lunedì 25 gennaio 2016

Mauro Caselli


Parlare di È veramente cosa buona e giusta (Battello stampatore, 2014), di Mauro Caselli, impone anzitutto di rilevarne il metro, l’endecasillabo, e la sua forma, il sonetto, quest’ultimo organizzato in un’unica strofa senza costanti rimiche. Struttura formale che confligge, per la sua ascendenza alta, con la fluidità discorsiva e sintattica, tanto che potremmo riordinare i versi in un’unica prosa e non perderemmo quasi nulla del messaggio di queste poesie, la cui intenzione è, mi sembra, ridurre all’essenza un discorso filosofico, un’ontologia che, come scriveva Tiziano Salari nella postfazione a Il giogo (Cierre grafica, 2004), ha scelto di portare alla luce le smagliature dell’ente “che ha obliato l’essere”. Se tuttavia in quell’opera prima Caselli cercava spesso la tensione lirica (“l’abitare dissolto nella pace / indugia in cima, nell’orlo affilato / insiste in leggero e continuo giacere”), nel suo secondo libro, Per un caso o per allegra vendetta (Battello stampatore, 2007), la scelta di combinare, entro la gabbia del sonetto (già strutturato in monolite), un discorso fluido e razionale trova già piena realizzazione. Il contrasto tra metro e intenzione comunicativa è radicale e chiede di essere pensata. Capita infatti un capovolgimento della scrittura saggistica contemporanea, di matrice heideggeriana (che troviamo, per esempio, in Flavio Ermini), dove il concetto diventa pensiero poetante, ossia lirico, ricco di tensioni, ma mantiene la sua condotta lineare, con le pause indicate dalla punteggiatura. Qui invece Caselli chiude il discorso entro gli a-capo e toglie il canto quasi del tutto. Ossia sembra lasciare alla lirica il suo guscio vuoto, la forma-sonetto appunto, per concentrarsi nel tema, che, in È veramente cosa buona e giusta, consiste nel cogliere le sfumature in cui il movimento eracliteo si dà a conoscere, declinandolo nella debolezza del sentire umano, frastornato dalla caducità. È come se Caselli non credesse più nella forza rigenerante del canto, nel valore aggiunto della retorica densamente praticata, per limitarsi a metafore d’uso o personificazioni elementari (alcuni esempi dalla terza poesia: le cose rimangono in attesa, il movimento della memoria, l’imbarazzo del vero, la maternità delle bellezza). Eppure il pensiero genera lo stesso il suo oggetto, per quanto esso sia impastato con la lingua, tanto che chi dice e cosa detta non sono facilmente distinguibili. Lo scrive esplicitamente l’autore triestino verso la fine del libro: “Si decide di stare con le cose / o, diversamente, con le parole. / Basta sapere che, qualunque sia, la migliore  scelta rimane l’altra”. È sempre sull’oscillazione che tiene nella vicinanza gli enti che Caselli si sofferma, su quel confine impredicabile e iniziale che genera, come la differenza derridiana, il molteplice. Questa posizione filosofica, il titolo la declina nella sua versione eucaristica, nella misura in cui anche nella teologia cristiana il Redentore costituisce l’alterità radicale, il nuovo per eccellenza, dandosi a conoscere in quanto inizio che fonda.

Siamo dunque di fronte a una verità generativa, a prescindere dall’artificio retorico e dal bello stile. Ed è qui, forse, che questa scelta poematica si scontra con il gusto moderno, laddove quest’ultimo ha fatto della lirica la regina dei generi poetici, il più verticale. La scrittura di Caselli – evidente anche nei suoi saggi, in particolare nello studio sull’Otello shakespeariano, Il banderato importuno (Battello stampatore, 2013) – segue invece l’orizzonte, si fa retoricamente minuscola per assecondare l’intenzione comunicativa, che non è mai solipsistica o sentimentale o concentrata sull’io, bensì in ascolto dell’alterità, del perturbante, del discontinuo che ripullula nell’onda del presente. Vuole essere insomma fenomenologia, prima che lingua della tecnica, pensiero, ma senza rinunciare alla messa a fuoco di un evento preciso, ontico; sotto questo profilo, la forma-sonetto serve a dare rilievo al tema, a circoscriverlo, a isolarlo, per una maggiore densità sintetica e drammatica.



Da È veramente cosa buona e giusta (Battello stampatore, 2014)

Ti sono accanto, come non ci fossi,
quando stai dormendo io vivo il segreto,
che se ne va, se lo vieni a sapere.
La verità è un’azione condivisa,
e il difetto la traccia d’un silenzio
che accade e che comunque non ha fine,
la circostanza dell’altra cosa,
effetto senza causa - e viceversa -
per chi conosce dei motivi e cerca
in qualche maniera di farne a meno.
Il presente smette così le attese
e si apre al tempo della meraviglia.
Solo io so il tuo nome, e non lo dirò
nemmeno a te, cara mia differenza.


