Libro molto recensito in rete, Taccuino nero (Le Voci della Luna 2009) di Nadia Agustoni piace perché attraversa, senza retorica, il tema caldo del lavoro in fabbrica, ma quasi come se, quella vita da reclusi sempre in pericolo, fosse emblema della vita tout court, della presente e morta stagione tardo-moderna, disseminata d'asfalto e gas mefitici, senza futuro, cui contrapporre, in perdita, la memoria di un'infanzia almeno umana, "correndo sui campetti di terra di paese", ma non per questo felice: "L'infanzia / è gli uccelli / infreddoliti / e novembre / ai morti". La fatica di vivere è doppia: non soltanto agìta sull'io dal sistema produttivo, dai tripli cicli di lavoro, da un mondo, quello operaio, respirato sin dalla nascita, ma lacerante dall'interno, come ci racconta "senza filo", grido di un animo barbaro che non si adegua e per questo patisce più degli altri, doppiamente, appunto: l'attrito con l'omologazione e il senso d'essere incapaci di realizzare una vera e propria rivolta, uno stacco netto con la routine, riscattandosi solo nell'intimità, maledettamente colorata come il "dono" di William Blake citato in corsivo. La "fisiologia del degrado", lo dice bene Francesco Marotta nella prefazione, attraversa la possibilità stessa di nominare l'unità, di sé e della storia, il senso che chiediamo al futuro per accettare i mali del presente.
Taccuino nero è anche la moleskine chatwiniana di un viaggio nella waste land padana, in cui Agustoni registra l'invisibile tremore delle cose e degli uomini, la precarietà fatta sistema, e confida la propria lacerazione ("L'ostacolo è l'altro io"), compreso quel suo stare in "attesa" ("Essere una feritoia con vista sul tempo") che qualcosa di universale si compia, un "diluvio" palingenetico, un bagno nel fiume Lete, per una smemoratezza salvifica. Le prose della terza e ultima sezione sembrano scritte dopo quest'immersione, leggere perché bagnate nella memoria infantile, in quella credulità masticata poi dalla storia, dalla biografia. Non a caso Pavese e Meneghello sono citati qui e là, loro che dell'infanzia hanno fatto l'altrove dal quale osservare il nostro, moderno, sradicamento.
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Posto un breve saggio inedito su Taccuino nero scritto da Ivano Cogo.
Dico subito che Nadia Agustoni è poetessa appartata ma interessante e significativa. La sua cifra più tipica, in questo Taccuino Nero, è costituita da un'incessante volontà espressiva, di una reale inquietudine interiore, un continuo interrogarsi, un vivo desiderio di reagire in modo personale alle sollecitazioni della storia. Non è un libro facile e facilmente percepibile questo Taccuino nero.
Dentro un linguaggio che eroicamente cerca di avvicinarsi quanto più possibile all'essenza agra delle cose, nella scelta di una terminologia forbita e reale si cela una dimensione ulteriore perennemente in bilico tra parola detta e gridata. È l'elaborazione di un malessere, la drammatica presa di coscienza della finitudine umana in lotta contro la patologia sociale che nel suo elaborare inesorabile stravolge ogni cosa, ogni essere vivente. Una poesia intensa per ammisione stessa dell'autore: "La vita o l'essere quasi vita / non ci sono più e beato un uccello / mette il capo in grembo all'erba".
Il libro si dipana sostanzialmente in tre sezioni i cui titoli rimandano tutti a luoghi ben precisi come la prima, "Fabbrica", dove "L'archeologia industriale ricostruirà / il gesto intero della vita, / ma non la brama del gesto, / non il morso nella carne, il contemplare / lo spazio". Paesaggio lombardo e voci è un serrato dialogo del poeta con se stesso, nella solitudine dell'autocoscienza: "Se una vampa ci incrina, sia o non sia fuoco, / è un invito a stupirci che prende il corpo / l'anima tutta che domanda...". Infine in Frammenti incontriamo versi narrativi lunghi che si affidano alla forza di microstorie con uno sguardo autentico di verità: "In mente ho una persona dolce, che insegnava i nomi dei fiori al bambino".
