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lunedì 9 febbraio 2009

Amelia Rosselli in URSS


Amelia Rosselli e Gino Scartaghiande, nel settembre 1988, fecero un viaggio in URSS. Amelia aveva qualcosa da chiedere a Gorbaciov. Gino ne fece questo poetico reportage, mai uscito in versione integrale. Ne pubblico qui la prima parte, a cominciare dalla nota che egli ha concluso di scrivere esattamente 3 ore fa. La seconda uscirà giovedì.


(nota)

Questa breve memoria del viaggio di Amelia in Russia mi fu affettuosamente richiesta da Aldo Rosselli e l’ho approntata nell’estate del 2003. Gliene sono infinitamente riconoscente, non ovviamente per il valore in sé di tanta piccola cosa, ma perché da solo non l’avrei mai neppure scritta, tanto il toccare ogni nodo dell’opera e del vissuto di Amelia è per me cosa vastissima, quasi paralizzante.
Nella pubblicazione che se ne fece sul n. 13/14 del “Caffè illustrato” nell’autunno di quello stesso anno, con titolo redazionale Viaggio in Urss con lettera a Gorbaciov, la memoria subì alcuni tagli che lì per lì mi offesero un po’, ma poi li accettai volentieri per una certa freschezza giornalistica che il testo ne riceveva. Avendovi però riscontrato anche più di un refuso, almeno quattro, che in qualche luogo rendevano la lettura incomprensibile, ed essendovi qualche altra notizia su di Amelia nelle parti censurate, mi sono deciso a ripubblicare il tutto, ripristinando l’originale.


Il fiume di Mosca che nomino di sfuggita nel testo è naturalmente la Moscova, ma io senza accorgermene pensavo alla Neva - e così poi ho scritto - che invece è il fiume di San Pietroburgo, e piuttosto di tanta nostra memoria letteraria. Solo dopo qualche anno mi si è palesata la svista, ma non ho potuto più ovviare all’errore, talmente essa mi era diventata non solo una incoercibile licenza, ma soprattutto una chiave di lettura irrinunciabile per il fenomeno di tutto quel viaggio, ritrovandomi eo ipso perfettamente d’accordo con quella regola di Husserl che dice che qualora il dato reale contrasti con il fenomeno - che come si sa è cosa del tutto irreale, non di questo mondo - è il primo che bisogna si adegui al secondo. D’altronde tutto si è svolto come se un’unica lectio husserliano-rosselliana - tra le Ideen del filosofo moravo, e la parola platonicamente intesa come idea degli Spazi metrici di Amelia - fosse venuta a costituire, essa stessa, l’unità, la santità geografica di questo asilo politico-regionale che aveva attratto irrinunciabilmente Amelia nel suo viaggio ad Est. Una sola fenomenologia al dunque, nel contempo oggettiva e intersoggettiva, di cui, nella sua pura e amorosissima intenzionalità, Amelia aveva saputo riacquistare e rivelare a noi il dono di una effettiva presenza.

In apertura, nel primo periodo, la forma neologistica traudita è derivata dall’aggiunta al verbo udire del prefisso tra sia con valore diversificante (trans, oltre) sia con quello di superlativo (stra). Ma non vi è forse del tutto estranea l’idea di trauma, ferita, perforazione. Per cui la parola, e secondo un metodo del tutto rosselliano, conterrebbe l’insieme di più idee: un udire diverso e più vero, una ferita dolorosa dentro di noi.

Sempre in apertura, nel terzo periodo, la costruzione è ad sensum; è sottointesa la forma verbale ci fu, ci furono, (ci fu un senso di confessione da parte di Amelia, una mia tensione ecc.).




L’asilo politico di Amelia Rosselli in Russia


Come raggiungemmo questo luogo inviolabile è difficile dirlo. Amelia ricercava al di sopra di ogni causa quella che aveva ucciso suo padre e suo zio, e, traudita, quel più che probabile grido di Rachele che piange i suoi figli e non vuole essere consolata. Una strage degli innocenti dove tra il volontario e l’involontario agisce una stessa causa alienante, dispersa in una geopolitica che abbraccia tutto l’universo, ma rintracciabile puntualmente in uomini e cose. Non mai potrò esserne certo, ma una sera nel traffico di Mosca mentre accompagnati da Fira andavamo a cena con ospiti elegantissimi, Victor Krassov e sua moglie Restida, nel primo ristorante privato che s’era aperto nell’Unione, o forse fu in un altro percorso in taxi durante quel viaggio, un impercettibile senso di confessione da parte di Amelia, una mia tensione, in un coro già di arcangeli, come se insieme stessimo ricercando il luogo dell’assassinio dei nostri padri e dei nostri figli. E vincemmo certamente, trovammo l’asilo, e niente da allora è mutato, come se il tempo scorresse al di sotto e noi al di sopra di ogni causa, che più non vigeva in quell’altezza raggiunta di Mosca.

