martedì 3 novembre 2015

Cristina Annino, Inediti

Dipinto dell'Autrice

Il discorso poetico di Cristina Annino ha un suo ritmo inconfondibile sin dalle sue prime prove. Costruito sulla misura della frase, spesso metaforica e discretamente autonoma, esso disloca il lettore sia sul piano semantico e sia su quello emotivo, spiazzandolo qualora egli tenti di riordinare i segmenti frastici in una narrazione discorsiva e lineare. C’è infatti sempre un non-detto, uno iato, nel verso anniniano, un’assenza che le frasi di volta in volta sembrano colmare ed invece mantengono, proprio in grazia della forza spiazzante della metafora, scolpita nella materia e con forte carica antiermetica. Ciò è ben evidente in questi inediti, dove non c’è sfondo mistico o altrove salvifico, e ogni stringa di senso riporta una scena vivente, nata dalla quotidiana alienazione in cui siamo immersi, ma ripensata per sequenze statiche, per fotogrammi serviti freddi o come un collage.

Detto altrimenti: Cristina Annino, qui e altrove, ci consegna l’accadere, l’esperienza ordinaria dopo averla tagliata con il coltello dell’intelligenza e averne conservato alcuni snodi per sé, che tiene in riserva di poesia in poesia, di raccolta in raccolta. Sono i nuclei energetici del reale, che legano parzialmente le frasi tra di loro, frasi che talvolta lei spezza, con a-capo potenti come fionde, che trasmettono al testo un non so che di fecondamente barbarico. A ciò si aggiunge una percezione atemporale, schiacciata, degli eventi, giacché il tempo “è ciò che / si vede”; un sentire che amplifica l’evidenza sensoriale della sua poesia, il voluto distacco emotivo.

Questa poetica sottende nel complesso anche a una intenzione etica, a un giudizio disincantato sul poco che siamo diventati, insalvabili eppure necessari gli uni agli altri. Annino infatti lascia intendere quanto importante sia la relazione autentica, non nevrotica, nell’alveo di un tempo senza inganni. In fondo, queste poesie ne cantano la possibile rifondazione, a partire dalle macerie domestiche e sociali, private e pubbliche. La pietà del Mondo (e verso il mondo) è tenuta fra quegli snodi energetici di cui parlavo più sopra, e forse ne è il catalizzatore più potente, funzionando da possibilità non ancora combusta dall’incendio della civilizzazione, la cifra che fa la differenza tra il sopravvivere e il vivere. La poesia dell’Annino parla del primo triste termine, ma invoca il secondo, ci chiede gli affetti di cui è ancora capace una pietas sincera. E lo fa con intonazione virile, senza ricatti sentimentali o facili moralismi. 



La pietà del Mondo




L’amico della volpe




Trecento triste, gli amici!
Spalancano porte nelle ore
che hanno un orario. Cattivi né
buoni col fermo del sorriso a metà
e frasi di pallottole per la
caccia; convinti
che parlare sia umano, il silenzio
meno. Fugge ogni senso. Poi
frullando il bicchiere della staffa,
a piombo le scale fino al
mento, ridanno al monaco l’abito
che lo fa. Mai
puntare il mondo su un cavallo solo.

**
Non li ricordo più fino
in fondo, i nomi scorrono dal rubinetto.
Uno solo guizzò tra le sedie colpito
dal fulmine; baloccava le frasi. Era un gioco
col tele comando, magari finzione; però
zitto fissava il piancito come fa
l’ universo cavo. Quasi uno sparo
gli salisse le scale interne sopra il
menisco. Svaniva piano
la sua faccia a velo nel sibilo delle mani
su un corno. Avvisò
la volpe dei cani, forse, scacciando
morte da quelle frasi, perché
si torse così, di fronte: è troppa
carne per il mio spirito!




L’Araldo che sa, se la spassa




Da subito non mi piacque; solo
il corpo, forse,  claudicante.
Era
un sasso scagliato dal cielo coi muscoli
delle mani. Un fulmine sceso a piedi
nell’universo. Noi sul terrazzo fermi
come gerani. Pareva un Araldo.