lavoro dell’alba
Lavoro dell’alba, shock mattutino
l’aspettare, tenere l’attesa che è acino maturo,
confondersi al quadrare dell’ora
far su le cose con gesto grezzo e grande
che t’impari quel che è creato
t’impari un sonetto di silenzi
prima del rumore delle ferramenta
che esplodono quando ti maciulla il costato l’ingranaggio
e tu sei arnese che pensa e non pensa ch’è presto ancora
e tardi farai anche alla tua veglia
che hai un sonno vivo
un sonno di redenzioni e d’innocenza
dove ti tocca nascere
ma nasci appena un po’ e bambina
che avrà neanche parola neanche l’asciugarsi del pianto
né un angelo infermo che si biasima.
senza filo
Incline ai tic e a tirare le parole con la squadra
so cos'ha di ferocia il futuro ma più temo il non placarsi
del barbaro in me, del ragazzo-io, del minotauro
che diserta il labirinto e senza filo irradia il mondo.
Nuvole il mio dono a ragazze di mite argento e violento oro
ma ognuno è preda del dubbio ognuno è a sé pudore
e un darsi agli altri in racconto di meraviglia
perché pagata una morte qualsiasi sia salva la vita.
Ci accompagna la pioggia e il metallo è nero,
duro pane e stalagmiti di ruggine mignon a cui infantile inarco il cuore
in gioco di biglie che si superano e picchiandosi contro
si fermano, tornano indietro un'oncia, dove è regno l'attesa.
storia del cane
Scherziamo sul dolore e l’averlo nella testa
c’è un coltello magico per incidere i dolori
sono le parole della quiete non dette
l’uno due e tre contati per finta
perché al via ci siamo, ma c’è il trucco.
Lo stesso succede al cane che si lancia
e trova la catena sulla fine e non prende niente
né capisce perché c’è chi ride passando
e chi ha paura di una rabbia sperduta
dell’occhio che afferra un limbo.
5 balene
Con 5 balene-macchine nel cuore vivo
vive di bulloni e motori a drenarmi il pensiero
e passeggio nel rumore dell'alba
nei fumi alito il respiro
sono un fantasma con scarpe come fagiani
ai piedi
volo poco in là
in stagione di spari.
questi paesi
II nuovo diluvio universale non toccherà questi paesi
il grigio che affonda nel cielo riemergerà
e l'ala di un corvo vicino al sole si aprirà
come un gheriglio e il vuoto golfo di ossigeno
sentiremo sopra la testa, i volti come cruna d'ago,
pertugi da cui nulla scaturisce.
Diradandosi il mondo lo avremo alle spalle e i deserti
simili a un'infanzia cresceranno fino alle parole
e un minimo miraggio coglierà l'occhio, un luogo
di serena pazzia, senza pomo della discordia, senza ricordo.
Si andrà eterni all'eterno e l'angelo sadico tradirà sulla soglia
chiudendola a chiave con l'urgenza superiore del fato e dai pori
sudando la forza, verrà a galla il cuore, nuoterà l'aria intera
e arderà un sogno nascendoci da capo, cominciando.
son venuti tempi nuovi
L'annuncio di una gita
o di una partitella e noi pensiamo
com'era giocare a pallone la domenica
correndo sui campetti di terra di paese
in un oratorio con il prete e le suore
che ci indicavano ridendo " ragazzine matte..."
e il dito suonava l'aria.
Son venuti tempi nuovi
un'età in cui il rumore è tutta la vita
e nessuno mostra col dito i bambini
mentre la luce lascia i suoi crolli sul giorno
e si dice che il cuculo porti sfortuna
che non si fa questo o quello
perché il mondo non cambierà,
non un 'altra volta, non per noi.
c’è il morire senza luoghi
Cosa sono quegli occhi che sembra roncolino il buio?
Agito una bottiglia con la nave dentro: “ quello è il mare,
la bufera, il maestrale, è il tartagliare delle dita miracolanti
alfabeti, chiuse che s’infogano d’acqua e s’avvinghiano a
terra, polvere, erba”.
Com’è che nei posti non metti radici?
C’è il morire senza luoghi l’essere frangivento,
zolla ricreata per dirmi cielo, ala,
scialo di luce e sera se in me creo speranza.
