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mercoledì 16 dicembre 2009

Erika Crosara



Uscito nel n.43 (marzo 2009) della rivista semestrale Le Voci della Luna, ripropongo su Blanc questo mio cappello a Erika Crosara, poetessa ancora inedita individualmente, ma di sicuro valore.


La cifra stilistica di queste poesie poggia su due pedali retorici figli del dio della cancellazione: l'ellissi e la reticenza, quest'ultima intesa quale disvelare prudente per eccesso di riverenza verso la cosa nominata. In (kitchen), quattro lasse di cinque versi orientativamente alessandrini, Erika Crosara ritrae figure, forse familiari, in movimento distonico, fuori tempo sull'economia collettiva, storno, dunque, non in senso aggettivale (il grigio della cavalla pascoliana), bensì nell'accezione finanziaria, ossia di comportamento pericoloso da allontanare. L'uso dell'imperfetto, che troviamo anche nelle poesie «forse diventava grande l'ingombro...» e (oh trombe!), mantiene fuori dalla temporalità certa i cari soggetti di cui fa parola, avvicinandoli – per via retorica – alla terra del tempo labile, a quell'imbrunire della Storia dove immaginiamo i vivi e i morti dialogare sul senso della «parola "fine"», sulla possibilità che essi trovino una risposta alla domanda «cui prodest», entro la quale si acquietino i gesti compiuti per toccare il cielo e quelli, tragici, per sprofondare nel buio. Quanto era cominciato come un racconto sull'incomunicabilità, muta pertanto in possibilità estrema di relazione, in somma esemplare di segnali (le «sgraziature») pervasi dai due regni, a cui dare ascolto, per giustificare il non senso della vita, se vissuta nell'esclusiva pienezza della luce. L'ultima sestina tenta il medesimo dialogo tra finito e infinito, attraverso la scena del «ragazzo diligente», che non interroga la natura imitando il pastore errante leopardiano, bensì osserva il mutare del disordine cosmico, come fosse egli stesso stella cadente o «l'intero complesso» che migra.



(kitchen)

I.

(faceva così) le braccia sott’acqua nei piatti del bisogno,
andava mettendosi in testa l’intera serie dei nascondini
felicissimi. non era l’opposto bislacco, ma
un’assurda terapia: un fiore, di tanto in tanto un frutto,
lasso (il suo cuore) quando vengono coi ritorni cantando.



II.

non dipendeva da lui se pure offriva, continue, le sue
sgraziature, se stare significava il lato corto. pare che si tratti
di un dettaglio altrimenti tecnico, che il meccanismo stesso
impedisca ogni ricorso al cui prodest: vaghe, vaghe notizie
circa il posto degli avanzi.



III.

pensava in ogni occasione al marchio dell’inizio, al
marchio della fine. pensava anche alla forma del piatto,
se la capacità della sua custodia fosse sufficiente, al
gioco della ruota: immondo, lindo… sbalordivano le
distanze, oltre i palmi, il modo di volgersi in processioni.



IV.

quel che si capiva era che di lì a poco avrebbero stornato
il corso, che l’immobilità giocava la sua regola di assoluto;
non così il dato reale. avrebbero toccato il massimo
dell’equilibrio solo quando uno avesse parlato e l’altro nel
contempo con le mani e l’acqua. avrebbero dunque toccato il cielo.



***

..............................per daniela s.


forse diventava grande l’ingombro, o forse
lo era. i ganci assaltati e le maglie non coprivano
abbastanza. una questione di fili non ha modo di
essere detta? c’era per ogni amorevole casa la cura.

(siamo rimasti senza i regali: la selva e i nastri
bianchi senza vederci dentro un fondo. il pudore
in perpetuo ridotto a giglio, a saluto con salto).




