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domenica 14 novembre 2010

"Ius" di Erika Crosara


A vincere il premio "Lorenzo Montano" per la raccolta inedita è stata, quest'anno, Erika Crosara. Il libro, intitolato Ius ed edito da "Anterem", presenta una riflessione critica di Giorgio Bonacini e una mia, che posto qui. Alcune poesie di Erika, con ulteriorir riflessioni, le avevo messe su Blanc circa un anno fa, qui.
Ne approfitto per ringraziare tutto il gruppo organizzatore, che ieri ci ha davvero fatto passare un bel pomeriggio e una bella serata.


Una poesia difficile come questa va avvicinata dalla cornice, per ricavarne almeno un'idea di mondo. Prendiamo allora i titoli delle sezioni, fortemente indiziari: Dis è prefisso privativo, di mancanza, sillaba che sottrae materia sana al vivere, che lo riconduce alla caduta (originaria e costantemente ripetuta nel quotidiano, in un eterno ritorno dell'uguale privo dell'oro zarathustriano). Tale azione fonda qui l'idea che l'esistenza sia agita dall'incomunicabilità, giacché, tolto il fertile della terra su cui cresciamo, perso di vista l'avvio benedetto, l'arido non può che gemmare silenzio penoso e assenza di direzione. In una parola, il capitolo è governato dal Disincanto, ossia dalla consapevolezza d'abitare «un vuoto», da navigare tuttavia con pochi veri amici, come il vasel del "tu Lapo ed io" dantesco, mentre fuori sopravvive gente alla deriva, che ha scelto la polis per paura.
Ius, seconda stazione e titolo riepilogativo del viaggio, sulla scorta del contrattualismo hobbesiano e di René Girard, ci racconta appunto la storia di questa masnada derelitta diventata popolo carnefice, che trova unità sacrificando il capro nostro Signore. In parallelo, accampano la fatica e la violenza necessaria del mondo contadino, diffidente verso la civilizzazione e abituato a macellare la vita animale, per garantirsi quella della comunità. C'è dunque una giustizia antropologica a fondare la penuria dell'esistente, un'occorrenza ineluttabile cui siamo consegnati per natura. Leopardi transita nei paraggi, riconoscendo che la felicità non è un diritto naturale che lo Stato deve difendere, bensì il virus originario che ci porta a consunzione, agendo nel vano tentativo di sfamarlo. In Crosara, questo fare diventa rituale, anestetico, «assurda terapia», uno «stare», come in kitchen, spazio domestico per eccellenza, eppure estraneo tanto alle figure raccontate, quanto al lettore, che intravede azioni comuni (lavare i piatti, sbrigare la tavola, conversare), foriere, forse, di una felicità celeste, ma comunque spostata in avanti: «avrebbero toccato il massimo / dell'equilibrio solo quando uno avesse parlato e l'altro / nel contempo con le mani e l'acqua. avrebbero dunque toccato il cielo». Kitchen appartiene a Dis, ma è pienamente cellula di Ius, proprio perché mette in scena la famiglia nel suo ordine quotidiano, nella divisione dei ruoli, che garantisce stabilità al sistema civile.
L'esistenza disperata (espressione del sistema-natura) inevitabilmente patisce nell'ordine costituito, rischiando di continuo l'«ostracismo», come si narra in Paîs, terzo momento del polittico, serie di destini paesani messi in disparte dalla società, segnati dalla caduta nel buio, tema che torna e segna, con il colore bianco, l'ossimoro strutturale del libro, come se l'uomo stesse faticosamente in piedi per sincronica lotta di due opposti, entrambi di radice religiosa: lo scuro abisso e la luce, irrisolvibili dialetticamente (e semmai riconducibili alla ciclicità del mito, in particolare quello di Persefone), e fonte invece di sofferenze certe. L'uomo di cui ci parla Erika Crosara agisce dunque fra due vuoti – interiore e sociale – fratello dei personaggi conradiani e beckettiani, ma anche della disperata vitalità di Amelia Rosselli, sempre governata da un'educazione impeccabile ma castrante, come ne la signorina vincenza, della sezione conclusiva, il cui «zelo» la «lascia senza forze». Sus, suis – parole gemelle nel riportare alla luce tanto l'animalità dell'essere umano quanto le sue buone maniere, il je suis dell'elegantissima modernità francese, che fa da sponda, in altra lingua, al sus domesticus (il maiale) e al suis, lo streptococco che l'ammala – sintetizza appunto il conflitto originario che attraversa il libro, tra il miraggio del bene, incarnato qui e altrove nella lucentezza della foglia oro, della «doratura», e l'opacità dell'umana materia, caduca ossia che presto cade e perisce.

14 commenti:

  1. La poesia di Crosara (che conosco da prima che vincesse il premio per inediti) è senza dubbio, una preziosa testimonianza della propria vita e del mondo che attraversa costantemente con una lucidità e serietà impressionanti.
    E' poesia vera- e "verità" è per me sinonimo più alto dell'essere necessari, definizione, questa, che per tante ragioni sembra appartenere, spesso in seconda battuta, alla storia critica della letteratura- in quanto Erika ingloba la stessa necessarietà, ne fa un "limite" secondario per darci poesie di tale verità, che le fanno fare un balzo, a mio giudizio, sopra i suoi coetanei e su tanto di quello he possiamo leggere oggi.

    Cristina Annino

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  2. sono perfettamente d'accordo con te, cara Cristina.

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  3. Leggo per la prima volta e devo concordare con il commento di Cristina Annino. Complimenti.