Se questo è parlare c’è fine alla fine e al vocio
c’è insonnia nel ricordo
c’è un’idea di fame
e di rabbia innocente.
i morti
Ricordo case come querce e i campetti di calcio, un paese nudo con il tempo disteso e la luce a sera presa di foschie. C'era un freddo più intero a ottobre, più compatto nel mutarsi dei colori e il cielo era di alta nuvolaglia e di dura tramontana. I muretti gelavano al primo trimestre scolastico e selvatica la pioggia, neanche cadeva, veniva avanti a giornate, sembrava sciolta sulla terra e brucava l'aria. In disparte, appena certa di noi, c'era la muraglia degli stabilimenti, un crollo sui nostri crolli. E' rimasto l'odore di cose che han bruciato. C'è un salto che gli occhi riempiono di anni e m'accorgo che non ci sono bambini in giro, ma sono io a far pensiero grosso di abitudini finite. Il 13 dicembre ci salvava entrando dai camini e dalle finestre. Scendeva un asino dal cielo, dalle stelle, da un posticino lassù e portava una santa con i regali. Alle nove non c'era chi fiatasse e ciotole d'acqua e latte erano a tutte le porte perché si dava noi pure qualcosa. Spavento era parlare di carbone, ma poi succedeva altrove, in case di cattivi pensieri. Il carbone era per i bambini cattivi e mai si sapeva a chi toccasse se non per rimproveri vaghi. L'ultima sirena delle fabbriche alle dieci di sera faceva quasi fumo, era un pensiero denso. Tutto si fermava. Tutto era riempito dal tempo ma senza ci accorgessimo di giorni lunghi o corti. La noia era pigra, migravamo nei campi e dai campanili batteva non l'ora, ma una soglia che cedeva tra terra e azzurro. C'era un silenzio di frasi taciute e una lingua per i morti. I morti erano sempre ricordati. Erano in un mondo vicino, forse lo stesso nostro mondo e se erano soli si facevano sentire. Brutta cosa "quando danno segno", ma a rispondere ci pensavano in molti e mettevano sentiero come di sassolini con voci e requiem di donne e vecchi. I morti si salvavano sempre secondo i vecchi. "C'è qualcosa", dicevano, "che li tiene qui". A volte "succede un'ingiustizia e loro aspettano chi metta pace, chi aggiusti le cose rotte, perché va riparato quel che deve essere riparato, che non va bene altrimenti e loro aspettano". Se invece erano cattivi "fanno segno a chi li capisce dei suoi, che bisogna facciano mostra di aggiustare al meglio per chi non può più, il male fatto". Le cose rotte e aggiustate come cicatrici. I fatti rimessi in sesto magari tardivamente perché ci fossero meno vuoti, meno luoghi d'entrata al dolore. I morti erano segni, la loro attesa aveva vita, sonno e veglia. Andavano anche a dormire, me lo dicevano con certezza i lumini dei cimiteri. Ceri rossi di una volta che di notte erano confine. I morti erano anche i morti di lavoro, Poteva esserci una frustata nell'aria che era la stessa sirena di chiamata ogni giorno, ma veniva all'improvviso. C'erano questi morti che nessuno sapeva il perché. File di biciclette sulle rastrelliere e due o tre o quattro non venivano tolte che da mani pietose dopo uno stretto tempo di lutto. Come se il lutto finisse riportando le biciclette alle mogli. Quelli che morivano come a un colpo di sfortuna sembravano più toccati dalla vita che dalla morte. E' rimasto indietro il gesto di chi li andava a prendere quasi fossero i caduti su un campo di guerra. Gesto di memoria e di conoscenza che li ricomponeva in una coperta. I morti di tutti. Era una morte che non finiva da sola.
Nadia Agustoni, nata a Bergamo l’8 marzo 1964, ha pubblicato i seguenti libri di poesia: Grammatica tempo (1994), Miss Blues e altre poesie (1995), Icara o dell’aria ( 1998), Poesia di corpi e di parole (2002), Quaderno di San Francisco (2004) e Dettato sulla geometria degli spazi (2006), Il libro degli Haiku bianchi (2007), Taccuino Nero (2009). Collabora a varie riviste (Leggendaria, Leggere Donna, A, L’area di Broca e altre ) e a blog letterari (Nazione Indiana, Lpels, LiberInversi, Donne in Viaggio). Sue poesie sono apparse nella rivista Poesia e in altre pubblicazioni. Ha scritto saggi su di Etty Hillesum, Elizabeth Bishop, Kazimiers Brandys, Patrizia Cavalli, Gianna Mancini, Monique Wittig, Cristina Annino e altri. Ha vissuto a lungo in Toscana e attualmente vive e lavora come operaia a Bergamo. Studia il Sufismo.