A parte questa comunicazione urgente, per me del tutto inaspettata più ancora che allucinata, ce ne fu una seconda ed ultima, affatto tranquilla, razionale, da parte di Amelia. Eravamo nel cuore della casa, la stanza salotto di Fira, che s’affacciava quasi dentro lo splendido parco Gorkij, il settecentesco Neskuchni Sad, ovvero “giardino allegro” al centro di Mosca. Mattinata forse, o pomeriggio, pronti per uscire. Io mi ero così estremizzato in un compunto rigore, e lei calma, placida, quasi arrendevole, mi argomentava che sì anche i cani, gli animali tutti, hanno un’anima.

Eravamo partiti verso le sei del mattino, il 20 settembre 1988, da via del Corallo. Un conoscente di Amelia, mai più rivisto, un bravo, silenzioso popolano, presumibilmente del quartiere, di una certa età, con una vecchiotta e simpatica auto, fu l’ultima presenza misterica, quasi pompeiana, che ci accompagnò a Fiumicino. Qui tutto divenne ancora più quieto, bianco, nel cuore di un airone, o di una gru, coi due angeli assistenti, Vanna Frunzio e Lucio Moser della flotta aerea sovietica. Amelia era visibilmente contenta, e serena. Ci affacciamo un attimo su Lubiana, e dopo ancora qualche ora eravamo a Mosca. Ci sentivamo bene. Tutto il lavoro di preparazione degli anni precedenti, le pazienti richieste al Consolato Russo di via Nomentana, l’attesa degli inviti da Mosca, tutto era andato bene. Amelia aveva sofferto indicibilmente per le persecuzioni satellitari della CIA, e aveva individuato nell’Unione Sovietica una zona immune dalla loro influenza. Fu una vera e propria fuga da Lipari, come in altri tempi suo padre Carlo da altre influenze nefaste. All’aereoporto “Sheremetevo” venne ad accoglierci Fira Rodkin, la madre di Youri, con uno stupendo mazzo di rose per Amelia. Di origine uralica, del Sud, un po’ mediterranea ed orientale, la nostra affettuosa e bellissima ospite. Facemmo base nel suo appartamentino al 24 del Leninskprospekt, interno 5. Dava, come dicevo, proprio su quel parco regale, non molto distante dal Cremlino e dalla Neva. Era già quasi autunno, con gli alberi rosseggianti e il cielo azzurro, nel parco passeggiavamo tra vasche e fontane ed altre presenze musive. Si stava in quell’oasi di pace gorbacioviana che ben presto, nell’agosto del ‘91, si sarebbe interrotta con l’assalto al Palazzo del Governo. In città tutto costava niente, anche se ci stupivamo dei negozi così sforniti, o che improvvisamente si riempivano di un qualche specifico prodotto, e solo quello. Era ancora il sistema non capitalista, si respirava come un’aria di cinquantanni fa. Una coperta, un piumino, un lenzuolo di cotone, una barra di resina di pino, erano diversi; e così poveri, più umani; ne eravamo affascinati. Certo una volta, in un vagone della metro, Amelia notò la stanchezza dei volti, e la tristezza: ed è pur vero che la sontuosità di quel sottosuolo così esageratamente maiolicato e dorato contrastava follemente con il mondo in superficie dove tutto era un po’ scassatello o scalcinato, come in un Sud dell’Italia amplificato, e alla fine ti estenua, ti mortifica. Ma pure in quello squilibrio tra grandeur e miseria il rapporto tra uomini e cose aveva ancora una sua concreta salute, dopo ormai la nostra catastrofe capitalista, il suo irredimibile protestantesimo. Amelia, con la sua essenziale e aristocratica sobrietà, gioiva di queste cose ancora umane, le piacevano molto.

9 commenti:

  1. Troppo commossa troppo felice troppo innamorata, di questa storia; vera e vissuta, e della scrittura di entrambi, che amo.
    Di essere messa a conoscenza di qualcosa di così fascinoso e semplice anche, della vicenda umana terrena di Amelia Rosselli,
    per non ringraziare subito Gino che consiedero un fratello da quando lo conobbi,e del bravissimo Stefano.
    Continuate a pubblicarlo, certo.
    Ci sono le atmosfere, la innocenza i silenzi e forse i colori di quel momento e mondo,
    un grazie di cuore da
    Maria Pia QWuintavalla

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  2. grazie Maria Pia per l'entusiasmo che trasmetti. Nella seconda parte, Amelia è ancora più presente.

    guugl

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  3. Grazie.
    Grazie grazie!
    Viva internet e la meraviglia che si tocca.

    iole

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  4. oggi è l'anniversario della sua morte, e anche quello della plath. basta così, vero?

    gugl

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  5. direi che avanza. di molto.

    ciao Stefano.
    ti devo scrivere.

    a presto.

    iole

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  6. "aveva sofferto indicibilmente per le persecuzioni satellitari".

    grazie gugl per questo omaggio ad Amelia.

    cari saluti

    erika

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  7. Anniversario terribile per la perdita che abbiamo e avremo - di lei SEMPRE.Su rebstein ne parlo.
    Con Gino, telefondo ricordando..
    Maria Pia Q

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  8. Il tempo, in rete, è relativo. rilancio il testo ora su Facebook, a futura memoria.

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