    Nadia Agustoni

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  4. Sono d'accordo, in particolare con l'analisi di Cristina. Al di là dell'affetto che provo per Erika. stimo moltissimo il suo percorso artistico, anche se è per certi versi lontano da ciò che leggo solitamente, e fatico a seguirlo. Ma questo non mi impedisce di riconoscerne l'integrità e soprattutto il valore. In particolare mi colpisce appunto la necessarietà a cui piega letteralmente le parole ed i significati, diventando capace di disegnare una lingua che le serve come espressione. Un lavoro di grande verità, decisamente raro, e io - ripeto - lo ammiro moltissimo.

    Francesco t.

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  5. grazie ad entrambi per la testimnianza. Devo dire ad Erika che ho messo questo post perché ancora non lo sa!

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  6. Caro Stefano, la tua lettura critica è, come al solito, condivisibile in toto. Grazie per il contributo che hai portato sabato, in diretta. Cara Erika, mi ha impressionato la tua capacità di corrispondere, di persona, completamente a quello che scrivi: il dolore che prende sostanza nella poesia che lo libera. Momenti difficilmente ripetibili, grazie anche alla presenza di Cristina, vera, grande, Signora della poesia. Ranieri

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  7. Caro Ranieri, l'organizzazione dell'evento è stata impeccabile, le letture critiche da parte di Furia, Bonacini, Pierno assolutamente competenti, l'ospitalità eccellente!

    Grazie a voi.

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  8. Grazie, Ranieri! Quel che dici di me mi onora, mi da senso.(E mi si scusi l'intervento personale)

    Cristina Annino.

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  9. La lucidità e la serietà di cui parla Cristina è la forza della poesia di Erika. In questo libro breve e icastico si intuisce una immediata, dura necessità, che le parole restituiscono con evidenza. Complimenti. E grazie a Flavio, Ranieri, Giorgio, Sara, Marco, Mara, per l'organizzazione dell'evento.
    Marco

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  10. arrivo un po’ tardi (causa accumulo di lavoro più connaturata lentezza), ma non per questo meno profondamente riconoscente a quanti si sono affacciati qui.
    grazie cara Cristina, che sempre spendi parole più che generose e più che lusinghiere per me, si capisce quanto io possa essere onorata, visto che considero la tua scrittura un punto fermo non prescindibile della poesia italiana oggi, e averti ascoltata sabato è stato l’ennesimo piacere, sei, come giustamente dice Ranieri, una signora della poesia. un talento non riducibile, un esempio vero.
    e ringrazio Nadia, che per la prima volta legge.
    grazie Francesco, sempre attento, sempre generoso ospite. trovo che incontrarsi (nel nostro caso di incontro si tratta) in poetiche differenti sia uno dei miracoli della poesia, vuol dire che c’è qualcosa che riesce ad andare oltre le intenzioni e gli esiti particolari, vuol dire che c’è qualcosa che resta, che non ha luogo definito o parte, una specie di utopia dove si sta, e si può stare meravigliosamente insieme e frontali e differenti, appunto, come ci accade.
    le parole di Ranieri mi toccano moltissimo, grazie davvero caro Ranieri. e grazie ad Anterem tutta, per l’occasione speciale, importantissima, che mi è stata data; ringrazio anche da qui Flavio, Giorgio e tutta l’organizzazione, sono stata benissimo, giorni indimenticabili.
    mando un caro saluto a Marco, felicissima di avere condiviso anche con lui questa giornata veronese, grazie di cuore per le tue parole, spero che ci saranno presto nuove occasioni di incontro, di approfondimento.
    Stefano, e a te quanti grazie dovrei dire? non c’è numero per il bene che fai alla poesia (e a me come scrivente e come persona, fin dall’inizio).
    vi abbraccio
    erika

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  11. cara Erika, non esagerare con i complimenti a me: in fondo, tu attiri su Blanc molti lettori. ti ho messa solo per questo! :-)))

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  12. Cara Erika,siamo noi tutti che dobbiamo ringraziarti per averci dato modo di leggere e apprezzare le tue poesie e, pubblicandole, di arricchire il catalogo Anterem.
    Io, in particolare, ti ringrazio perché ho potuto riflettere e scrivere sulla tua poesia, cercando un percorso di lettura (anche un solo pezzetto) che fosse un "di più" per una condivisa meditazione.
    Un caro saluto.
    Giorgio Bonacini

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  13. I miei più sinceri complimenti a Erika!
    Sono molto felice che la sua poesia, già così matura e interessante, trovi questi riscontri.
    Per fortuna ci sono premi dove la competenza delle giurie è indiscutibilmente sopraffina!


    ciao anche a Stefano e a tutti i suoi ospiti.

    iole

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  14. ti ringrazio Giorgio per essere passato qui, sempre così attento nei miei confronti. credo che i due interventi critici che accompagnano Ius, questo di Stefano e la premessa di Giorgio, riescano perfettamente a restituire l’intenzione, i modi del fare, il percorso: sono a mio avviso due letture complementari, forti, non solo in grado di introdurre con grande puntualità il lettore, ma capaci di esporre ulteriormente alcuni nuclei fondamentali del libro, svolgendoli là dove un tono “reticente”, non tanto per vezzo ma più per costituzione e visione delle cose, potrebbe anche essere frainteso (infatti “l’oscillazione del senso”, come scrive benissimo Giorgio, va “fondata e rifondata”, magari cercando proprio un punto di “precisione”: vedere come fiorisce una possibilità sapendo esattamente che le possibilità non sono infinite, che tutto si gioca dentro una “sincronica lotta di due opposti, irrisolvibili dialetticamente”, come sottolinea appunto Stefano).
    cara Iole, la tua presenza mi fa stare bene ogni volta, grazie sempre (a prestissimo!).
    un saluto a tutti, e un grazie carissimo per l’ospitalità a Stefano.
    erika

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