Gli alberi di Argan (La Vita Felice, 2011), di Maurizio Mattiuzza, tengono fra le loro radici la terra friulana, raccontata stando in viaggio, in un attraversamento che lega geografie diverse, accomunate dalla «lingua eterna / della natura», ostile nei confronti dell'uomo, ma non colpevole. Natura che diventa immediatamente allegoria della vita, che si può conoscere soltanto «camminando / controvento». L'albero ne è l'emblema, non la ginestra che asseconda la volontà terrestre, bensì l'argania spinosa (da cui il titolo), tenacemente rigogliosa sull'arido Marocco, come tenaci sono i contadini del Friuli (corrispettivo nostrano dell'Argan, è il noce, «alto e robusto, silenzioso / discreto come sanno essere soltanto / quelli che hanno succhiato sudore / dalla terra»). Come molti poeti della sua matria, Mattiuzza canta il legame delle generazioni cresciute strappando il pane dalle zolle o migrando, andati e venuti, con l'effimera mutevolezza delle nuvole: «Sono uniche le nuvole / sono come noi» ci dice il poeta, mettendo in gioco un altro emblema, quello del tempo che dissolve memoria e destini, dei quali spetta alla lingua conservare la promessa inscritta in ciascun uomo. Ecco la funzione prima del dialetto, carne di quegli esseri che il vento si è «lassât daûr», lasciato dietro, con quel dittongo, aû, spezzato e lugubre, quasi un ululato che si trascina sui viventi come un peso da espiare, ora che il mondo è cambiato e i figli rischiano di finire «a tagliare amianto / tra le gru di Marghera». E forse nemmeno questo, in tempo di crisi. Si muore comunque per poco, anzi per niente, «si mûr par pôc, ancje par un bie», scrive Mattiuzza in una delle più belle poesie del libro, dedicata a Amedeo Giacomini, padre di tutti di neodialettali friulani. E lo sguardo è quello del fanciullino, che non sa spiegare ma, stupito, accosta l'uno vicino all'altro i suoi soldatini caduti nella battaglia della vita, chi «cercando il pane», chi felice, «nell'azzurro», o compiendo il proprio destino, come il «Signore» e tutti gli altri poveri cristi inchiodati dalla necessità, dall'impossibilità di scegliere altrimenti. I salvati perché potenti sono infatti esclusi dall'umanità cantata da Mattiuzza, il quale, grazie allo sguardo in movimento su altri luoghi della fatica, mostra che ovunque il lavoro è orgoglio e dolore, anche la scrittura.
La forza etica di questa poesia, resistente tanto alla deriva mass-mediale (vedi Un seme di terra) quanto all'arrivismo sociale, trova dunque radice nella gente friulana, dove ci sono anche i poeti trapassati: Giacomini, come detto, e Luciano Morandini, che scrisse «poesia pulita / che rifiuta / l'oro scaltro / dei potenti / le lusinghe / dei diamanti / e va a spezzare il pane / tra le storie della gente / camminando camminando», esattamente come fa Mattiuzza, uomo di altra generazione, sicuro tuttavia che «ogni radice va [...] / verso un'acqua misteriosa che / ci scorre sotto / in profondità / come fa il sangue, l'amore». E appunto d'amore parla la sezione Di mani, piedi e nuovi mondi, nella quale Edipo giunge con poche colpe, pochi conflitti, e teneramente diventa uomo, per coccolare la propria regina e farle godere gli azzurri dei cieli adriatici e proteggerla con la forza della «quercia», del «castagno», della «barca che tiene il mare».
Con questo libro, Mattiuzza porta a compimento un percorso cominciato negli anni Novanta, nei collettivi giovanili furlani Usmis e in quello dei Trastolons, tesi al rinnovamento linguistico e al meticciato («Il trastolon, ven a stâi il furlan inventât che man man al nas te nestre puisie»), operazione ancora attiva ne L'inutile Necessitâ(t) (Kappa vu, 2004), dove italiano, friulano, tedesco, inglese e il dialetto della Bassa Valsugana s'incontrano, creando interessanti (ma a volte stucchevoli) choc fonetici. Ne Gli alberi di Argan, invece, non c'è nulla che miri all'effetto (che allora veniva forse dall'ansia di sganciarsi dalla ottusità della provincia), segno della maturità espressiva raggiunta.