(ventisei giugno duemilasette)


così raro il ballare delle frasche, lo scatto
dei rami tra nebbie composte e ora il vento, che ti porta
vago, estivo; un altro ostracismo, alto, dalle stanze.
friniva e disperata la caduta di ogni sillaba,
i suoi rovesci solo immaginati: il vestito di spumiglia
disappeso nel giorno della partenza, poi
verso l’alba la parola «fine».



(oh trombe!)


ma i cardini pasquali disdicevano ben oltre
le ventitré. l’erosione giungeva alle porte
con corollari e chiamate minime. le buche
che erano calde non erano per le cerimonie
e cantavano con sentimento.

non andare da nessuna parte, non giustificare
le feste: non erano in nulla l’ira di dio. mostravano
solo un dissapore, la rara conversione degli occhi
che si moltiplicava, così risultando assorti, passati.




***


dove la terra è di nessuno nessuno pulisce,
arriva a volte il ragazzo diligente che si mette disteso.
ma dopo l’orizzonte si amplia (se vociferava era senza
faccia e dappertutto raso). se sopravviene la descrizione

della natura si compie un atto immediato, infatti cascavano
alcuni pianeti e l’intero complesso migrava da storto.







Erika Crosara è nata a Vicenza nel 1977. Ha vissuto a Caldogno (Vicenza) e a Venezia; da poco si è stabilita a Galleriano di Lestizza (Udine). Un suo testo è stato pubblicato nella rivista «Specchio della Stampa» (2000). Nel 2001 ha messo in scena alcune sue poesie in Stagioni e battaglie (con Valeria Battaini e Sandro Zanchi). La silloge Ius è inserita nell’antologia Dall’Adige all’Isonzo. Poeti a Nord-Est (Fara Editore, 2008). Partecipa a pubbliche letture.

31 commenti:

  1. innanzitutto, caro Stefano, un grazie per questo luogo, da sempre attento anche a chi, come me, comincia.

    erika

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  2. cara Erika, credo che la tua poesia sia da far conoscere (e per questo l'ho postata su blanc).
    spero che ci siano commenti, così che tu possa interloquire con i lettori.

    ciao!

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  3. avevo letto Erika Corsara e non Crosara. bel nome mi sono detta per scrivere in vece di cosasenzanome ovvero la poesia che contiene tutti i nomi e che sceglie chi la scrive, il cui nome è già contenuto in essa comein un uovo, penso. insomma la poesia contiene già tutti i nomi di chi la scriverà e non il contrario) mi scuso della divagazione e della piccola fermata sul nome che spero non adulteri il seguito di quanto mi permetto di andare a scrivere.

    mi piace molto la poesia di Erika e sono d' accordo che vada fatta ascoltare con la voce più che con le parole. sono monolocali le sue stanze dalle quali (si) fugge per tuttavia rimanere. un gioco del fai da te in cui la spontaneità del tempo che passa a volte arriva come un gioco senza pesantezza senza ferire con desueti a anticati mali di vivere in cui riversa spesso il verso contemporaneo (pure il mio, eccome e infatti mi sono stancata di me e anche la poesia si è stancata di me) Erica scrive che incomincia: all' apparenza inizi, ma certo da tempo raccoglievi poesia e adesso ti senti intatta da poterti smembrare e sembrare.
    che tutto è sembianza d' essenza
    un giro nei dintorni dell' assoluto
    pur lavando i piatti o cercando di scavarsi la fossa con la fronte in fondo agli sgorghi del lavandino. la verità è fragile come fragile è l' albero respiratorio di un bambino ma anche potentissima come lo è un bambino il cui sapere sconvolge spesso il Sapere stesso.
    questo mi dice (arriva a me)quanto vuoi dire con la tua scrittura. certo non vuoi solo dire quello. difficile concentrare il dire che tutto ci è concentrico e solo iin parte afferrabile.
    sono andata fuori tema? interessanti e non finiti (che bella cosa la non fine) i tuoi versi di fuga e non in fuga perché tu non essendoci rimani garbatissima sempre in altra percezione e colore. non spii ma "guardi" nuova precisa limpida
    decisamente sorella di pelle con la vita di cui cerchi forse la più viva oltretomba... che sia là

    dove la terra è di nessuno nessuno pulisce? in un discorso che continua e continua. i tuoi versi sono come un lungo verso.