***

E non si torna mai. Certo, una buona
volta sarà indifferente, lo sanno
tutti, quando gli eventi perderanno
importanza e le cose la corona
d’uso, per un consenso che perdona
ai contenuti di verità il danno
e la beffa. Lontani dall’affanno,
il mutamento ritrova la zona
che non esiste ancora, la figura
e l’estensione del tempo perduto,
il luogo in cui si fa finta di tutto,
confidando nel fatto che in chiusura
ci sarà l’occasione di un saluto,
così, per non andare via di brutto.


***

Ami te stesso in quel prossimo tuo
che sa rimanere dietro allo specchio.
Con la terza persona è differente,
perché con essa il caso singolare
si dissolve e al contempo viene meno
l’unità di misura per il bene.
Questo comporta, nella divisione,
che il sentimento faccia male i conti,
da cui la pena che ne manchi sempre.
Ci si consuma così, dolcemente,
senza colpi di coda e volentieri,
poco importa se poi è a fondo perduto,
l’amore è una figura di risposta,
perciò non ama far troppe domande.


***


Non lo so, o forse solamente credo.
Mi accorgo dopo d’avere sbagliato,
quando non si può più tornare indietro.
È sempre stato così, me l’aspetto
ogni volta in cui, nell’evocazione,
emerge la figura di qualcosa.
Impossibile far finta di nulla,
devo continuare a chiedere ancora,
è una questione di principio e fine,
dell’esistenza d’una direzione
che porti effettivamente lontano.
Un altro tentativo, è necessario,
per trovarsi nuovamente da capo,
a pensare che non so, oppure sì.



Inediti


Nella prima persona c’è un po’ tutto,
l’estensione sicura della forma
e il momento che torna su se stesso,
in una conoscenza dell’insieme
che di continuo fa quadrare i conti,
eliminando incertezze e segreti -
che a dir la verità vanno anche bene,
per dare un certo un effetto di rilievo,
un’impressione di profondità.
È il tentativo della completezza,
l’evocazione di quel che è accaduto,
al posto d’un presente che confonde
tempi, luoghi, che fa un tale casino
che guai se non ci fosse poi il futuro.


***


Non sarà mica la fine del mondo,
è l’evento di sempre, quotidiano,
ci si fa l’abitudine; che in fondo,
ad uscire, uno proverebbe invano.
Così, la distrazione d’un secondo
e il bene se ne va, via; non lontano,
solo un poco più in là, a girare in tondo;
basterebbe allungare un po’ la mano
e tutto quanto tornerebbe uguale.
Un gesto semplice, ovvio, naturale,
che non si fa, chiamati al proprio male
da un avvenire definito, assunto
come un’azione completa che, appunto,
deve esaurire ogni valore aggiunto.


Mauro Caselli è nato a Trieste nel 1961, dove vive. Dopo una fruttuosa esperienza nella fotografia - e presentando mostre personali a Trieste, Bologna e Parma - si è dedicato alla scrittura di radiodrammi per la Rai. Dopo la laurea in filosofia contemporanea - sul concetto di riso nell’opera di Friedrich Nietzsche, relatore Pier Aldo Rovatti, - e dopo aver seguito corsi di approfondimento in Francia e Inghilterra, ha iniziato la sua collaborazione ad alcune riviste letterarie. Il suo campo di indagine è quello di una critica letteraria di orientamento ermeneutico, dove l’indagine tende alla ricerca delle componenti eminentemente speculative dell’opera.
Per quanto riguarda la critica letteraria, ha pubblicato il volume La voce bianca (Campanotto 2004), a tutt’oggi l’unica opera di carattere monografico che indaga l’opera di Virgilio Giotti. Nel 2013 esce Il banderaro importuno (Trieste, Battello), studio critico-filosofico sull’Otello di Shakespeare.
In peosia ha pubblicato: Il giogo (Cierre grafica, 2004), Per un caso o per allegra vendetta (Battello stampatore, 2007), È veramente cosa buona e giusta (Battello stampatore, 2014).
La sua raccolta È veramente cosa buona e giusta ha vinto il premio «Lorenzo Montano», sezione opera edita, nel 2014. È stato invitato a festival di poesia e conferenze di filosofia. Sue poesie sono state musicate dal gruppo di musica contemporanea «Motocontrario ensemble».
In quanto cultore della materia in psicologia dinamica, gli sono stati affidati incarichi di insegnamento presso l’Università di Trieste. Nello stesso ateneo insegna tuttora Information literacy, e in qualità di esperto nella trattazione del libro antico, si occupa della catalogazione e censimento dei fondi di ateneo.



2 commenti:

  1. poeta che non conoscevo; queste poche poesie sono di notevole livello, bellissima /una sorta di poetica?/ "Non lo so, o forse solamente credo." versi che in una ipotetica non cantabilità della parola, viene cantata dal suo dire ritmico.
    complimenti

    un abbraccio

    alessandro ghignoli

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  2. Ciao Alessandro, grazie per il commento.

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