**


Poi si pensò a un scoppio
di clima, al cavallo di Troia, stupiti,
che, che, si parlava coi congiuntivi,
in quelle mattonelle come la stanza di un cine.
Ci si contava le mani è qui sotto?Dov’è
andato? Si rise anche, appena cerniere
sulla corrente lampo che subito chiuse
la visuale. Mai la sera coprì così, totale,
preraffaellita; sbucciava i bulbi. C’è ancora,
lo vedi? per dio, con quei piedi non si va
mica in Cina! Eh sì; il Tempo lo comandò:
che dovesse caderci la vita
sopra, la Grande Vi, quasi una pietra avesse
colpito il generatore dei sensi.

**


Ci tolse
il piatto prima della seconda portata
di carne. Fu un’invasione di fiori, di
lacci, di zampe, un tamtam di leoni
e vapore, fiato immenso d’ombre;
anche i pesci del mare fuori in alto
guizzando. Ruotò tutto; si capovolse.
Fine. Nessuno di noi vide l’Araldo.




AGIP




Pareva un gallo, becco aperto,
sventolando intorno la giacca. Poi così,
con l’ala del proprio tormento, chiese
alla Sfinge un segreto che svelasse
Lei prego (raccomandata senza
ritorno al sasso di gravità), un che di
ceramico, di cervello spento. A volte si sa,
si perde un senso o due, i capelli van via,
ridiamo male, perché? E sulla
luce molecolare emerge il cranio. (Lo
filmavano tutti come un divo).

**

Non si fa, pensai,
non così . Eppure un mondo
ci passa accanto parallelo sul
muro, in città, cinema, treno. Sciolto,
elegante -chi lo disegnò?-  e dritto tanto
che non frena. Anche al buio sento
camminarmi da quelle zampe. Con bassa
moralità  penso ci somigliamo, eccome,
siamo
l’essere umano che è sempre meno.

**

Ogni stranezza
distrae dall’intero, certo; ma non
questa era l’ala di tormento del suo
spirito santo. Era
pensiero, tamburo, reclame; era mentre
quel segno moltiplica  sabbia. Ci piaccia
o no, arriveremo a un deserto e ci
filmeranno. Il Tempo
non succede più, è ciò che
si vede, schiacciata in latta tutta
la nostra carne.

**

Sul serio: dopo questo pochissimo
poco chiamato manna o fuoco di
filo per Teseo; dopo chi ci
salvò mille volte- a dire il vero- noi, pavoni
di Storia sui tomi volando come
tappeti. Dopo
i massacri d’essere uguali con le
offese atroci e daccapo (dove stanno
le colonne e i leoni!). Cosa resterà
dell’Atomo digerente? gran Tubo
idraulico: la mente sulle anche mentre
spazza via una clessidra le piante
annose. Certo non noi, non così: Fine
senza Zero, l’Agip restando nella Storia.
Dilloo!(Il caldo faceva chicchirichì).




L’erba voglio del Re nudo




Beve una tazza di tè, siede, pensa
a quando non amò mai, non ne era
capace; nessuna qualità da rendere
un uomo infelice, così sullo spiedo. Ora
va nell’universo senza figli, remando
senza vele, oppure conta le capre: c’è
la lepre e il cinghiale, i maiali anche; l’amore,
l’animale più fedele. Il sole si
scompiscia reggendosi alle persiane; eppure
lui la vuole. Gran verbo
regale, ghigliottinato, giardino
del re nudo: gli esplode tra le gote, e la testa
fa pluf.

***

Scende così col suo spiedo, l’asfalto
colpisce un rene, uno no. Poi sente
gracidare le rane; allora
salta il fosso, il bene, poi il male, poi
avanti sarà solo carne. Lei gli
ricala in corpo come il fiato
d’un cane, conta gli ossi e la carne, lo
stira al vapore, l’ingoia, poi risale
infedele all’aperto dalla cruna
dei polsi. Si lava le mani. Neanche un
saluto, non sa che farne. Lo rimanda a Pilato.