    mi scuso per l' ordito tutto sfatto.
    un saluto
    paola lovisolo

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  4. gentile paola,
    la tua lettura è assolutamente "dentro il tema", anzi voglio ringraziarti subito perchè incontrare una così sentita comprensione del mio fare poetico mi fa davvero molto piacere, e mi onora.
    credo che tu abbia focalizzato subito su un punto che ritengo fondante, ovvero quello della "verità": la scrittura è sorella della conoscenza, non stabilisco una gerarchia, ma certo la scrittura è per me un sapere che accade, e parla. accade come vuole il sapere, credo che a me spetti soprattutto la lima e il discorso (che sono comunque altrettanto fondamentali: c'è un movimento tra l'accogliere e il fare, tra l'abbandono e l'asserzione). il guardare, come noti giustamente tu, prevede per me una forte censura di "io" e delle sue declinazioni, pur rimanendo l'io ovviamente ineludibile (come si vede in queste poesie dove la materia è in fondo più personale, ma tale "non esserci" è ancora più evidente se la materia diventa lo sguardo al mondo). dunque la "reticenza" di cui parla, esattamente, anche Stefano, trova senz'altro ragioni caratteriali, ma alla fine soprattutto di poetica.
    mi fa molto piacere, davvero, che tu colga l'aderenza alla "vita", che questa scrittura non ti dia l'impressione della "letterarietà", se posso dire così, nonostante la lingua metta in campo tutti i suoi artifici (espressivi, generativi, simbolici).
    (spero di non essere troppo assertiva, che poi sembro antipatica, nelle mie affermazioni; chiedo eventualmente scusa per la sintesi).

    ps. mi chiamavano "corsara" alcuni amici al liceo, anche se devo ammettere di non essere così piena di coraggio... grazie invece per la tua suggestione, per l'"uovo".


    erika

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  5. vi lascio dialogare: ne traiamo beneficio tutti.

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  6. Di Erika Crosara ammiro, fin da quando l'ho conosciuta, la capacità elastica di fare poesia, quella signorilità sulla parola e il carisma che sa dare a ciò che guarda. Questo, per me, la distingue nettamente da gran parte della poesia giovane, anche e soprattutto da quella che procede con disinvoltura, ma senza una solida identità, senza corpo, direi. La sua poesia sembra non accorgersi neppure di venir fuori, non si compiace di sè, non inventa metafore giocattolo, non mente mai , perchè costituzionalmente è già "propria".

    cristina annino.

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  7. Sono d'accordo con Cristina.
    Conosco Erika e la sua scrittura da un annetto o giù di lì, sempre grazie in buona parte a Stefano; ed oggi ho occasione di incontrarla più spesso, dato che vive qui vicino.
    Della scrittura di Erika amo quell'essere sfuggente (per me) quanto basta per non farsi cogliere appieno, lasciare sete, ed al tempo stesso riuscire ad ancorarsi al reale su agganci che non sono i miei, che io non riuscirei a trovare.
    Sul fatto che poi non ci sia impressione di letterarietà: non nel senso peggiore e più "costruito", questo no. Al tempo stesso ci trovo una notevole musicalità anche nella spigolosità di alcuni versi, un percorso che si traccia nel dire e nel pronunciare che immagino sia cercato ed al tempo stesso innato.
    Lo ripeto, per me una poesia che sfugge ma sfugge sapendo che ha una meta, e dunque si fa inseguire e apre possibilità.
    Come Erika sa, per questo la trovo davvero brava.

    E un saluto, as always, al padrone di casa.

