Quando, nel 1911, Umberto Saba invita i poeti a fare «poesia onesta», senza fingere «passioni ed ammirazioni» che non siano davvero vissute, altro non chiede che di piegare lo stile alla conoscenza inesauribile di sé, in un viaggio interiore che sproni il canto ad intonarsi ad esso. La medesima questione emerge in un saggio del 1946, scritto su invito della “Fiera Letteraria”, allorché egli individua, nell’esperienza diretta e nella nevrosi, le condizioni sine qua non per essere poeti. La poesia insomma non è nulla senza la vita; e la vita, d’altro canto, essendo l’aprirsi muto della presenza all’esercizio del proprio eccedersi, trova nella poesia il suono e il senso del proprio fiorire.
Poesia-vita in verità non fonda nulla, però ogni volta, qui adesso, c’è questa poesia, c’è questo poeta, che espone il nulla del proprio fondamento nella misura del verso. In questo contenere che è già sempre un tracimare verso la prossima scrittura, il poeta chiude il debito con la teoria, inaugurando l’etica.
Non dunque la responsabilità della decisione nello spazio pubblico, bensì il farsi avanti del non-saputo e del non-ancora nello spazio insondabile del testo. Una poesia infatti non risponde direttamente dell’etica del suo autore, così come un figlio non risponde dei comportamenti del padre. Essa infatti vive, come ogni altra presenza nel mondo, quale forma dischiusa alla relazione e in ciò consiste la sua eticità.
L’eticità del Canto irlandese di Giuseppe Conte, per esempio, solo in margine riguarda la pietà del suo autore nei confronti del patriota Bobby Sands, morto digiuno nel carcere di Maze; essa consiste piuttosto nella stessa presenza lapidea eppure palingenetica del testo, che aduna le voci di Lee Masters e la gioia primaverile di Whitman, in terzine dall’incedere mosso le quali, mettendo in opera le strategie della lingua, ritualizzano la visione, liberandola dai chiodi della cronaca. E così, attraverso la sua misura, il poemetto istituisce relazioni: con la memoria del poeta, con il senso d’ingiustizia inscritto in ogni oppressione, con l’energia primeva, con altre poesie dal medesimo sentire e con noi, che avvertiamo in essa l’eccedere stesso delle cose nel loro incontrarci. In questo senso, misura e relazione costituiscono l’etica della poesia, il suo essere corpo aperto e aprente, incontrando il quale lo stesso autore vacilla, sperimentando così la propria finitezza e la libertà in cui essa consiste.
Quando dico ‘misura’ intendo il farsi stesso della poesia, l’eccomi della sua presenza che non ha legami strettamente causali con il passato né impegni con il futuro, ma è qui e ci chiama, ci stacca dall’ordinario, ci ribalta e ci gioca, con affetto. Essa insomma dà forma alla polpa della scrittura, anche quando l’esporsi della presenza viene a galla diversamente; in quel caso, come scrive Rimbaud nella lettera del «veggente», la lingua misurerà «l’informe». Così si spiega, per esempio, l’atonalismo sanguinetiano, in cui l’io lirico canta pur soffocando nel magma della propria lingua, vissuta come sommatoria di detriti portati sulle labbra dall’incedere tragico della Storia e rivitalizzati dalla forza mitopoietica dell’inconscio collettivo. In quella lingua, tuttavia, pulsa sempre un cuoricino bambino e nevrotico, amico di Gozzano, che il lettore riconosce e, in fondo, condivide.
In altre parole: ethos è l’abito del testo che io attraverso leggendolo. E così imparo. Come impara dal phronimos il cittadino ateniese nell’Etica Nicomachea. Scrive Aristotele: «Possiamo renderci conto della saggezza, osservando quali persone noi chiamiamo saggi». Il saggio è la misura perché il suo agire non è mancante di nulla, diventando perciò esempio, pietra di paragone (skandalon), per gli altri. Skandalon è infatti la pietra dove inciampano i luoghi comuni. La sua novità, ci insegna René Girard, porta con sé il desiderio d'imitazione, ma anche l’odio per il modello e il desiderio di vendetta. Ogni poesia che conta è scandalosa; per questa ragione la sua presenza produce effetti concreti: sui poeti più dotati, ad esempio, essa diventa “angoscia» d’esserne assorbiti; nei critici, la pietra d’inciampo è sia motivo di riorganizzazione del canone e sia esibizione di competenze. E dunque: etica è la presenza stessa della poesia, sopravvissuta al tentativo d’annientamento da parte dei poeti-discepoli e della critica, il cui abbraccio affettuoso porta con sé l’acume che indaga ogni suo minimo dettaglio. Il miglior critico infatti è un sarto, che verifica la resistenza del tessuto per parlarne poi con chiarezza in giro, nei secoli dei secoli. In questo senso, Dante e Petrarca non sono due antitetiche e astratte soluzioni alla questione della lingua, bensì due fratelli dal passo differente, che ancora ci fanno sussultare.
Quando invece la norma precede e determina la parola, la poesia muore, nasce l’ideologia. Penso ai versi mediocri di Fortini nel Canto degli ultimi partigiani, in cui la misura diventa certamente ‘corale’ ma anche, appunto per ciò, anonima, assorbita tutta nella maniera: «Ma noi s’è letta negli occhi dei morti/ E sulla terra faremo libertà/ Ma l’hanno stretta i pugni dei morti/ La giustizia che si farà». A questi, possiamo contrapporre i versi coevi de La gioia avvenire, con quella “miseria profonda come la lebbra», che cinge amorevolmente i secoli passati degli uomini senza scampo, liberando al futuro le nuove generazioni.