Giaculatoria




In ospedali senza elicottero né
ali; tutti spariti, tutti senza corrente,
remissivi, folli, che ognuno
porta acqua alla propria fonte.
Ti levano
dal letto, lo rifanno e rificcano lì.
Aspettando io in piedi nelle
fredde stature di me, senza più
fogli di sigarette, canne al vento
né cellulare, un siluro di gas invade
l’impiantito del mio cane dentro.
Dove
dormirò, stanotte a manciate con
i fagotti, crollando nella tromba
del muro di scale, e la metratura
enorme di Dog, il suo pelo indice
di patimento per me!




La pietà del Mondo




Una gran voglia di disubbidire; in
sogno ce l’ha nella carne, massa di spirito
voglio dire. Battendo
quel fracasso, quel ben di dio, quel marrone
cuoio. Folgorazione
d’ un quadro (sempre
libri di mezzo; mezzo scaffale
pesa quanto
un morto medio, un’età, l’esperienza
morale d’un uomo).

**

Senza fine si uccide. Anche
dormendo avverte le gambe
metà di qualcuno, la vita già via
di garrese e pensieri, immagini
sacre. In due parti
si taglia un uomo; metà, solo
bocca di versi. Frasario vero quel
viso che ancora parla semivivo
per terra. Poi
cede. Si fa così coi cavalli! Grida. Ma
nessuno sente. E se anche
lo sa, raccatta una
cicca si fuma le dita. Ballando o
morendo che male ti fo?canta forse
alle miniere d’Irlanda.

**

In fondo al suo
sogno lui più patisce, quanto meno
sono le foreste del Globo; davvero
questo non offende per primo. Si
toccano
appena le mani e lo sente: sdegnato,
triste, sfiammare un poco i crateri, alto
purgatorio nostro, poi conico
in volo coi piedi di nuovo sparisce.




La persiana




Dico, addormentarmi come
tanti, in tranquillità! Girare
sulle spalle di tonno. Ho sempre
addosso chiasso di discoteche, oppure
sono io che suono. Ragiono, braccia
fuori e gomito al buio; il vento
mi disegna il pigiama. Vedo
una fila di gente sparita, riapparsa.
Soffio sui bastardi
che non mi vogliono bene, occhi
d’oboe spostandosi intorno
per metri. “I marrani
rimangano fuori!” grida al buio
con me la persiana. “Viaa!” Però niente
accade; piove leggero sui vetri.




Parametri umani




Passa i muri con i plami; si porta,
occhi chiusi, nei corridoi. Sente
normali quei gabinetti
in salita che non finiscono mai,
scritte funebri; l’aria intanto gonfia
la visuale. Ha in petto un patrimonio
letale di convivenza. Anche l’esercito
della Salvezza lo cantò con
baccano, mani e piedi finito e alto
quanto bastava; ondeggia ora senza
dignità. Più destro che sinistro, è
giallo avana. Eppure perché
vale di più e quanto più pesa
al mondo, la differenza dico, tra
la sua
disperazione vera e la nona sinfonica
eterna? Allora
si ascolti anche questa, di gloria!


Che la terra smetta di girare, per
esempio; che ancora
si scriva, si legga
il giornale o crepando uno
tra le coperte.
Non siamo niente, gonfia
la roba di noi, così
di lato volando mentre si prende .
Quanti
siamo ? non ne possiamo più: se la
terra taglia
cenere. Che in fondo
tutti insieme cadremo sugli stinchi, mica
in piedi! Lo sanno bene
i cavalli senza fede, i crani lisci;anche
i vermi. Che sparisce
l’universo senza eredi. Sembra. Poi
invece è d’accapo. E in questa
solitudine s’addormenta.