    Francesco

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  8. ho conosciuto poeticamente Cristina Annino alle letture di poesia contemporanea tenute da Stefano a Vicenza, per Artemis, e ne sono rimasta molto impressionata. in qualche momento successivo ho dovuto addirittura smettere di leggere, quando mi pareva che la sua poesia cominciasse a mangiarmi, che è una cosa stupenda perché succede solo con quella scrittura che piace in modo elettivo. Cristina è una signora della poesia italiana, io posso solo ringraziarla per la stima e l’affetto che mi esprime, ringraziare di cuore.

    erika

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  9. e ringrazio moltissimo anche Francesco T.: comprendo il tuo discorso sugli appigli diversi alla realtà, sulle poetiche differenti, che certo non è solo un ragionare sulle intenzioni ma proprio sugli esiti. per esempio, il mio grado zero può essere (cito sempre da Stefano) la “sottrazione”, che nel mio fare è quasi sempre elemento necessario, mentre nella poesia di Francesco individuo come originario, invece, il valore alto della sua “esposizione”, sempre ferma, sincera, frontale. c’è insomma un divergere dei modi che non impedisce mai l’empatia, la comprensione senziente e forte delle rispettive visioni (spesso la scrittura ci supera).

    quanto all’aspetto musicale che riscontravi, caro Francesco, effettivamente spesso mi accade che dove la parola sembra essere zoppa, lì poi diviene il piede del ritmo. il passaggio "c'era per ogni amorevole casa la cura", ad esempio, era in testa, l'ho rivoltato come un calzino finché non ha emesso il suono giusto (è così, un po' c'è e un po' bisogna farlo).

    un caro caro saluto.

    erika

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  10. cara polvere19/12/09 10:34

    Erika,
    grazie a te (e grazie a Stefano di avere scritto di là altrimenti non avrei letto di qua) della risposta . sono lieta che il mio sentire abbia compreso il tuo.
    una tua frase vorrei sottolineare, per tutte, tipo la tua cifra poetica (che faccio anche mia)

    "certo la scrittura è per me un sapere che accade, e parla."

    ma anche una seconda che pare una formula alchemica

    "c'è un movimento tra l'accogliere e il fare, tra l'abbandono e l'asserzione"


    è poi tutto il discorso che fai di seguito per dispiegare l' uso dei tuoi strumenti verso lo scrivere (verso la verità - e la tensione introflettente di essa tra le cose. in cose. dalle cose... perché non so come la veda tu ma la verità è l' aria che fugge da un palloncino bucato quando cerco di starle dietro:-)... comunque il e concludo, è davvero un punto di vista/sguardi interessante da diffondere e coltivare. non perderlo, resta libera così.
    a rileggersi.
    paola

    ps: più vitale dell' oltretomba della vita non credo esista nulla
    e si è eccome un po' corsari a correre alla sua conquista per depredarla di quanto lasciammo nascendo come notri stessi avi millenni fa.

    psII: ho scoperto e letto altre tua cose belle anche da Iole Toini sull' Alveare.

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  11. solo per dire che ti ho letta con molto piacere.
    dire altro mi sembra invasione rispetto al colloquio bellissimo che si è instaurato con altri interventi.

    cmq molto bella e interessante la ripresa delle immagini (ripresa anche di lemmi) che fai nei versi, ripresa come piccoli scarti, come approssimazioni successive che restituiscono la tensione a.

    ciao

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  12. gentile Paola,
    grazie per questo nuovo passaggio, per il tuo interesse. torno quindi ancora un momento sulla "verità": granitica non esiste, per me s'intende, esiste però in modo molteplice, negli accadimenti, negli "accessi" (in tutte le possibili sfumature di etimo, come ricorda I. Bachmann), enorme e imprevedibile come una epifania (io però tendo a dire tutto questo da un punto di vista più legato alla materia che allo spirito, so che sembra contradditorio ma è così: mi "appare" più il meccanismo che l'ente spirituale, se non è troppo criptico o semplicistico detto così). insomma anche io credo alla verità del palloncino bucato.
    ho letto alcune tue poesie in rete, sono molto belle, e ho capito perchè nasce questo sentire comune: trovo che ci sia una effettiva corrispondenza, pure con voci diverse, tra i "nostri" versi. e mi fa inoltre grande piacere che tu nomini qui anche Iole Toini, perchè, senza dubbio, entra perfettamente nel contesto di cui stiamo parlando (e se Iole legge, approfitto qui per scusarmi con lei per la mia assenza negli ultimi mesi, che certo non la ripaga degnamente della sua gentilezza, a volte sono troppo orso).