Sandro Penna pedinava i bambini nei parchi e nei rioni; aveva dunque, per dirla con Pasolini, «una mancata coscienza morale» foriera d’angoscia, eppur capace d’un irripetibile candore: «Come il vento di aprile è il mio fanciullo/ chiaro e leggero, mutevole un poco./ Ma è calda l’erba su i miei prati. Invano/ invoca una carezza più costante». Quartina che riporta l’orrore della pelle, il suo «vizio assurdo», all’albero buono del non sapere, all’innocenza, già attraversata dalla solitudine, delle parole originarie. Eppure questa tragica leggerezza non sarebbe nulla senza «l’indisciplinato eros» del poeta; ce lo ricorda lo stesso Pasolini in Passione e ideologia.
Alfredo Giuliani, dal canto suo, mettendo il dito proprio sulla misura, a proposito della poesia penniana, afferma: «La superficie chiara della sua lingua fa trasparire e balenare, da minime vibrazioni, un fondo inesorabilmente inquieto». Un fondo, aggiungo, in conclusione, che è crocicchio denso di relazioni, incontro di carne e pensiero, desiderio e paura, silenzio e chiacchiera, un fondo-sfondo trepidante che ad un certo punto (e ciò vale per tutti i poeti), diventa poesia, tante differenti poesie, tante presenze finite sparpagliate «nell’esistenza», in quell’esporsi «irreparabile», che le consegna «senza rimedio al loro esser-così», come scrive Agamben ne La comunità che viene.
L’etica della poesia altro non è che questo suo irreparabile “esser-così», scandaloso e perciò stesso necessario.
(in "La Mosca di Milano" n.12, maggio 2005, pp.45-48)
Stefano,
RispondiEliminai miei più vivi complimenti. Non ricordavo questo tuo saggetto e lo sento molto "sintono"con le mie idee sulla poesia. Ottima l'idea di ripubblicarlo. "Scandalo" è vita dell'eresia contro la non-vita dei codici morti.
grattare il barile, ogni tanto, serve :-)
RispondiEliminatornando in merito: lo scandalo del cristianesimo è anche questo. peccato che la sua storia dica altro.
Si dovrebbero vedere
RispondiEliminaricchi poeti
sbilanciarsi con metodo,
alzare la testa antiproiettile
e deliberare risate aggreganti,
laccate, profumate, esplosive,
una forza maieutica sistematica
contrattuale, guerriera.
Un birichino mercimonio di sé
irresistibile, goloso,
senza nessun millantato credito.
Sono i libri di grammatica
che lo chiedono.
C’è bisogno di cuori
grandi come elicotteri,
in un cielo da imparare a memoria
di paracadutate canzoni,
baci, poesie,
da far esplodere dove
la vitalità è offesa
prigioniera di un mattino
che non ne vale la pena.
Si dovrebbero vedere
RispondiEliminaricchi poeti = ricchi nel senso in grado di manifestarsi, con risorse a carico della ricerca scientifica.
sbilanciarsi con metodo, = chiara sorprendente efficacia
alzare la testa antiproiettile = chiara sorprendente resistenza
e deliberare risate aggreganti, = empatia contagiosa
laccate, profumate, esplosive,= coinvolgenti, sconvolgenti
una forza maieutica sistematica
contrattuale, guerriera. = metodo dialettico socratico, attiva, potenzia le virtù proprie e altrui
Un birichino mercimonio di sé
irresistibile, goloso,
senza nessun millantato credito.= modello di forza contrattuale persuasiva tipica delle procaci belle donne.
Sono i libri di grammatica
che lo chiedono.= accennano vagamente al poeta, come ad una possibilità di innocente puro spirito autorevole frutto del patrimonio della lingua.
C’è bisogno di cuori
grandi come elicotteri, = nel cielo pulsa il rumore dell’elicottero
in un cielo da imparare a memoria = da poter contemplare, analizzare, abitare come il prete fa con il suo breviario.
di paracadutate canzoni,
baci, poesie, = modalità ricreative aggreganti leggibili per tutti.
da far esplodere dove
la vitalità è offesa
prigioniera di un mattino
che non ne vale la pena. = al servizio della ragione.
carissimo gugl,
RispondiEliminanon conoscevo questo tuo breve e bellissimo saggio. condivido l'idea scandalosa della poesia che esprimi qui. relazione e misura, abito ed ethos, tutti differenti e tutti esposti, fuori dalla teoria, molto esposti.
ciao!
erika c.
cara Erika, ti ringrazio per questa nota, sempre "misurata" com'è nella tua splendida persona.
RispondiEliminaun abbraccio!
Beh, la “misura” è il tramite per il sussulto e lo stupore verso l'incommensurabile, consente il farsi di quest'ultimo, che è senz'altro anche l'”informe” di Rimbaud che tu hai ricordato.
RispondiEliminaMi piace aggiungere a questo tuo ottimo saggio (molto interessante anche per quanto riguarda la riflessione sull'ethos) quello che mi sa di avere già citato almeno mille volte: da Enzensberger “l'arte senza il piacere non esiste”, il piacere, il buono, il vero scandalo.
ciao!
condivido l'idea Enzensberger e la tua, di citarlo qui :-)
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