Mi piace aprire i commenti che ci saranno e mi complimento con Stefano per averci presentato una vera voce poetica. In Agustoni tutto passa attraverso le sue capacità innegabilemte creative.La fabbrica stessa è vissuta e raccontata (non aggressivamente, non iconizzata)quale oggetto di poesia e ha uguale altezza di risultato espressivo degli altri temi di Taccuino.
RispondiEliminaVoglio alludere anche alla capacità sosprendente di Nadia come saggista, e al suo costante indagare forte, preciso, su ciò che accade nel mondo. Senza nessuna teatralità, nè retorica ma con un colto dolore unito a una forte curiosità intellettuale.
Questa sua presenza costantemente rivolta a ciò che accade, e non solo in termini soggettivi, potrebbe, nei futuri libri poetici esplodere anche in rabbia. Qui io ne intuisco i presupposti e se ciò realmente accadesse, non potrei che prevederlo soprattutto come impegno di ricerca linguistica. Con tutto ciò che questo comporta.
Cristina Annino.
Sono d'accordo, parola per parola, su quanto Cristina Annino afferma.
RispondiEliminaNon c'è molto da aggiungere.
Nadia è semplicemente grande.
Liliana Zinetti
Ben detto Cristina: è necessario riferire anche dell'attività critica di Nadia,sempre puntuale e mai prevaricatrice.
RispondiEliminaapprofitto del blog di Liliana per linkare poesie di Nadia tratte da "Icara o dell'aria"
qui: http://spaziozero54.splinder.com/post/22880968/nadia-agustoni-icara-o-dellaria
un saluto ed entrambe.
Ringrazio Stefano Guglielmin per quanto ha colto di questo "Taccuino nero". Per me è sempre difficile parlare di un mio libro, ma questo è stato anche un libro più difficile di altri perchè ha toccato uno dei nuclei dolenti della mia vita e di questi tempi: il lavoro. Quel che mi premeva era anche osservare il mondo-fabbrica senza cedere nulla dell' umano a quella che è la condizione. Perchè la vera sofferenza è nella condizione. Se ci sono riuscita o meno ognuno potrà rispondere come vuole.
RispondiElimina@ Cristina Annino
Grazie della stima che le tue parole mi trasmettono. Del mio lavoro sia saggistico che poetico la curiosità intellettuale è il motore, e spero di continuare.
Le due scritture (saggio e poesia) per me si integrano.
@Liliana
Un caro saluto e grazie delle parole che scrivi, della stima che sempre mi dimostri.
Nadia Agustoni
cara Nadia, mi pare che tu ci sia riuscita. spero si colga anche dal mio cappello.
RispondiElimina"Curiosità come motore", giustissimo, Nadia. Io credo che il vero impulso, se non il principale, nel nostro lavoro sia proprio questa curiosità dell'intelletto che ci salva dall'"anonimato" intellettuale.
RispondiEliminaPochi di coloro che scrivono sanno perché lo fanno; proprio perché mancano di curiosità (indagine come uscita) anche verso se stessi.
Cristina.
Rivolgo i miei complimenti a Stefano Guglielmin per la recensione interessante e puntuale del libro di Nadia Agustoni.
RispondiEliminaL'autrice ha una poetica che è solo 'sua', intensa e profonda. Appartengono alla Agustoni i temi esistenziali legati alla sopravvivenza nella fabbrica. Da quel microcosmo, però, l'autrice sposta lo sguardo, riconoscendo altre valenze intorno a sé. L'autrice riscatta quindi le negatività attraverso un umanesimo laico, ma aperto alla discussione, forte del diritto/dovere di testimonianza. Mi sembra che Guglielmin abbia colto in pieno la scelta, responsabile e rigorosa, dell'Agustoni, di fare poesia e critica nel pieno rispetto di entrambe le aree. Si tratta, per lei, di veri campi d'esplorazione che la coinvolgono profondamente, implicandosi a vicenda (perciò aderisco con entusiasmo ai commenti presentati in questa sede). Da parte mia, vorrei sottolineare la chiarezza espositiva di Stefano Gugliemin, critico, dunque, e poeta integrale che leggo con piacere. MARZIA ALUNNI
Tornerò per leggere con più attenzione, ma già ad una prima occhiata questi versi di Nadia mi sembrano di una chiarezza e una onestà intellettuale fuori dal comune.