    cara eallaigamma,
    la tua non è affatto una invasione, ma anzi un graditissimo intervento: hai letto esattamnte il senso, o forse l'intenzione, di "scarti", "riprese", "approsimmazioni".

    siete lettori che mi fanno felice.
    grazie.

    erika

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  13. ("approssimazioni", ovviamente.
    erika)

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  14. sapevo che ospitare Erika sarebbe stata occasione di riflessione e condivisione, di qualcosa che, nella carne, assomiglia alla poesia, quando questa riesce a muoverci dal solco, a rinnovarci lo sguardo, a farci sentire amati.

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  15. Stefano, queste tue ultime parole toccano. voglio ringraziarti per avermi ospitata, ma in realtà anche per tutto il percorso fin qui, per il tuo sapere/fare maieutico, per la presenza.

    ringrazio ancora quanti sono intervenuti (preziosissimi) e quanti passano a leggere (molto benvenuti).

    buone cose, grazie

    erika

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  16. il post resterà in prima pagina ancora per un paio di giorni, per cui c'è tempo per salutare.

    buona domenica, intanto!

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  17. con poco letto ancora, quel tuo "lato corto" sono già convinto di voler continuare! ciao. giampaolo

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  18. sì, dopo il proposito e una passeggiata al freddo, la lettura e un ascolto, queste poesie sono di una "vivacità" che rende grazia e grazie a ogni medesima tristezza, quasi a far da forza al verso dopo, per sentire circolare, e per vivacità non si intende una parola felice esposta, probabilmente una gioia nel pianto, una chiarezza nell'intanto, dunque si ascolta il canto dell'autrice si vede in trasparenza sulla carta, in controluce. ciao! g.(quello del post precedente, si capisce)

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  19. grazie Giampaolo per la tua lettura. mi piace molto quella "chiarezza nell'intanto" che tu nomini.

    erika

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  20. roberto cogo21/12/09 10:05

    un caro saluto a erika e un complimento per le sue poesie. sappiamo quanto lontani siamo in fatto di poetica, in questo momento almeno, ma l'interesse e l'apprezzamento, come tu ben sai erika, è sincero. scorgo un'evoluzione, una rotta nuova che si sta definendo, gradualmente, con lentezza, com'è giusto che sia, forse una leggerezza aggiunta che fluidifica la lettura dei tuioi versi, sempre carichi, lucidi e insieme misteriosi. un caro saluto da
    roberto

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  21. ... la tua voce quando leggi le tue poesie, ricordo il sentire leggero ma profondo della tua verità, ho imparato da te .

    Gianluigi Cannella

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  22. grazie caro Roberto per essere passato qui, apprezzo molto le tue giuste osservazioni "a distanza" (se possiamo dire così, perché la distanza è relativa: certo gli sguardi restituiscono paesaggi diversi, ma il guardare e poi il vedere non sono certo in discussione, e la stima è reciproca).
    credo che la "leggerezza aggiunta" di cui parli dipenda soprattutto dalla materia di questi testi, dove ci sono persone, persone amate: quindi qui in qualche modo c'è scampo (mentre ad esempio nelle poesie più "politiche" pubblicate nell'antologia di Fara, che ci ospita insieme, il tono è agghiacciato). credo che la forma corrisponda alla cosa che dice, è la cosa che dice, forse per questo lo stile risulta più fluido alla lettura, come noti tu. qui c'è più calore.
    a presto!

