domenica 8 aprile 2018

Paolo Ruffilli su Raffaela Fazio

foto di Dino Ignani


Le poesie di Raffaela Fazio, anche e soprattutto in questo L’ultimo quarto del giorno (La Vita Felice 2018), tendono a significare una reciproca compenetrazione tra mondo umano e naturale. E lo fanno con una misura talmente precisa che la penetrazione (nel fondo oscuro, nelle sedimentazioni dell’animo e nel labirinto della mente) avviene attraverso la mappatura delle superfici, secondo un passo e secondo moduli che possiamo definire della messa a fuoco più nitida. Così che temi di vasta portata, e di costante implicazione esistenziale, si fissano in componimenti pieni di luce e di colori. 

I versi netti e rigorosi ci immettono, ogni volta di incanto, in una dimensione autoriflessiva che quasi inavvertitamente si interroga sul mistero delle cose e sul significato della vita mentre ne subisce il fascino, per la legge dell’inversamente proporzionale. E il taccuino degli appunti e delle annotazioni è, insieme, l’album della memoria critica, l’almanacco della propria condizione e il diario delle pagine privilegiate trascelte a comporre (e a verificare, a interrogare, a mettere sotto esame) il senso di una vicenda e di una vita.

Tema centrale in tutta la poesia di Raffaela Fazio è, a ben guardare e oltre l’apparente silenzio (che è, poi, la voce del segreto e del mistero: “va riportata / ogni prova di amore / al mistero”), il tempo: termine ineludibile del confronto, enigma esistenziale, l’altra faccia della medaglia, vuoto di assenza in cui precipitano errore e disguido, ma in cui si scioglie anche il doppio senso della vita (“noi siamo vivi, fatti di tempo / e il tempo è fatto a nostra misura”). Perché l’orizzonte resta comunque aperto nella continuità ultraindividuale, in una dimensione che proprio l’improvvisa illuminazione poetica ci fa scoprire a un tratto con inattesa evidenza come indistruttibile.

Esiste una condizione psicologica di confronto consapevole con il vuoto che assedia l’uomo e sottrae credibilità alle sue fedi, che in poesia si esprime come tentativo di restituire alle funzioni verbali la razionalità altrimenti, nella vita, insidiata e smarrita. Senza, con questo, inibire alla parola le virtù liriche, evocative, fantastiche, anzi concentrandole e come allineandole alla retta obliqua che attraversa da una parte all’altra la propria personale esperienza di vita. È il caso appunto di Raffaela Fazio, in tutto il percorso di questo libro coinvolgente. Ma, rispetto al procedimento più “visionario” che caratterizzava certe sue prove precedenti, l’autrice è andata ricomponendo “l’instabile profilo del presente” come la consistenza materiale delle cose, degli oggetti e delle persone, proprio contro quello spettro del vuoto con cui si è sempre misurata la sua poesia e attraverso il progressivo uso oggettivante e oggettivato dei quadri delle sue immagini lampeggianti.


Qui una riflessione filosofico-religiosa dell’autrice.


Ti parlo
come l’erba
alle pietre
tra cui s’insinua

finché il muro
cede
dove lei cresce,
più umida la sera.

Nelle tue crepe
nella tua immota fuga
ch’io sia
quel corpo estraneo
vivo
attorno a cui ti sfaldi.
E sul confine
che segni involontario
sia dolce anche l’incuria
la rovina
il mio verde
abbracciato
alle macerie.


*

Nella vita pare che tutto
vada restituito.
Il crollo del corpo
alla sua lievità
il dolce di un labbro
alla prima matrice
il fuoco guerriero
al fodero di pace
la bellezza (sempre)
all’alterità
la verità di un’arte
all’insieme e l’insieme
alla più piccola parte.
Va riportata
ogni prova di amore
al mistero
e lasciata
fuori dall’inventario
una cosa soltanto
un fendente di gioia
assoluta insolente
non necessaria.


*

Quando un uomo
si sveglia
nella notte capisce
che non basta a se stesso.

Lo ferisce l’assenza
come un fianco strappato
che era argine al buio
e lo tenta un possesso
una terra abitata
la fortezza di un nome
scandito.

Ma salvezza
sarebbe al contrario
il donarsi – sorretto dal vuoto –
di un bordo
all’altro contiguo
stupito

come di barca in barca
passa la luce
dall’acqua
all’infinito.


*

(per i miei bambini, maggio 2016)

Il mio tempo
cammina sul crinale.
Ritenta l’equilibrio
tra gli opposti:
una valle nascosta lo precede
una piana gli succede
lo trascende.

Quando il mio tempo
                        pende
sul più azzurro versante
intravede
la sua stessa fine
il suo segno più in basso
come il rotolare
di un sasso
nell’erbetta nuova.

E nella vita
che senza me prosegue
forse un ricordo
di quel lieve
franare:
prova
in fondo
che oltre la morte
solo l’amore
è guardia di frontiera.


*

Al Dio ignoto

Lascia che dentro Te
integra sabbia
io pianti la punta
come anfora d’argilla nella stiva
un poco storta.
Ma fa’ che mai non abbia
la certezza
se sia d’amara oliva
o d’uva
il sangue
che in me questa natura
a un’altra meno labile pienezza
già trasporta.

Raffaela Fazio, nata ad Arezzo, vive e lavora a Roma come traduttrice. Laureata in Lingue e Politiche europee a Grenoble e specializzata in traduzione/interpretariato a Ginevra, ha poi conseguito a Roma un diploma in Scienze religiose e un master in Beni Culturali.
Ha pubblicato diverse opere di poesia. Gli ultimi tre libri sono: “L’arte di cadere” (Biblioteca dei Leoni, 2015), “Ti slegherai le trecce” (Coazinzola Press, 2017) e “L’ultimo quarto del giorno” (La Vita Felice, 2018).

Nessun commento:

Posta un commento