RispondiEliminaComplimenti all'autrice e al caro Stefano!
Gianfranco
Sono molto contento di trovare il Taccuino Nero anche qui. Io nel mio piccolo ne avevo già scritto altrove, e dunque aggiungerò poco.
RispondiEliminaQuello che più mi colpisce nella poesia di Nadia è il peso delle parole, il fatto che ciascuna di loro sembra un bullone, un pezzo di ferro: è lì e lì significa, anche quando, come in questo caso, il significato è cupo, "nero". E' una scrittura estremamente consapevole che non ha bisogno di nessun artificio se non il proprio esserci, dire (in ciò, nella diversità dei registri, mi ricorda l'approccio di un altro grande poeta, cioè Michele Obit).
Sono convinto anche che se il mondo della poesia in Italia non avesse timore di esporsi questo libro avrebbe avuto la risonanza che merita, e che spero avrà da qui in avanti.
Da parte mia, per questo libro e per tutto il resto, rinnovo la mia stima in Nadia.
E saluto il caro st.
Francesco t.
Ammiro molto la poesia di Nadia Agustoni. A lei va tutta la mia stima, per ciò che scrive e per come lo scrive (colpisce "il peso delle parole", dice bene Francesco).
RispondiEliminaUn caro saluto a tutti, e un grazie a Stefano per questa sua lettura.
Stefania C.
L'amalgama di nervi e terra, di pesi e storie, di speranze e presagi, è reso unico qui nel Taccuino nero come in altre raccolte di Nadia Agustoni dallo sguardo attento e da una voce sapiente. Non c'è niente di scontato, nulla è dato per acquisito una volta per tutte: è l'attenzione che nasce dal rispetto profondo per l'altro da sé a farsi motore di una ricerca continua. Bello trovare anche qui uno spazio dedicato con grande cura e lettura esperta alla poesia autentica di Nadia Agustoni.
RispondiEliminaE' bello avere intorno tante voci, persone che di "Taccuino nero" hanno colto ognuno qualcosa e se qualcosa questo libro vi ha dato ne sono felice. Vi ringrazio tutti.
RispondiEliminasono felicemente sorpreso di trovare questa sincera mobilitazione in favore di Nadia. Le vostre testimonianze sono utili alla critica e affettuose quel giusto che serve ad un poeta per continuare il proprio lavoro.
RispondiEliminarigrazio tutti e, in particolare, Marzia Alunni che ha messo, credo, il suo primo commento su Blanc.
La catena di una trasmissione umana, come quella degli anelli di midollo che ci allontanano e tengono alla schiena, o quella che dall'infanzia ci allunga alla vecchiaia, o da una generazione all'altra, o, ancora quella di una linea di produzione in fabbrica e così via,
RispondiEliminaquesta trasmissione di nodi esistenziali, assimilabile al “tremore delle cose e degli uomini,” di cui parla gugl, che viene registrata sul “taccuino”,
nero, come tremore originario -originato dal buio e che registra il buio
questa catena,
aleatoria , dominata dalla casualità degli anelli che si urtano, si ingrippano l'un l'altro, si spezzano( “in gioco di biglie che si superano e picchiandosi contro /si fermano, tornano indietro un'oncia, dove è regno l'attesa.”)
questa catena, nella quale ciascuno di noi è “arnese che pensa e non pensa”, utile ma non indispensabile, tanto meno pienamente consapevole,
questa catena non ci scampa, trascinandoci in sorte, non ci salvifica e nemmeno giustifica, ma ci mantiene in quel limbo afferrato dall'occhio che, a sua volta, guarda e passa, in una catena di vista che fino in fondo nn vede,
perché il limbo è la nostra condizione esistenziale, “dove ti tocca nascere / ma nasci appena un po’”,eppure "C'è qualcosa", dicevano, "che li tiene qui",
in cui cui anche la morte non sempre o non per tutti ha un perché (“C'erano questi morti che nessuno sapeva il perché.”),
un limbo nel quale il giro è a vuoto, trascinato e sospeso allo stesso tempo,
pauroso “di una rabbia sperduta”, mai sfogata
la nostra condizione è quella “dove è regno l'attesa.”
