Scrive per chi non ha avuto perdono, Aldo Ferraris nell'omonimo libretto uscito per Kairos edizioni (2011). E non lo ha avuto perché non si è mai omologato alla via maestra, per volontà eroica o inettitudine. Tale convincimento attinge da un'altra via, maestra anch'essa, ma per contrasto alla prima, originata nel tempo in cui la singolarità si ribellava ai vincoli, con il suo carico di dolore. E'' infatti il romanticismo tragico e la sua declinazione profondamente di superficie, il simbolismo, tenuti insieme da Baudelaire, a costituire l'alveo in cui Ferraris scrive, attingendo dal maestro francese molte delle parole chiave: abisso, nascita, soglia, confine, notte, assoluto, naufragio, esilio, straniero, città, tutti simulacri che nuotano in un'atmosfera presaga di morte, vera regina in ombra del testo, la cui forza orrorifica l'autore cerca di annullare attraverso l'idea dell'eterna immobilità dell'essere, qui reso nella metafora dell' "oceano / dal centro in ogni luogo generato / che disegna coste in un cerchio di latte". Chiusa che, a propria volta, rinvia all'altro polo del discorso, l'infanzia, con l'esergo ungarettiano del paese innocente, poesia il cui titolo, serrando il cerchio del romanticismo ferrarisiano, rimette al centro il girovago, il viandante e il suo canto notturno di goethiana e leopardiana memoria.
Infanzia e morte, inizio e fine già si mostravano simultaneamente in Danza di nascite (Azimut 2006) dove Ferraris fa agire l'archetipo junghiano dell'Anima, ossia quell'"eterno femmineo" che abita la psiche maschile e che in lui si organizza secondo una costellazione ispirata al mito di Eurinome e di Demetra (figura che egli scinde ulteriormente in quelle di Kore, Persefone ed Ecate), dando particolare rilievo alla danza "selvaggia e sensuale" di Eurinome, che sedurrà Ofione, "il grande serpente nato dal vento del nord", per diventare madre dell'uovo cosmico ossia dell'unità primordiale nella mitologia orfica, a quell'indistinto dal quale prende l'avvio ogni forma visibile e invisibile del cosmo. L'eros che muove quell'avvio, ostile alla pace atarassica dell'oceano cui sopra si accennava, "luogo fermo nei mutamenti incessanti", è la stessa che spinge i mortali, prede della sehnsucht romantica, a ribellarsi alla verità quieta dell'essere, a quella legge universale, (il brahman nelle Upanisad), che essi non riescono ad accettare. Lo si capisce, in Ferraris, dalle molte dita lacere disseminate nei testi, sanguinanti per aver a lungo e invano cercato "nel buio l'uscita". Uscita che coincide con la nascita dell'io, anzi dell'Io, con tutti i pericoli che questo comporta, non ultimo in senso di perpetua inadeguatezza. E' per superare questa, forse, che il libro sul perdono si chiude con una preghiera: "Fa che io riceva / non ciò che ho desiderato, ma ciò di cui / senza consapevolezza alcuna, ho bisogno".
Rivelami, luce abissale, la parte innocente del visibile
il nome dei venti a cui affidare l'ansia delle vele
rivelami il segno da tracciare sul corpo delle cose
l'imperfezione del gesto che porta alla conoscenza.
Rivelami la rotta, ingannatrice di orizzonti,
il gusto del mallo nel guscio della prima nave
l'attesa senza ali sulla soglia della tempesta,
rivelami l'isola che tutto contiene, fuggendo.
**
Scrivo per chi non ha potuto vedere
perché è così lieve l'improvvisa felicità
e così vicina da confonderla sempre
e sempre barattarla con un amuleto.
Per chi ha posseduto un solo paesaggio
Per chi ha posseduto un solo paesaggio
tormentato tra le mani come un fazzoletto,
una copia stampata male di cielo
in cui annotare i raccolti perduti.