Gli alberi di Argan
La fatica degli alberi di qui
noi non la sappiamo
eppure sembra la stessa
degli uomini che hanno
radici dove non c’è acqua
e vengono su così
col tronco irrobustito dalla sete
e queste lingue vecchie
come il sale
senza spreco
di parole
in cui ogni saluto
ogni stretta di mano
sembra dirti
fidati del mondo
ma stai attento
che la vita la capisci solo camminando
controvento
in Marocco, on the road , con Nadia e Silvio. Settembre 07
Foto d’istât (e di vincj agns fa)
Le cjarinavin cussì
l’anime dolce e blave
da l’istât
sentâts in spiete, fers
chì di fûr
ducj chei vecjos che l’aiar si è
lassât daûr
foto d’estate ( e di vent’anni fa)
La accarezzavano così/ l’anima dolce e azzurra/ dell’estate/ seduti in attesa, fermi/ qui di fuori/ tutti quei vecchi che il vento si è/ lasciato dietro.
**
................a si mour di màrtars amant l’amôr
....................(Amedeo Giacomini)
Si mûr par pôc, ancje par un nie,
insomp dal curidôr di un ospedâl
si mûr di alc, di un mâl ch’a no si sa
ce mâl che al è
si mûr parcè ch’a no si à
plui voie di restâ chì
a sintî bausiis, strenzi mans cence calôr
si mûr par strade, in fabriche
cirint il pan, la cjase, un cîl slargjât
da l’ amôr
o parvie ch’a si voleve
jessi miôr, di un altre bande
cuntune famee ch’a tignût dûr
si mûr lontans, lassâts
bessôi, magari drenti une machine ferme
platade ‘tun bosc di pôi
a trente agns, magari a trentetrê
o ancje dome parcè
che si sìntisi un claut tal profont
tocjant dut il schifo
ch’al è tal mont
si mûr par disi, cuntun biliet
ah jo sì, la vite le amavi tant
o crodint di vê vivût
masse di bant
vaint rispiet, pestant i puins
tal mûr
magari il vinars, tant che il Signôr
zigant che tant, ce vustu, a chest pont achì
a mi sastu ce ch’a mi freie
di vivi cussì
si mûr trancuii, tal jet dai vons
in mieç dal mâr, tal celest
dopo ve savût ch’a vin vût dut
d’imprest
si mûr incazâts ch’a‘nd ere ancjemò
robis di fâ, a miârs
e cumò, cjale, a nol è propit il moment
cualchit vecjo al mûr scuasit content
al par liberât
si mûr di vierte, d’unvier, d’istât
pene lâts in pension
dopo une vite di lavôr
e po a si mour
si mour, si mour
muore di martedì amando l’amore
(Amedeo Giacomini)
si muore per poco, anche per niente
in fondo al corridoio di un ospedale
si muore di qualcosa, di un male che non si sa
che male è
si muore perché non si ha
più voglia di restare qui
a sentir
bugie, stringere mani senza calore
si muore per strada, in fabbrica
cercando il pane, la casa, un cielo allargato
dall’amore
o siccome si voleva essere migliori, da un’altra parte
con una famiglia che ha tenuto duro
si muore lontani, lasciati
soli magari dentro una macchina ferma
nascosta in un bosco di pioppi
a vent’’anni oppure a trentatre
o anche solamente perché
ci si sente un chiodo nel profondo
toccando tutto lo schifo
che c’è nel mondo
si muore per dire, con un biglietto
ah si, io la vita la amavo tanto
o credendo d’aver vissuto
troppo per nulla
piangendo rispetto, tirando pugni
sul muro
magari di venerdì, come il Signore
gridando che tanto, cosa vuoi, a questo punto qui
sai a me cosa frega
di vivere così
si muore tranquilli, nel letto dei nonni
in mezzo al mare, nell’ azzurro
dopo aver saputo che abbiamo avuto tutto
a prestito
si muore incazzati che c’erano ancora
cose da fare, a migliaia
e adesso, guarda, non è proprio il momento
qualche vecchio muore quasi contento
sembra liberato
si muore di primavera, d’inverno, d’estate
appena andati in pensione
dopo una vita di lavoro
e poi si muore, si muore,
si muore
i versi in corsivo sono tratti da Blues dai dîs da la setemane oben blues di cemut ch’a si mour di Amedeo Giacomini. in ID., Antologia Privata Collana Le Nuvole, MobyDick 1997
