E' mancato Elio Pagliarani, uno dei maggiori poeti del secondo novecento.
Pubblico su Blanc il paragrafo dedicato alla sua ragazza Carla, uscito su Scritti nomadi (Anterem 2001), all'interno di una riflessione sui Novissimi.
La ragazza Carla o della parola che salva
L’originalità della Ragazza
Carla la colse bene Geno Pampaloni (“Epoca”, 15/6/62), quando riconobbe ad
Elio Pagliarani il merito di avere “intuito un uomo diverso”, preso “nel
cerchio dell’alienazione”, eppure vivo, ancora capace d’opporre,
istintivamente, la propria singolare esistenza alla storia universale.
La peculiarità di questa
opposizione, lo sottointende lo stesso Pampaloni, esula tuttavia da ogni
dialettica, da ogni possibile riscatto; lo si comprende appieno - e da qui
cominciamo l’analisi - leggendo l’ultimo coro del poemetto:
non c’è
risoluzione nel conflitto
storia
esistenza fuori dell’amare
altri,
anche se amore importi amare
lacrime,
se precipiti in errore
o bruci
in folle o guasti nel convitto
la
vivanda, o sradichi dal fitto
pietà di
noi e orgoglio con dolore.
(La ragazza
Carla, III, 7)
La conflittualità di storia ed
esistenza, di tu ed io - ci suggerisce meravigliosamente l’autore - trova
conciliazione soltanto quando questi, abitando la prossimità, si rimettono
l’uno all’altro, in un “dare” reciproco svincolato dal tornaconto. Offerta
amorosa che pur risente della lacerazione, proprio perché l’altro, anche se
condivide il dono, anche se ama, è pur sempre non-io, presenza che rende
operoso - sia pure involontariamente - il conflitto. La conciliazione amorosa, in
questo senso, non rappacifica l’individuo con la storia, né lo consola,
tuttavia gli dà la forza di sopravvivere, di resistere al proprio annullamento,
pur in un contesto di generale alienazione.
Il rischio di questa
prospettiva, che in parte Pagliarani evita interrompendo il racconto prima che
la pulsione amorosa di Carla per Aldo si istituzionalizzi nel matrimonio,
consiste nel paventare un’idea dell’amore come luogo dell’affrancamento
temporaneo dalla città tentacolare, un’esortazione a cercare il privato
naturale, isola d’autenticità che sopravvive all’interno del politico
inautentico. Ideologicamente, dunque, il poemetto si mostra fragile o,
comunque, non in sintonia con la critica radicale al sistema promossa da
Giuliani nell’introduzione ai Novissimi: ferocemente ostile alla
metropoli alienante, Pagliarani infatti sembra nel medesimo tempo disposto ad
arrendersi ad essa, a cercare un inevitabile compromesso.
Il fatto è che l’autenticità
della Ragazza Carla non riposa nel ‘messaggio’. Quest’ultimo, piuttosto,
appare strutturalmente funzionale all’insieme; gli dà, per così dire, il peso
necessario per farlo rimanere dritto. Anche lo stile contribuisce a tal fine:
esso infatti, scarnificando le strutture, le diversifica, allo scopo di liberarle
verso l’alto in uno scheletro agile e snodato, soggetto a punti di forza
differentemente orientati. L’opera riceve così, attraverso lo stile ed il
contenuto, le proprie condizioni di esistenza, la cifra esatta della propria
possibilità; e tuttavia, la verità del poemetto riposa in altro. Non nella
valenza ideologia, e nemmeno in quella linguistico-sperimentale: in altro. Ci
aiuta nell’approfondimento La merce esclusa, primo momento del Dittico
della merce contenuto ne Lezione di fisica & Fecaloro (Feltrinelli,
1968, ora in La ragazza Carla e nuove poesie, Mondadori, 1978,
pp.169-172), là dove Pagliarani propone un personaggio selvatico eppure colto,
incapace d’integrazione e tuttavia sempre in cerca d’umanità.
Il poemetto ci mostra infatti
uno studente degli anni Trenta che, pur finendo “con centodieci... i corsi in
medicina” (e laureandosi, ancora, in filosofia ed in giurisprudenza), non volle
(o non seppe) integrarsi, divenendo così merce esclusa dal sistema. Un ragazzo
fuori gioco, ma che sa ancora trattenere la vita a sé, che sa giocare con lei e
farla divertire: “Egli era gaio e festoso / e si mise a raccontar una delle sue
barzellette”: lo fa dapprima a delle ragazze, che ridono ondeggiando “sopra
tacchi di sughero” e poi “a San Vittore”, quando i nazifascisti “lo presero”,
probabilmente partigiano, nell’“autunno 43”.
