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lunedì 29 novembre 2010

Sulla depressione / lettera a Graziella Isgrò



Cara Graziella,

è vero che dialogare faccia a faccia funziona meglio e però, mancando la possibilità, dobbiamo accontentarci di qualche parola ben centrata via e-mail, così da non perdere tempo ed energie. Dunque: mettere a tacere l’io è un esercizio molto faticoso. Lo sappiamo tutti e due. Di solito la fatica deve dare qualcosa in cambio. Deve esserci un vantaggio al sacrificio: ce lo spiega tutta la cultura occidentale. Però capita che, nel caso dell’io, le cose si complichino per cui fatichiamo un sacco e finiamo poi per farci un danno. Cioè io fatica a nascondersi, e così facendo, anziché complimentarsi con se stesso per il buon rifugio trovato, si dice un mucchio di parolacce, del tipo: non vali niente, sei uno stronzo, fanno bene i tuoi amici ad evitarti, e tanto altre schifezze che fanno piaga, che si accumulano e lo soffocano. Capita così che l’io si nasconda in attesa di venir fuori come un germoglio ed invece, fuori dalle sue stesse previsioni, resti chiuso per sempre nel suo buco, nella notte senza stelle del suo buco. In questo senso, la “depressione” va letta in senso topografico, come se fosse una depressione del terreno: l’io finisce là sotto, là dove nessun raggio di sole osa più sfiorarlo. A quel punto, le cause che hanno prodotto questa orribile conca sono già evaporate. Esiste solo una valle senz’acqua e un piccolo io nel fondo, che non trova ragioni per risalire, e che invece si incupisce sempre più, fino a desiderare l’inferno, inteso come la giusta punizione a tanta inettitudine.

Ecco, questo è un modo di guardare una situazione. Il vantaggio, a pensarci bene, consiste nel fatto che l’io osservatore non coincide con l’io osservato, per cui l’io che dice “inetto” lo dice da una posizione superiore rispetto all’io che si sente dire “inetto”. Ciò significa, credo, che un piede fuori dal buco ce l’abbiamo comunque. L’importante è riconoscerlo, dicendo: 'La parte di me che vede la difficoltà che sta attraversando l’altra parte, è simile a quella di altri uomini e altre donne che, pur con fatica, cercano riparo nell’aperto del mondo, nello spazio dove ogni cosa triste, a vederla, possiede anche i suoi lati positivi. E questi uomini e queste donne, anche loro con un piccolo io sofferente in qualche buco della terra, hanno bisogno di me, come io di loro'. È un modo di procedere passo dopo passo, rasoterra, eppure toccati dal piacere dell’incontro, che è il senso ultimo dell’essere qui, il senso pieno che tiene insieme il cielo e la terra, i divini e i mortali, per dirla con Heidegger.

Io la penso pressappoco così. Anzi: l’io che sta benino la pensa così, e l’io che sta nei sotterranei, quello dostoevskijano, lo asseconda, gli fa credere d’essere nel giusto, anche perché qualche vantaggio, l’io dei sottoscala, lo trova nell’essere al seguito dell’io rasoterra. Non fosse altro in termini di tranquillità e voglia di fare.

 
Un abbraccio. Stefano

3 commenti:

  1. margherita ealla1/12/10 22:38

    quell'io inetto (ancora meno, nemmeno insetto dostoevskijano), quel dire bene del senso topografico della depressione, del buco nel terreno ( nel quale sprofonda anche Alice attraversando lo specchio) nel quale sprofonda io, e la bellissima osservazione dell'io osservatore e dell'io osservato
    mi fanno venire in mente questa poesia di Yi Sang
    (avevo letto tempo fa qualcosa che collegava questo poeta a Svevo, giusto per spiegare il collegamento con l'inetto...)


    Non c’è suono nello specchio,
    nessun’altra parola così immobile.
    Nello specchio ho proprio orecchie,
    due penose orecchie che non afferrano le mie parole!
    L’Io nello specchio è un mancino,
    che non può né accettare né conoscere la mia stretta di mano.
    Non posso toccare l’Io nello specchio a causa dello specchio,
    ma, senza la specchio, come potevamo incontrarci?
    Ora non ho alcuno specchio, ma l’Io nello specchio è sempre là.
    Dev’essere impegnato in qualche sinistra impresa.
    L’Io nello specchio – il mio altro sé – mi assomiglia.
    Con rimpianto non posso né preoccuparmi di lui né esaminarlo.

    [Yi Sang]

    ciao-

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  2. gli specchi dovrebbero riflettere un momentino, prima di riflettere le immagini.
    (J. Cocteau)
    un caro saluto.

    stefania

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