La matematica della natura
Guarda quanta fatica fa un uomo,
adesso
a conservare il suo passato, ad essere
se stesso
e ritrovare il mistero di tutti
quei continenti
che il suo sguardo di bambino
disegnava in mezzo ai campi
lungo i fossi
di un infinito conosciuto camminando
scalzi
alberi, rami
quel pezzo di cielo che ci manca
tra il silenzio delle stelle
nella gioia, stanca,
della sera
la matematica della natura
vedi è come un salmo, è una preghiera
che si riceve in dono da ragazzi
si impara dalle rughe
dei nonni, dal coraggio di chi sa
tagliare un noce quando è l’ora
della lama
mantenendo la promessa
di piantarne un altro appena
la stagione sboccia e chiama
foglie verdi
non è rispetto, è di più
proprio un amore, un orgoglio
che non perdi e ti rimane addosso
con l’odore di pioppo
di sigaro toscano
la voce di un dio
troppo lontano
e che non ha avuto mai
tempo libero per noi
per le domande che facciamo al vento
quando vediamo sparire e frantumarsi
nel cemento
il nostro mondo fatto di stagioni vere e
carezze ruvide, pulite come
la brina
la storia fa il suo corso, mi dirai,
ma la storia, guarda, sai
non siamo noi
ma le montagne, i grilli
le volpi che si scavano la tana
dentro il buio
quello che esiste da prima e va lasciato
proprio come se noi passando non l’avessimo
toccato
Un seme di terra
E si moriva d’estate, in montagna
bella ciao, con un fazzoletto rosso al collo
magari proprio sul più bello
di una vita ancora tutta da desiderare
o tra le lenzuola fresche di una bella mattina
e si moriva d’inverno,
nascosti alla vita nel fieno
di qualche cascina
con una donna mai vista
a fingere d’essere tua madre
o tua moglie
e si moriva d’autunno, nei fossi
sorpresi di foglie
come cicale curiose del gelo
e si spariva ragazzi, in aprile
d’agosto
fermati e freddati sul posto
o su un vecchio vagone piombato
e poi si è morti di ordigni e di trame
di stragi che adesso
chiamiamo di stato
truffandoci la vista col linguaggio dolciastro
del potere
con cui strisciamo la notizia della
pace armata
e delle bombe intelligenti
che oggi, a sorpresa, uccidono qualcuno
e ci chiediamo tutti, teleguidati nei salotti bene
di Rai1
quale storia sia davvero questa
che non riusciamo più a chiamare nostra
siamo i ribelli della montagna*
l’otto settembre
Ustica
una finestra in questura
da cui si cade e si muore
revisioni e processi
indagini che non portano mai a niente
e tutto il sangue nel sangue
negli occhi stanchi della gente
che ha stretto di lacrime e lavoro
questo suo seme di terra
da cui è nato un paese che ripudia la guerra
* Canzone della resistenza italiana
**
Il coraggio più grande, sai,
lo abbiamo all’inizio
quando nasciamo come erba
e passiamo sull’orlo
di tutte le cose
visibili
poi impariamo a parlare
a scrivere, a essere
scaltri
prudenti
a mostrarci di sasso, farci
accorti
ed è come imparare
a sognare da morti
Camminando con Luciano
....................A Luciano Morandini poeta
....................ed amico indimenticabile.
Filtrerà luce
dalla trama della terra
e ancora avrai
la tua parola
rigorosa
forte e
rigogliosa
come un nostro albero
di qui
la tua poesia
pulita
che rifiuta
l’oro scaltro
dei potenti
le lusinghe
dei diamanti
e va a spezzare il pane
tra le storie della gente
camminando
camminando
di nuovo, chissà dove,
troverai abbracci
fratelli
la voce calda e dolce
dei ribelli della pace
con lo sguardo ancora
ci dirai degli ultimi
dei senza tetto
dei nati
senza tutto
e allora come ieri
come sempre
noi sapremo
il senso del sale
ci diremo orgogliosi
di imparare
quella giustizia
che sa stare
dalla parte di nessuno.