Sotto il profilo ideologico,
Pagliarani compie qui un’operazione certo controcorrente: egli cerca di
superare le aporie ‘conservatrici’ emerse nella Ragazza Carla
riproponendo, in modo originale, la figura decadente dell’escluso e quella
neorealista (ma antieroica, alla Fenoglio) del partigiano. Ad essa, contrappone
tanto il sistema mercificante quanto ogni forma di consapevolezza che si
esplichi soltanto nella teorizzazione: la parodia del “problema” sul numero di
polli e di conigli presenti nel cortile, lo testimonia. Polli e conigli, così
come l’applicazione dell’analisi marxiana della merce alla proposizione “Dio è
l’essere onnipotente” (argomento della tesi di laurea in filosofia dello
studente), sono entrambi inutili, o buoni, al più, per ben “figurare / con
capuffici e donne”.
Il messaggio è chiaro: rispetto
alla fatica del vivere, i saperi istituzionali valgono poco o addirittura, come
scriverà nel Doppio trittico di Nandi (1970-1973), nascondono “sempre il
tranello” (ne La ragazza Carla e nuove poesie, cit., p.187). Se nel
poemetto presente nei Novissimi, essi servivano almeno ad imparare un
mestiere e possedevano una neutralità, ora il disincanto è forte, decisivo:
occorre diffidare sia della storia, che porta l’uomo alla deriva, che lo
imprigiona, sia della cultura, che vive alle dipendenze del potere.
Ma allora, dobbiamo chiederci,
per Pagliarani quale sapere conta davvero? E per illuminare che cosa?
Nella seconda parte del Dittico
della merce, dedicata al giocoso Toti Scialoja e che si intitola, molto
emblematicamente, Certificato di sopravvivenza, Pagliarani ci indica la
via da seguire, riconoscendo all’arte, alla poesia, un precipuo rapporto con la
verità: l’arte, scrive infatti, “è uno dei modi” di essere “del tempo”; è una
delle sue voci autentiche, allorché “sono di più / i modi di non essere del
tempo”. E aggiunge, poco sotto, quasi spaventato: “... adesso cerco altro nella
gente / cerco le permanenze / cerco le permanenze nel presente”, per non
curvarmi nella “mobilità del mutamento” (Ivi, p.174).
Il due momenti citati,
apparentemente irrelati, trovano convergenza proprio nella “mobilità del
mutamento”, e dunque nel tempo, in quel tempo-verità “che brucia” e “devasta”,
com’egli allusivamente scrive in Oggetti e argomenti per una disperazione
(Ivi, p.154). E davvero disperante gli appare questa necessaria caduta delle
cose, questo svanire che è il tempo stesso nel suo procedere. Dare voce al
tempo significa dunque questo: cantarne, con terrore, la caducità. E’ infatti
rispetto ad essa che il poeta, prima dello scienziato e del prete, deve
“illuminarci”, chiarendoci il senso del morire di tutte le cose e l’orrore che
questo comporta (Ivi, p.151). Un compito che ha in sé anche un momento
salvifico, giacché, nominandoli, il
poeta dona alle cose, alle persone e agli eventi, una sorta di temporanea,
ossimorica, immortalità. A questo, in definitiva, serve la poesia: non a indicare
una soluzione politica al collettivo, né a consolare i sofferenti, bensì a
tirare fuori, pietosamente, dall’inesorabile estinzione qualche frammento di
vita, tramandandolo ai posteri nel qui ed ora della parola.
Se questo è vero, e se
rileggiamo La ragazza Carla in tale chiave, allora il suo senso va
cercato anzitutto nel desiderio, da parte del poeta, di mostrare, come recita
il finale del poemetto, lo “svolgimento / concreto dell’uomo in storia che
resiste / solo vivo scarnendosi al suo tempo” (III, 7): testimoniare insomma la
fatica dell’essere umano, solo e vivo, che resiste - amando, lavorando, facendo
i conti sporchi con il capitale, sfamando i propri istinti brutali - al vento
lacerante che scarnifica la vita, che la consuma. Certo c’è anche dell’altro:
una rabbia verso questo tempo, quest’aria di ferro e fretta che ingolfa
e piega; ma pure si tratta, prima che di sistema economico, o di sopruso dei
potenti, di modo in cui il tempo mette in forma la vita, qui e ora. E non c’è
rivoluzione capace di togliere il vero dagli occhi, di annullare quel ‘sapere
la caducità’ che il poeta, pur spaventato, mette in gioco; lo fa nella Ragazza
Carla, ma anche nei testi successivi, come ci mostra per esempio Lezione
di fisica:
Dio gioca
ai dadi
con l’universo? E se la terra
ne dimostrasse il terrore?
Non gridare non gridare che ti sentono non è niente mentre graffio una
poltrona ...