(dove anche quella “feritoia con vista sul tempo” della quale parli tu gugl,è pure sempre una feritoia -si è in gattabuia?..-)
quella del cane in una cuccia “che si lancia /e trova la catena sulla fine e non prende niente /né capisce perché c’è chi ride passando”...
(il cane morde il vento, gli sfugge il grumo d'essere, il “centro”, come a Tantalo il masso).
Ho molto svariato :) e decentrato il discorso..., ma dei fuochi di questa poetica Nadia stessa, nonché tutti gli altri interventi hanno detto-
ciao!
Grazie Margherita dell'intervento e riprendo questo spunto : "tanto meno pienamente consapevole" per dire una cosa: a coloro che vivono parte della loro vita ogni giorno e a lungo in un sistema lavorativo del tipo fabbrica, non manca tanto la consapevolezza, ma manca la forza. E' la forza del cambiamento reale che manca, tanto che si sono perduti pian piano, tutti i diritti a partire da quello della sicurezza, con le conseguenze che sappiamo. E' come se mancasse l'orizzonte del possibile. Da lungo tempo l'arretramento è in atto: chi è entrato 30 anni fa in fabbrica oggi arriva a dire che era impensabile quanto è accaduto e accade. Le ribellioni solitarie poi non mancano, ma si sa, si pagano care. Un saluto .
RispondiEliminaCari Nadia, Stefano, Cristina, Francesco, Ivano, Liliana, Gianfranco, Stefania, e gli altri amici che non conosco, sono felice di trovarvi qui, attorno al bel libro (posso dirlo? anche se pecco di autocompiacimento, è un parto di cui vado fierissimo) di cui avete già detto cose altrettanto belle e profonde. Passare dal blog di Stefano e rileggere il libro di Nadia è stato l’unico momento di gioia in un rientro per il resto nero come il suo Taccuino. Sono appena passato da Sud, che avevo appena imparato ad apprezzare per le sue calde serate milanesi di poesia, organizzate dalla Lamberti-Bocconi e da Francesca Genti, per salutare almeno il barista, cercare di sapere qualcosa su un futuro possibile, e l’ho trovato già sventrato, con gli operai intenti a piastrellare, tirare di lucido [il murale sulla parete di fondo con l’insolita citazione di Einaudi “La memoria è il primo ostacolo di ogni regime, si può dominare veramente solo un popolo senza memoria” già distrutto, demolito], pronto a diventare il solito locale fighetta da happy hour sui navigli. Poi la notizia -davvero ferale- della chiusura [spero, ma purtroppo non credo, momentanea] del blog che ha fatto un lavoro enorme e insostituibile in questi anni sulla poesia: La dimora del tempo sospeso, di FM, che vi invito a contattare, cercare per telefono (non è più raggiungibile per computer) per sostenerlo, per quanto è possibile, nel momento durissimo che sta vivendo. Resistere, resistere, resistere sta diventando un’utopia sempre più svuotata, anche nelle piccole cose: sto iniziando a spedire il nuovo libro di Dina Basso, Uccalamma, e in posta, non contenti di avere eliminato con un colpo di spugna le tariffe editoriali, vengo a sapere che in agosto -in totale silenzio mediatico- hanno aumentato in un solo colpo le tariffe delle spedizioni tracciabili del 25% (l’aumento reale è minimo -mi hanno detto- c’è solo stata l’applicazione dell’IVA -il 20%- sulle spedizioni affidate agli spedizionieri privati..). Così adesso spedire un libro in modo sicuro -i pieghi libro vengono smarriti in una percentuale insostenibile- costa più del libro. Viene davvero voglia di smettere.