Camminando Camminando è il titolo di una sua raccolta uscita nel 2004 per Campanotto Editore Udine
Oggetti smarriti
E’ il caso delle cose, sai,
a far nascere un albero dove
lo troverai
a darti la lingua che hai
ogni radice va verso il centro
della sua terra
verso un’acqua misteriosa che
ci scorre sotto
in profondità
come fa il sangue, l’amore
il ricordo di un tempo
diverso
ci vuole rispetto
anche nel dimenticare
lo sanno gli oggetti smarriti e
ritrovati quando
ormai sembra troppo tardi
dopo un distacco è questa
io credo
la speranza di tutti
venir lasciati senza essere distrutti
L’univiers intun prât
A je di argassie e teis
di fueis
la mîl dai dîs
che stoi vivint cun te che
tu mi dâs
il vert dai cjamps dopo des plois
l’aghe celeste da lis rois
tun daspomisdì d’istât
la vite, mi pâr, a je cheste
si cjatisi par câs e par amôr
si reste, si met
un clap daûr chel’altri
si plante un len
un om seren al’è un om
ch’al à platât
un toc dal so univiers ‘tun prât
L’universo in un prato
E’ di acacia e tigli/ di foglie/ il miele dei giorni/ che sto vivendo con te/ che mi dai/ il verde dei campi dopo le
piogge/ l’acqua celeste delle rogge/ in un pomeriggio d’estate/ la vita, mi pare, è questa/ ci si incontra per caso e per amore/ si resta/ si mette un sasso dietro l’altro/ si pianta un albero/ un uomo sereno è un uomo/ che ha nascosto/ un pezzo del proprio universo in un prato
L’albero di noce
A farci ombra adesso, nell’estate
c’è un albero di noce
alto e robusto, silenzioso
discreto come sanno essere soltanto
quelli che hanno succhiato sudore
dalla terra
il tronco ha qualche nodo, l’intenzione
di spingere fuori un altro ramo
così, giusto per vedere,
com’è assaggiare ancora un po’
di mondo
raccogliere più pioggia, più
occasioni d’essere una vela aperta
verso il cielo
non c’è molta differenza, sai,
tra il destino di una foglia
e quello che già siamo
perché l’autunno vero viene
sempre solo quando noi
ci rinchiudiamo
Per chi fosse interessato, domani 23 settembre, ore 20,30, al Festival internazionale della poesia "Acque di acque" presso l'agriturismo "Ai trosi" a Fogliano-Redipuglia, Mattiuzza ed altri poeti, tra i quali il sottoscritto, leggeranno i propri versi. Qui il link dell'evento.
Maurizio Mattiuzza è nato alle porte di Zurigo nel 1965, fa ritorno in Friuli nel ‘76 dove prende parte alla scena underground locale come cantante rock e conduttore radiofonico. Debutta in poesia nel 1991 con la rivista "Usmis" e il movimento di azione poetica "Trastolons" (di cui è uno dei fondatori). Con questa sigla pubblica prima la raccolta di poesie Tons Trastolons e poi l'audiolibro Tananai. E’ autore di due libri di poesia, La cjase sul ôr (1997) e L'inutile necessità(t) (kappavu, Udine 2004), con prefazione del poeta Luciano Morandini e postfazione del cantautore e poeta Claudio Lolli. Da diversi anni lavora come paroliere e spoken poetry performer accanto al cantautore Lino Straulino col quale ha realizzato l’album Tiere nere (Nota Records, Udine 2001), disco a cui ha fatto seguito un lungo tour culminato con un concerto in diretta nazionale alla Radio Televisione della Svizzera Italiana. Suoi testi sono apparsi inoltre in diverse antologie, quali Luce e notte (Lietocolle editore) dove figura a fianco di importanti nomi della letteratura internazionale, quali il famoso poeta beat americano Jack Hirschman e Plastic poetry party, una raccolta antologica che comprende lavori in versi di alcune note firme della canzone italiana, come Elisa e Neffa. Nel 2008 ha vinto il premio "Naghèna d’Arjent" al concorso per poesia in lingue minoritarie "Mendrànze n poejia" ed è stato finalista del premio letterario nazionale "Laurentum". Recentemente ha ricevuto il premio nazionale di poesia Città di Ceggia 2009 ed è stato ospite della trasmissione televisiva di Rai 2 Qualitaliadop. Redattore della rivista "Paginazero" è tra gli ideatori di Cuntorni, un festival letterario e musicale itinerante dedicato alle lingue minoritarie del Mediterraneo. Sue poesie sono state lette in uno spettacolo teatrale con la cantante Antonella Ruggiero e dall’attore e doppiatore Omero Antonutti. Scrive in lingua italiana, friulana e nel dialetto della bassa Valsugana. E’ il vincitore del premio nazionale Laurentum 2009 per poesia inedita in lingua italiana.