Scrivo per i ciechi senza confini
che confondono la vita con un giro di ballo,
la vita dalla pelle profumata di graffi,
così gonfia che se la tocchi duole.
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Scrivo per chi non ha potuto sfiorare
la pelle materna della propria vecchiaia
e invano ha accostato le labbra
e invano ha accostato le labbra
alla fronte della vita per cercarne la febbre
o un pulsare di vene che acquieta e solo
un vento largo gli è stato concesso.
Scrivo per i marinai di tenerezza
addormentati nelle stazioni
pronti a firmare in calce al dolore
pur di abitare la penombra dell'infanzia
con la pazienza di un'isola alla deriva,
un'isola mansueta che non sa dove tornare.
**
Rivelami, luce abissale, la parte innocente del visibile
il nome dei venti a cui affidare l'ansia delle vele
rivelami il segno da tracciare sul corpo delle cose
l'imperfezione del gesto che porta alla conoscenza.
Rivelami la rotta, ingannatrice di orizzonti,
il gusto del mallo nel guscio della prima nave
l'attesa senza ali sulla soglia della tempesta,
rivelami l'isola che tutto contiene, fuggendo.
**
E in questo momento primavera, quando
a tentare di piangere non si riesce
e tutto è troppo tutto è colmo,
l'urgenza di radici a ferirmi le mani.
Uccello migratore sulle pendici della città
sono linfa che si perde, guardiano di stagioni
nella vertigine verde che non concede ragioni.
**
La città mi cresce sino al fiato, intorno,
mi conosce a memoria, mi trattiene e allontana.
Io, seduto nel centro esatto del giorno
aspetto che il mondo rassereni, che mi chiami.
**
A cercare la piccola crepa
sul fondo della vita con i polpastrelli, lentamente,
la fessura dove gocciola il miele del tempo, e le dita
si ritraggono ferite, a cercare nel buio l'uscita.
**
Laggiù
all'incrocio degli orizzonti
dove è impossibile giungere
senza attraversare le tenebre
è posato un lume.
Fa che mi appartenga quel chiarore
fa che io emerga alle tue spalle
per guardare nella stessa dirczione
con occhi uguali e diversi.
Donami l'assoluto del particolare
riconducibile all'eterno,
fa che sia parte della visione
la mia ombra di quiete sul paesaggio.
Fa che io riceva
non ciò che ho desiderato, ma ciò di cui,
non ciò che ho desiderato, ma ciò di cui,
senza consapevolezza alcuna, ho bisogno.
Aldo Ferraris, è nato nel 1951 a Novara dove risiede. Ha pubblicato, fra l'altro: Horus, parola improvvisa (7 poeti del Premio Montale - Scheiwiller, 1993); Grande corpo (Anterem, 1997); L’orgoglio dell’assenza (All’antico mercato saraceno, 1999); Antichissima figlia (La luna, 2000 - con una incisione di Antonio Battistini), Acini di pioggia (Gazebo, 2002); Nulla sarà perduto (Archivi del ‘900, 2004 - premio Antonia Pozzi); Danza di nascite (Azimut, 2006), Immensa creatura (Lietocolle 2009), Chi non ha avuto perdono (Kairos 2011)
Ha pubblicato il libro di filastrocche per bambini: Che dono vuoi, bambino del mondo? (Fondazione Marazza, 2005 - Premio La casa della fantasia) e la raccolta di racconti L’invenzione collettiva (Editing Edizioni, 2005).
E’ presente in numerose antologie e riviste letterarie.
è da un po' che non passavo qui e vedo che Stefano ha sempre delle belle proposte.
RispondiEliminami fa piacere leggere Aldo in gran forma.
saluti ad entrambi^^
Anila
grazie Anila.
RispondiEliminaGrazie Anile, sempre gentile.
RispondiEliminaUn grazie speciale a Stefano per l'inserimento del mio libro nel suo bel blog.
Aldo