sabato 26 gennaio 2019

Sergio Zanone su Manuela Cerisara



Il suono nomade
di
Sergio Zanone
- pensieri su Un nome da stella (apuntozeta edizioni), di Manuela Cerisara -


Nome sonoro, il soffio di un flauto chiama le cose all' esistenza: semplice come la magia dell'infanzia, castelli di fiaba sotto cieli di cartone: Chi cerchi, disperato e voluttuoso Pan? Ecco le cose danzare in-esistenza: al di fuori, l'ex-stasi dello sguardo lunare sopra il deserto brulicante di vita: al tuo canto ora, le cose da sotto dovrebbero cantare:

rane desolate perdute
in un sottobosco di stelle

i tulipani scarlatti

ora dovrebbero cantare il liquido colore del mondo; non si scompone, nell'oggi che declinando sorge – così lieveil caos: nessun cataclisma sconvolge l'asse del mondo: stella muschio nord coincidono. In espansione, in circumnavigazione – nonostante lo smembrarsi della memoria - l'ago inquieto della bussola è un amico fedele, segna il ricordo. Sembrano depositarsi leggeri sul terreno i sommovimenti della notte, al canto dei grilli: nell' attesa, uno sguardo all'orizzonte, una domanda:

Sentinella, quanto all' alba, quanto ancora?


Chi cerchi, disperato Pan? Nell'attesa il tempo si dilata, nel riserbo più assoluto - pudico segreto nello scrigno della notte - il cerchio partorisce, si moltiplica: piovono le parole, deposita la polvere (di stelle?)  sulla tovaglia: lasciala così, non togliere le macchie dal velo del cuore, non toccare il campo dei fiori, qualcosa rimane – una parola scampata alla deportazione - profumata, incolta disperazione e rivoluzione. Sconvolge le cose - salvala dalla falce del contadino, dalla mano del vendemmiatore – erotica, con lei ti sei nascosta tra i solchi del campo. Amore antico, amore esuberante, apri quest' uscio, porta fuori la spesa: quanta luce in così poco nella terra di nessuno, sotto il nero mantello delle cose / la possibilità di aprire stanze: le cose, da sotto il buio dei campi a distesa cantano – in questa dimora – ci vengono incontro con il loro nome / non si fermano più, scintillano come lucciole sotto il bicchiere , le cose sono lucciole ( miracolo delle sinestesie),  si capovolge  il loro  destino:

non c' è regola più violata nel dettaglio
l'imprevisto è previsto, la tragedia puntuale


Dagli archi delle persiane il nome sonoro si espande penetrando gli spazi trasparenti, attraversando tramonti leonardeschi del tempo immemoriale: tutto è forse già avvenuto in questa mensa dipinta, oppure deve ancora accadere? Del Pane e del Vino, di Demetra e di Bacco, lo spazio del ricordo o la loro premonizione? L' Enigma: Ogni volta che succede però non diventa più chiaro. Nel presente del cuore in cui il rito assorbe la storia, le maschere sono assenti; “il pensiero in quanto effettività di un luogo che si apre alla presenza ... apertura del luogo che dà luogo a ciò che non ha luogo...  la presenza offerta a una Visitazione che fa la prova dell'invisibile nel suo materno seno” (Jean-Luc Nancy) assurge ad emblema cosmico: visitata / da una luna di passaggio – un cambio di luna già scritto – il segno del bacio è più giù – luna incapace di mentire la distanza / va a prenderla, è esausta – a mezzanotte accadevo/ con l'incantesimo di     luna e stelle e nuvole. Ha scritto Lévinas: “Tale presenza    consiste nel venire  a noi, nel fare  il suo ingresso: il che si può enunciare in questo modo: il fenomeno che è l' apparizione di un Altro è anche viso... l' epifania del viso è visitazione”. «Altro» è  «Tu» e  verrà a riparare il tetto e  la crepa del muro - «Altro»  è l' enigma  da sciogliere, il principio di preghiera ,  “la presenza enigmatica , l' enigma di una presenza reale che   si piega e si dispiega nel piano della quadro”; il suo  incontro con la Samaritana  -  lo porterò sulla testa come un vaso – attua   la liquida  restaurazione   e fusione della duplicità Io/Tu  nell' unità del Sé : che cambia ogni volta / la mia prospettiva dell' esistere ... e persistere persistere ... dolcemente assecondare la fusione / corpo a corpo con il cosmo, parola desueta (attraverso l' erotismo della parola poetica),  a pensarci frazione infinitesima e concorde di (un) Altro.  Imparare la dimensione liquida e circolare, dilatarsi, espandersi come un cerchio nell' acqua: un’onda va dritta al tramonto / va sola come se non avessi avuto un padre/ come se non avessi avuto una madre – la preghiera: slegami, libera il significante  non “dall” ma nell' esilio: rendi   nomade questo mio nome.