La voce di Maurizio è una voce unica, il risultato di tante esperienze - anche (e soprattutto vorrei dire) extrapoetiche - vissute guardando il mondo attraverso la lente alchemica di più lingue. Un percorso che in sé mantiene ancora, anche nella maturità, i fermenti, quella volontà di mettere tutto in discussione e di capire, che rimane un lascito importantissimo (seppur da molti ignorato) del lavoro svolto nei centri sociali più impegnati, seri che hanno operato nel nostro paese, illuminando - con la loro luce radicale -i deserti culturali degli anni ottanta e novanta del secolo scorso. Poi molto, molto altro si potrebbe dire. Ma dirò soltanto che il lavoro di Maurizio migliora, di anno in anno, sempre di più. Basta leggere questo libro.
RispondiEliminaNella nota di approfondimento, mi ha colpito "come poveri cristi inchiodati dalla necessità" e mi è subito venuto alla mente un parallelo
RispondiEliminacon "le mani monche" di Fabio, anche se devo dire che le poetiche sono un pò differenti. Poesia davvero nata dai piani bassi, quelli che io preferisco, meglio ancora, dalle radici, priva di manierismo e rimandi accademici: essenziale. Belli anche i testi in dialetto che spiegano la vita attraverso la semplicità quotidiana
Camminando, camminando, spero che questo libro faccia molta strada, perchè secondo me lo merita.
Grazie a Maurizio e a Stefano che l'ha qui proposto.
vincenzo celli
grazie a tutti e due per il commento, molto apprezzato.
RispondiEliminaNon voglio aggiungere molto su Maurizio, per diversi motivi: perchè ne hai scritto già benissimo tu, st; perchè nel mio piccolo anche io l'ho già fatto sul blog di Msrotta; perchè è un caro amico nel vero senso della parola, e mi sentirei di essere di parte. Una cosa però voglio aggiungerla, e ripete un concetto che ho già espresso venerdì quando ci siamo incontrati.
RispondiEliminaIn questi ultimi anni il Friuli ha perso una generazione di scrittori e personalità fondamentali, quella dei Giacomini, Bartolini, Maniacco, Morandini. Maurizio ne è secondo me il vero erede naturale, più ad esempio di Pierluigi Cappello. Questo non per una scala di valore letterario (sono entrambi grandi poeti), ma perchè Mattiuzza si pone nei riguardi della cultura e della storia di questa terra come una presenza attiva, impegnata non a perpetuare semplicemente la tradizione, ma a farla rivivere, attualizzarla senza perderne i significati, esattamente come fa con la lingua friulana nella sua ricerca linguistica.
Francesco t.
Msrotta è Marotta, ovviamente.
RispondiEliminaft
La poesia di Mattiuzza è di genere pluriligue, ma in chiave estetica è piena di bellezza, perchè e vera e schietta. Lo si capisce anche quando legge dal vivo, magari con la musica di Renzo Stefanutti alla chitarra. Allora è bravissimo. Racconta di vite da contadini, operai, di emigrazione. La sua è un poesia civile nella tradizione di Pasolini.
RispondiEliminaElio Varutti (Il Diari-Udine)
caro Francesco, condivido quanto dici e aggiungo: non solo Mattiuzza, mi pare, è una "presenza attiva" sul territorio friulano.
RispondiEliminaUn saluto anche al nuovo ospite, che ha potuto gustare l'inteccio pusica-poesia nei readings di Maurizio.
Grande Maurizio! luisa p.
RispondiEliminamolto belle, sia nell'una che nell'altra lingua. quella per Giacomini mi colpisce profondamente. un saluto, m.
RispondiEliminaConcordo con Manuel in ordine al testo per Giacomini . In quanto al resto del lavoro mi è apparso uno dei più concreti tra quelli da me letti in questi ultimi anni : umanità , terrestrità e notevole espressività ; soprattutto attenzione all'Altro , al Mondo , mai celebrati ma "detti" con partecipazione e distacco come è giusto che sia .
EliminaAuguri per il prosieguo
leopoldo attolico -
Penso alle radici aeree di Mattiuzza, radici mobili (l'infanzia in Svizzera, il rientro in Friuli, l'ascendenza materna in Valsugana, quella paterna nel mondo slavo). Penso al suo presente "con la valigia sempre aperta", ma pure ancorata a un orizzonte dove fondere la propria visione. Un canto che ha una forza centrifuga, un'irrequieta eppure equilibrata vitalità.
RispondiEliminaCristina Mic.