    erika

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  23. caro Gianluigi, le tue parole mi onorano...(fin troppo generoso! ma conosco la tua gentilezza).
    mi fa davvero piacere, ringraziandoti, ricordare il nostro gruppo di Artemis, e tutte le persone amiche che lì fanno una comunità (c'è sempre lo zampino di Stefano...): è una delle cose che mi mancano di più di Vicenza.
    grazie!

    erika

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  24. ...intendevo dire che non è un caso che tu abbia avuto lo stimolo per dedicarti a questa 'materia' e a questo 'calore' adesso, e solo adesso ...comunque apprezzo entrambi i tuoi momenti e di sicuro non ne mancheranno altri. a presto
    roberto

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  25. Solo ora e di corsa riesco a passere e dire due brevi cose riguardo alla poesia di Erika.
    Una poesia che mi aveva colpita da subito proprio attraverso la sua lettura.
    E' attenta Paola a cogliere - pur senza averla ascoltata - la potenzialità espressiva della voce che dà modo ai versi di liberarsi dando loro movimento e fluidità .
    Una poesia la sua in cui trova connubio conoscenza e visionarietà: attraverso uno sguardo libero prende corpo la sostanza delle cose vissute. Un abbandonarsi per lasciarsi cadere nel preciso centro del gesto che avviene.
    Ritrovo in parte la lucente poesia di Amelia Rosselli – quell’entrare a pungolo nel cuore e dirsi senza reticenze.
    Sento, nel modo di accostarsi di Erika alla poesia , un profondo rispetto, un bisogno di sincerità e mediazione, di incontro, di ordine e precisione.
    La visionarietà che sembra contrapporsi alla concretezza, in realtà permette di accedere alla pura energia del fare, nel suo luogo più onesto e essenziale.

    Avanti Erika!
    ( circa l’assenza dal web, ti capisco molto bene - anche io ho un rapporto contraddittorio oltre che ozioso :)


    Ciao e auguri a tutti :)

    iole

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  26. caro Roberto, la maggior parte dei testi sugli affetti viene effettivamente “dopo” lo sguardo al mondo, e viene allora, se capisco bene quello che intendi, “necessariamente”, come una specie di disgelo.
    grazie sempre della tua presenza attenta.


    cara Iole, è molto bello ritrovarti qui.
    credo che tu sia entrata con grandissima sensibilità dentro alle poesie. ne leggi chiaramente le dinamiche (conoscenza-visione-concretezza, luogo del fare che diventa più vero del vero); nomini una poetessa che è per me un faro, un principe, uno sciame, la cui scrittura è stata ed è tuttora fondante, e a cui non posso smettere di tornare; parli del “luogo più onesto” e comprendi il bisogno/desiderio di bianco, lo chiamo io così, nonostante tutto. perdoni le assenze. ti ringrazio di cuore per la partecipazione con cui sempre ti rivolgi a me e alla mia scrittura.

    erika

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  27. Stefano, ti ringrazio tantissimo, qui sono stata bene.

    Buone Buonissime Feste a tutti!

    erika

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  28. cara Erika, adesso vogliamo sentirti leggere in giro per lo stivale e soprattutto mettere insieme un libro interamente tuo.

    grazie a te per l'intensa partecipazione e ai lettori per i commenti davvero puntuali.

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  29. Erika, ha vinto il Montano per gli inediti! Evviva, si gioisca per questa voce trottolosa! magnifico! Le raccomando, la schiarisca ogni qual volta, ma non l'imposti mai. Le voglio indistintamente bene, in continuo...

    Organizzeremo un ballo tra le Ca'Alte Vicentine, promesso... Il Nababbo di Cresole.

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  30. che meraviglioso fratello hai, cara Erika!

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  31. Dopo tanto tempo che non avevo più notizie di te,sono molto contento che sei arrivata così in alto!!un grande abbraccio.Gianluca Migliorin

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