Da Un nome da stella


curi con lo sguardo il lombrico sulla foglia
la farfalla più gialla

stella muschio nord coincidono

non si scompone il caos nell’oggi così lieve


***

circumnavigazione delle quattro case
l’ago inquieto riaffiora dagli smottamenti della memoria

si accuccia ai tuoi piedi come un cane
il dettaglio disperso nel trasloco

***

nel riserbo più assoluto biancofiori sul ciliegio
margherite partorite nella notte
giorni lenti a percorrere distanze
treni e cipressi
geometrie sottese

parole come macchie sulla tovaglia

***

       magistralmente non sposti nulla
non sfiori la polvere

       né un pensiero sotto le ciglia

una lettera

una parola scampata alla deportazione

***

non cercare i cedri esplosi d’estate siamo
usciti
dal seminato

spettinati, appena ricomposti dopo l’amore

al colpo di tosse, al segnale
(la traccia di profumo, i fili che
tengono insieme nuvole e vele nel celeste lago)


Manuela Cerisara è nata a Schio nel 1965. Consegue il diploma scientifico e magistrale, quest'ultimo conseguito da privatista. Laureata a Venezia nel 1991 in Lingue e letterature straniere, in particolare Anglo-americano e Tedesco.


10 commenti:

  1. Ciao Stefano,
    sono molto contento che tu abbia ospitato
    questa recensione di Sergio Zanone sulla poesia
    Manuela Cerisara.
    Sia il testo di Zanone che la paesia di Manuela
    Cerisara meritano questa visibilità.
    Un caro saluto,
    Armando Bertollo






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    1. (...Scusami per l'omissione del 'di' davanti a 'Manuela'. Avendo postato come 'Anonimo' non ho potuto correggere l'errore.
      A.Bertollo)

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    2. non posso correggere, ma si capiva lo stesso :-)

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  2. Ho avuto la fortuna di leggere, tra i primi, UN NOME DA STELLA di Manuela Cerisara,
    e oggi mi sento di fare questa breve riflessione.
    In queste poesie ho incontrato una bellezza rara. Direi che si tratta della bellezza della misura e dell' esatta s-piega-azione.
    La messa in scena del linguaggio è particolarmante precisa: ogni parola, ogni frase, ogni immagine, ogni azione, è 'esposta' e 'allestita' come se lo spazio della pagina fosse una 'galleria' (della parola e) del de-scrivere.
    Si potrebbe commentare che questo aspetto si vede (e si sente) di norma in ogni pagina di poesia, ed è vero: ogni esposizione della parola poetica è un'opera unica, un allestimento tipico e caratterizzante il poeta che ha scritto il testo.
    Si potrebbe dire che ogni pagina di poesia sia come una vetrina: la vetrina del 'negozio', di quello spazio (proprio) delle 'cose scritte' che il poeta seleziona e presenta al pubblico. La poesia è congiunzione di 'cosa presentata' e di 'spazio pubblico', è l' ambiente che accoglie il lettore.
    Noi siamo gli ospiti. Siamo ospitati nello spazio pubblico allestito dal poeta.
    A volte però, si ha l'impressione che la parola poetica che ci accoglie e viene... esposta, sia invece un pretesto per farci ammirare, non tanto la parola, (la poesia) come risultato del linguaggio umanizzato nel senso più alto, quello che ora non so meglio definire se non come della... 'pura generosità', oppure della 'figliazione liberata', ma il virtuosismo dell' autore, che in certi casi -frequenti, tra l'altro- può risultare eccessivo o artificioso.
    Un'altro pericolo che si incontra nella lettura di certa poesia é quello di sentirci appiccicare dalla molle gommosità dell'espressione di sentimenti troppo personali, oppure troppo comuni. Oppure invischiati nella stucchevole, meccanica, manieristica, (pertanto devitalizzata) descrizione di paesaggi esteriori o interiori che 'suona' poeticamente.
    Nella poesia di Manuela Cerisara avviene invece di sentirci difronte a qualcosa di misuratamente e sinceramente bello.
    Ci si sente guidare con molta discrezione, con molto rispetto per noi che leggiamo,
    in un'intima rivelazione di piccoli fatti, di piccole osservazioni, di piccole cose, di piccoli... miracoli, che cercano di riscattare per un momento, con la loro luminosa purezza, con il loro essere giusta misura, 'eccezione' di parole e di linguaggio, la troppa volgarità, il troppo dolore, la troppa tracotanza, la troppa violenza, la troppa ingiustizia, la troppa quotidiana 'invadenza' del lato oscuro dell' umanità e dell' esistere.
    La poesia di Manuela Cerisara,
    (come tutta la poesia più bella) ci chiama con un filo della voce, ci prende per mano e ci invita: "vieni con me, vieni nel mio giardino, dove non sono più 'io', ma sono fiorite le... parole".
    Armando Bertollo