RispondiEliminaTornando al libro di Nadia, mi deprime tantissimo non riuscire ad ottenere per lui il riconoscimento che gli spetta. Un esempio recente: abbiamo in finale in uno dei tanti premi cui le Voci partecipano ben tre libri su una dozzina di finalisti (Manni ne ha due, tutti gli altri uno). Dovrei esserne felice. Ma ne avevo inviati cinque, e Taccuino Nero, che merita sicuramente almeno come gli altri, non c’è. Forse è davvero una poesia difficile, nel suo rigore, nella sua non-retorica. Nel suo scavo scarno. Come in Tomada, o in Obit, è vero che ogni parola nella sua scrittura è necessaria, precisa e senza bave, fissata ‘come un bullone di ferro’. Una testimonianza inoppugnabile. Allora forse abbiamo solo sbagliato il titolo, e mi assumo la responsabilità di averlo suggerito e sostenuto: sa di solfureo, di luciferino, rispetto alla dannazione della fabbrica e, come forse in Fabrica di Franzin, il tono può sembrare invece alla fine solo assuefazione, doloroso rinunciatario asservimento. Mentre ci si aspetta davvero, come qualcuno di voi ha detto, non solo la testimonianza, ma la denuncia, la rabbia, che qualcuno quei bulloni cominci a tirarli.
Scusate lo sfogo notturno, ma non riesco proprio a capacitarmi di come un libro come questo faccia così fatica ad essere apprezzato fino in fondo, ad essere amato come merita.
Grazie Stefano, e ancora di più grazie Nadia per la tua scrittura.
fabrizio bianchi
Caro Fabrizio, il titolo è forte, ma non fuorviante: questo libro è un viaggio (chatwin, i suoi taccuini neri) e un registro di lavoro (quei taccuini dove si firmava la presenza e si mettevano le ore fatte).
RispondiEliminaL'italia è senza memoria (il film di Martone sul risorgimento forse darà qualche suggestione, ma se la scuola continuerà a perdere il tempo su dettagli inutili anziché concentrarsi sulle linee forti della storia moderna e contemporanea, saremo sempre inadeguati a comprendere il presente).
Francesco Marotta: la chiusura del suo blog ci sta lasciando tutti un poco orfani. Telefonargli potrebbe essere la cosa giusta oppure scrivergli una lettera. Semmai qualcuno avesse bisogno, posso dare in privato il suo indirizzo.
grazie a te, Fabrizio per quanto stai facendo per la poesia italiana.
E un grazie a chi è intervenuto in questo post.
Fra tanta poesia omologata che spesso si legge in rete ma anche, purtroppo, sulla carta stampata, Taccuino nero di Nadia Agustoni si distingue per personalità e per quell'equilibrio di scrittura che lo rende facilmente riconoscibile. Ecco, " riconoscibile ", dovrebbe essere l'aspirazione della ricerca poetica, una riconoscibilità che diviene valore come nella poesia di Nadia. Nadia non indugia in facili orditi, non ricama ghirigori sul nulla, esprime di netto e con una nitidezza incredibile, il suo sentire rispetto a quanto la circonda e il suo dire è una cosa sola con gli aspetti più significativi di cui ci mette al corrente. Ogni verso, ogni parola riproduce fedelmente unori e sapori, odori e movimenti così che la poesia diviene una trasfigurazione di tutto ciò che è, che è stato o potrebbe essere.
RispondiEliminaIl dolore è presente ma non è urlato, un dolore per una condizione umana che sembra avere smarrito il senso della vita.
Nadia racconta il suo tempo personale ma anche quello storico e cerca nel verso una via per ricucire valori andati persi tra le aride dune di un deserto dove anche la parola, oggi, difficilmente trova respiro.
E se è vero che questo dolore incide, come un bisturi, l'anima e la pelle, è pur vero che nei Frammenti c'è un tentativo, ben riuscito, di ammorbidire quel dolore e renderlo più accettabile nella misura dei ricordi.
Ecco, forse Nadia cerca di dire che senza quei ricordi, belli o brutti, tristi o sereni, non ci può essere speranza per il futuro dell'uomo e quindi della parola.
ho già ringraziato Nadia quando, gentilmente, mi ha spedito questo splendido testo, la ringrazio ancora oggi augurandole tutta la fortuna possibile per altri versi interessanti e personalizzati.
Ringrazio anche Stefano per averla ospitata e quanti prima di me ne hanno scritto.