Gentile Cristina Mic. hai colto un aspetto importante della poesia e della personalità di Maurizio.
RispondiEliminapoesie che seminano -
RispondiEliminatra il verde, il legno, pure la specie umana -
poesie che seguono le stagioni -
secondo natura -
mi sono piaciute
come quando qualcuno ti regala un cesto pieno di frutta della sua terra - del suo lavoro.
immediato
RispondiEliminasia in dialetto
che in lingua
parole cariche di significato
con un rincorrersi colloquiale
cercano di scaldare il cuore
carico di ricordi
grazie della bella serata,
ai trosi
Roberta
Sono poesie intense quelle de "Gli alberi di Argan" di Maurizio Mattiuzza. La sua è un'estetica che ha fatto una netta scelta di campo. Descrive l'amore, ma racconta pure di operai, di contadini e di emigrazione. In questo senso è un poeta sociale e civile, nel significato dato a Pasolini. I versi di Mattiuzza, composti in forma plurilingue (italiano, inglese, friulano e dialetto trentino) socializzano un'esperienza interiore dell'Autore, divenendo appunto poesia civile, per una crescita estetica, ma anche solidale e mutualistica. Sembra, infine, che il poeta abbia elaborato le sue liriche con la Costituzione sotto mano, perché esprime o sottende dei valori di alto profilo morale.
RispondiEliminaPer prima cosa grazie di cuore a Stefano per questa sua lettura del mio libro, così attenta e profonda, partecipata e per i temi complessi che ha colto e sviluppato con così tanta lucidità.E grazie anche a tutti voi che avete letto,commentato e augurato lunga vita a questi miei alberi. Le vostre parole, le suggestioni che ne escono sono per me gioia e stimolo. Si, Ivan, è vero c'è in me il lascito di tante esperienze ed emozioni scambiate in certi centri sociali, i miei primi passi li ho mossi la. Come hanno scritto Vincenzo Celli, 7 anelli e pure Roberta credo che la mia poesia nasca da dove nasce un po' tutto, dalla terra insomma. Una terra che io, da viaggiatore, mi immagino larga, vasta e sulla quale cerco di camminare, come dice Cristina Mic, con una valigia sempre aperta; lo considero un modo di dare e ricevere, d'imparare l'amore. Certo, in questo mio vagabondare, come hanno sottolineato sia Stefano Guglielmin che Francesco Tomada c'è molto Friuli. Un Friuli che si mostra in termini di luogo che per me è cielo di casa e paradigma ma anche come terra di poesia. Una poesia che ha dato molto alla mia vita e al mondo attraverso i nomi che Francesco ha citato qui. La tradizione, io credo, si canta e si fa, l'ho imparato osservando mia nonna. E per me la tradizione è sicuramente quella della poesia ma anche la lezione di certi cantautori. Un canto civile che, come ha sottolineato Elio Varutti, a me oggi pare sempre più necessario. La scelta di campo,anche netta, quando c'è, per me discende direttamente da questo, da uno stare nel mondo da cittadino. Maurizio Mattiuzza
RispondiEliminaNon sono d'accordo con quanto sostenuto fino qui. Sono poesie deboli, sia in italiano che in friulano. Ma dico, avete letto Giacomini, Bartolini e Morandini? Ma di cosa stiamo parlando?
RispondiEliminaDeboli sotto quale aspetto?
EliminaSono esangui, versi mollicci che non reggono a confronto con i nomi sopracitati. Manca una tensione, manca la metabolizzazione di quei padri, mai studiati. Una scorciatoia che porta a niente. Mi dispiace, e non è l'unico caso in Friuli.
EliminaGentile Giacomo, la questione che poni mi pare sottenda una polemica di lunga data,soprattutto tra di voi, poeti friulani. Sarebbe interessante sentire cosa dice Mattiuzza.
EliminaAnch'io penso che il giudizio tranchant di Giacomo Vit sia riconducibile ad attriti risentimenti ( gelosie ? ) pregresse , circostanza non infrequente nel nostro ambiente . La cosa appare ancora più evidente conoscendo lo spessore e l'esperienza di Vit , che non credo si sarebbe mai pronunciato in questi termini in assenza delle pregiudiziali di cui sopra ; a fronte di una poesia concreta , umana , terrestre , espressiva , dove l'assenza di tensione che gli si rimprovera - ampiamente smentita dal linguaggio - suona paradossale .
RispondiEliminaGrazie per l'ospitalità
leopoldo attolico -