore Opera Letteraria in Cile con il libro Reducciones.
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che belle..
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