A Fabrizio Bianchi dico di non disperarsi e di pensare che difficilmente un autore di valore riesce a primeggiare, con qualche eccezione. La Poesia non sta nel mucchio e va cercata con la lanterna, lavoro che lui svolge abitualmente e per questo degno di stima.
Rivolgo da qui anch'io un pensiero al nostro amico Francesco Marotta perchè so che è nel cuore di tutti noi.
Mi scuso se mi sono alquanto dilungata e rivolgo a Nadia per prima un grande abbraccio e a tutti voi un carissimo saluto.
jolanda catalano
Chatwin e i taccuini neri, i Moleskine dei viaggi, fuori verso l'orizzonte e dentro, alle radici dell'anima (o come la vogliamo chiamare). E' un taccuino anche il mio, che non segna ne rassegnazione ne finta ribellione: chi tirava bulloni ieri, oggi fa l'avvocato del cavaliere. Sapete quanti ex-tutto hanno tirato bulloni? Tanti, troppi. Questo libro è stato scritto non perchè io uscissi dalla fabbrica ma perchè la fabbrica uscisse da me.
RispondiEliminaE ci sono riuscita. Troppo poco? Provate a fare di meglio. Chi legge davvero il libro può capirlo: non è scritto per ribadire una condizione. Lo abbiamo già detto e l'introduzione qui sopra dice che qualcuno ha capito. Più di qualcuno invero, e allora un pò di gioia e che il viaggio poesia-vita vita-poesia continui. Ma per davvero. (Sto ridendo eh! E FM capirebbe se leggesse. Ha capito questo libro prima di tutti).
Grazie del post Stefano e grazie agli amici intervenuti e a Fabrizio dico solo vai avanti è l'unica cosa importante con o senza riconoscimenti. E' questo che ci fa onore: fare anche le cose difficili. nadia agustoni
Solo un passaggio qui, non per aggiungere altro al lavoro di Nadia.
RispondiEliminaPer un saluto e un incoraggiamento di cuore a Fabrizio Bianchi e Francesco Marotta, persone che stimo e a cui voglio bene.
Francesco t.
Quando lessi il Taccuino nero di Nadia mi commmosse subito: aspirava ad un andamento- poema, era chiaro e sorgivo, parlva dal presente di una costante evocazione di futuro ..Insomma da innamorarsene, subito. Passarono mesi e volli conoscerla (l'ho vista fisicamente a casa di Cristina Annino), ma ci scrivemmo molto, prima. Essa ha già vari doni: come persona e come donna, e come poeta, ma tutti convergono verso una solarità, che è della infanzia, che non è mitizzata ma è mito, da cui mangiare, come il pane: per questa igiene-giardino della mente, e questa grande apertura noi amiamo te, e la tua poesia. Grazie,Nadia per le poesie attuali, e per le future;nasceranno certo da domande e orizzonti ancora inediti a raggiera, come le tue passeggiate e voci, irradianti un grande attaccamento-amore alla vita.
RispondiEliminaMaria Pia Quintavalla
mi accodo a Francesco Tomada e segnalo a Stefano un refuso in questa peraltro scrupolosa recensione: "wast lend" è, ovviamente "waste land", un caro saluto a tutti, Viola
RispondiEliminanaturalmente! Grazie Viola.
RispondiEliminaRingrazio tutti i commentatori e a tutti un saluto. nadia agustoni
RispondiEliminaE chiedo scusa se intervengo soltanto nell'ora [dispersa nei dedali che].
RispondiEliminaE mi associo all'Amore per la Poesia di Nadia perché la Poesia di Nadia è Amore, quell'Amore maiuscolo capace di suscitare e resuscitare, generare e rigenerare - per quel Nuovo Evo che deve. Essere.
E Nadia è: quel filtro capace, la traduzione dell'umano vissuto - al di là delle Torri d'Avorio nell'al di qua del vero.
*Perchè la vera sofferenza è nella condizione* e Nadia sottolinea e scintilla quella *Resistenza* che permeava Amelia ["io ero decisa a combattere"], in abbraccio fraterno e sororale.
Nell'inchino, ringrazio Stefano e bacio l'Agustoni Anima Pescina che tanto futuro lumina - per me e per chi è in grado di: ascoltare.
Chiara Daino