Sarà questo grido soffocato,
leopardianamente fattosi poesia, a salvare Carla, Aldo, e quant’altro patisca
caducità: la “traversa di via Ripamonti”, “il satiro dei boschi di cemento”, il
manuale di stenodattilo, i bar, la “bicicletta scassata”, la “TRANSOCEAN
LIMITED IMPORT EXPORT COMPANY”, la Milano del “marzo quarantotto” piena di
gente spaesata; un grido talmente figlio dell’orrore da non poter essere
socialmente condiviso: da estinguere perciò in privato, conficcando
silenziosamente le unghie nella poltrona, come in Lezione di fisica, o
scrivendo con la massima lucidità possibile - ed è questa la missione del poeta
contemporaneo, per Pagliarani - di quanto il tempo scarnifichi la vita,
nell’illusione, pallida invero, che la parola possa in parte riscattarla
dall’oblio.
Mi consola il fatto che ci siamo conosciuti bene, abbiamo parlato molto, mi ha dato il regalo della sua stima. La morte ha fatto il suo lavoro, era inevitabile, ma Pagliarani le ha lavorato contro da subito, e decisamente ha vinto nell'unico modo con cui sapeva di riuscire a vincerla.
RispondiEliminaCristina Annino.
mi pare il meglio che si può dire di fronte all'ineluttabile. Grazie Cristina, queste tue parole lasciano intendere anche che cosa ci sta dietro alla tua poesia, quale tempra, quale grinta.
RispondiEliminaNon sono sicuro di aver ben compreso
RispondiEliminatutta la disamina, ma sicuramente mi resta un grande esempio.
vincenzo celli
Grazie infinite, Stefano. Ho pubblicato la tua recensione qui:
RispondiEliminahttp://www.aetnascuola.it/categorie/55-poesia/8864-elio-pagliarani-un-omaggio
Ciao
Maria
il ponte sta lì buono
RispondiElimina.....
sempre puntuale e presente, Stefano
nel cercare di riconsegnare ogni tratto dei grandi poeti che ci lasciano.
Un saluto
mm
"Il nostro capitano è andato innanzi alle ferite". (Epigrammi ferraresi, XI).
RispondiEliminaUn saluto, caro Stefano, grazie per questa bella nota, per la memoria.
f.t.
i poeti veri vanno fatti conoscere in rete perché spesso 'i poeti di rete' leggono solo ciò nella rete trovano.
RispondiEliminaEsemplare omaggio ad Elio Pagliarini.
RispondiElimina...all'arte che si prepone come mezzo di sconfinata ricerca,nel pensiero e tramite il linguaggio,nella parola che comunica e traduce la sua essenza vitale...a tratti tutt'altro che vana...ma che inevitabile si scontra con i confini del reale,dell'inizio che implica fine ... trova la sua risposta nell'infinito e nel mezzo,tra i reali confini cerca..."trova",si "realizza"...nel limite...si mette in discussione... sprofonda ed emerge di continuo... nell'infinito-finito della sua ricerca...moto perpetuo...verita' assoluta ...tra la vita e la morte...
commento gradito, molto aereo, molto femminile...
RispondiEliminaè stato un piacere rileggere il tuo saggio su pagliarani che già alla lettura in 'scritti nomadi' mi colpì e aprì gli occhi su orizzonti più ampi di lettura della poesia di pagliarani (de 'la ragazza carla'in particolare). un ottimo omaggio. ciao
RispondiEliminaroberto
La poesia di Elio Pagliarani è da custodire come un bene prezioso,parola viva, autentica da leggere, scoprire , rileggere.
RispondiEliminaIl tuo saggio su Pagliarani è un'occasione di approfondimento di un grande poeta. In particolare mi ha fatto riflettere il discorso sul tempo, la caducità, il tentativo della poesia di salvare " qualche frammento di vita" cercando la sconcertante verità.
Un caro saluto.
Stefania Bortoli
@ Stefania: oggi la poesia deve dare voce alla caducità, vissuta non come condanna ma come tragica risorsa.
RispondiElimina@Roberto: grazie!
ciao Stefano, sono stata a Milano martedi, e Milo ha parlato di elio Paglirani...io sinceramente non conosco la sua opera, credo che abbia letto qualche poema e basta ma Viviana ha fatto una lettura della "Ragazza Carla" che a me è piaciuta tanto perche come ho deto èprima non conosco quasi niente del poeta...e vedere la Nicodemo che respiraba e non si ha fermato a bere avqua in questo lungo percorso di destino, per me è stato significativo.
RispondiEliminaMilo che parla della poesia di Pagliarani è un evento. mi piacerebbe esserci stato.
RispondiEliminaSe hai ancora spazio nell'antologia che stai preparano per Monte Avila, mettici anche qualcosa di suo, di Pagliarani. Gli ispanici te ne saranno grati e anche noi.
noi due ci vediamo sabato, con ida travi. ciao!