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    1. Grazie Armando per questa tua analisi, che apre questioni complesse e mai concluse del tutto.

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  3. Per inciso, onde evitare spiacevoli malintesi:
    quando nella mia riflessione mi riferisco a una 'certa poesia', ovviamente non intendo quella generalmente ospitata in questo qualificato e meritorio spazio 'Galleria', che, anzi, molto spesso ha rappresentato per me occasione di felici scoperte, incontri e conoscenze.

    Un caro saluto,
    A. Bertollo

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  4. Gent. Prof.
    Stefano Guglielmin,

    mi sento confusa e onorata nel vedere le mie poesie, introdotte dalla bella e profonda riflessione di Sergio Zanone, ospitate nel suo blog.

    Vi ringrazio tutti di cuore
    (anche Armando Bertollo per il suo favorevole commento. )

    Un Caro Saluto,
    Manuela Cerisara

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    1. le poesie di valore chiedono di essere lette; non è merito di nessuno. Forse nemmeno del poeta.

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  5. Ringrazio Armando per avermi inviato nei giorni scorsi “Un nome da stella” di Manuela, una raccolta con una identità forte e che sa essere e farsi stupore ad ogni parola. Una parola ascoltata e amata da chi l’ha cercata e voluta per inciderla sulla carta, una parola “annunciante” anche per come viene disposta nello spazio della pagina, e dico “annunciante” per il modo in cui la parola sa venirti incontro, in tutta la sua estensione/esteriorità e in tutta la sua densità/interiorità. Poli, questi, che intrecciandosi e specchiandosi rivelano tutta l’intenzione e l’intenzionalità della parola che vive in e attraverso Manuela.
    C’è nella parola di Manuela un’apertura e un codice interiore che sa imprimersi nella durezza dello spazio e nell’impalpabilità del tempo in modo dirompente. Qualcosa viene scolpito, come in una discesa verticale e salda, in una traiettoria che sa dispiegare e accogliere, una traiettoria in cui chi legge viene trascinato per essere proiettato in un mondo che è questo, il nostro, quello del giardino e della borsa della spesa, e non il nostro, perché è quello del limite della parola, “la corrente fredda che ci attraversa”. Ma il nostro e il non il nostro sanno in Manuela interagire e comunicare, sanno accogliersi e farsi creazione, essere quell’evento che si fa manifestazione e dono irrompendo con un respiro che è respiro fondante e proprio per questo, perché è fondante, universale. Ossia: quella dissonanza tra il nostro e il non il nostro viene risolta in Manuela nella consapevolezza che la parola contiene ed è un miracolo per la sua spinta, per la sua pienezza e bellezza. E che la parola contenga un miracolo e sia miracolo Manuela lo sa e ce lo dice in un suo splendido testo che si conclude con “UNA VITA INTERA DI MIRACOLI”, non a caso scritto in maiuscolo.
    Una raccolta, questa di Manuela, viva e autentica, preludio, ne sono certa, di altre scritture e altre raccolte.
    Silvia Comoglio

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  6. Grazie Silvia, per questa recensione puntuale.

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