30 commenti:

  1. la Persiana deve essere stata partorita in una nottata condominiale milanese particolarmente incasinata, comunque scherzi a parte, Cristina Annino continua a possedere, oltre al talento e alla classe, una capacità innata di sarcasmo e ironia.

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  2. Io non "partorisco" poesie, Flavio, non mi illumino d'ispirazione, il rumore è ben altro, non di questa strada, magari è il mio. Pensa quanto rumore facciamo anche solo pensando!;-))))
    Grazie del commento.
    Cristina Annino

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  3. sempre potente, sorprendente,ironica e spiazzante::insomma,sempre lei e la sua bravura diversa da tutte le bravure conosciute...
    ciao,Cristina,un abbraccio
    lucetta

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  4. La poesia di Cristina, sempre rigorosa nella sua veglia elettrica, sorprende ancora per la lungimiranza ritmica e prosodica, che coinvolge direttamente il lettore, calamitandolo nell'attenzione del mondo e delle cose, tramite l'enunciazione dell'avvenimento, che nella Annino non è mai mera cronaca, più concatenazione di possibili realtà, più configurazione di senso e mistero, più respiro che immagine, forse, anche se di immagine si nutre incessantemente ad incastri regolari formando un mosaico, una architettura plastica, mai fredda, anche laddove "niente accade", in realtà crea, in questa sua esecuzione poetica, un movimento a raggiera che coinvolge tutti i sensi; perciò l'avvenimento della poesia della Annino è un compimento della vita stessa che si riscrive attraverso l'occhio attento, clinico e guizzante della nostra, che è una figura autonoma e originale nel panorama della poesia contemporanea, a mio avviso, una tra le maggiori poetesse viventi.

    Complimenti, dunquem per questi nuovi inediti, sempre fedeli alla sua poetica ma ancora una volta spiazzanti e freschi.

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  5. che grande piacere leggere qui e come mi dispiace aver perso l'occasione di Milano..
    Cristina sa sempre travolgermi con tutte le qualità già espresse nei commenti e dentro quel rapporto esclusivo che si forma tra scritto e lettore
    sentirsi piccola, alla fine, è un piacere, perché vuol dire poter gustare certa grandezza..

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  6. Ciao, Lucetta, che piacere risentirti, dov'eri finita?;-)))
    Mi è molto caro l'intervento di Bux nella misura che lui sa, e della leggerissima Amara.
    Guglielmin è uno dei più profondi conoscitori del mio lavoro e gli sarò sempre grata per ogni nuova analisi dei miei testi.
    Mi piacerebbe che qualche frequentatore di questo salotto letterario mi ponesse qualche domanda anche scomoda diciamo, per rendere al blog ciò che rappresenta e che lo distingue da altri, un "sito" intendo di confronto e discussione aperta sulla poesia. C'è bisogno di contrasti, io credo, per prendere coscienza di ciò che ancora non siamo e che potremmo essere. Dunque, grazie.
    Cristina Annino.

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    1. Mi pare che, alla fine, il dibattito ci sia stato

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  7. Cristina con questi inediti si conferma ancora una volta inconfondibile voce poetica, alta sul panorama della poesia italiana contemporanea.
    Non ci sono misure cui riferirsi, se non la sua unicità, il modo in cui riesce a toccare nel profondo chi legge, e nel sorprendere, sempre, per quel suo linguaggio libero che trasfigura eventi e cose rendendole significanti oltre ogni comune intendere.
    Che mi entusiasmi sempre ciò che scrive è lampante, e mi piacerebbe davvero avere la professionalità per dirne in maniera adeguata.
    Grazie a Stefano, e a te un abbraccio

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  8. Silvana Baroni5/11/15 14:39

    “Una gran voglia di disubbidire” per ubbidire solo a ciò che ha deciso le regoli la vita; un laicissimo dictat che diviene cifra unica e indiscussa, sia nella vita che nella poesia.
    In questi inediti, come sempre in Cristina, l’ASSENZA penetra di sguincio, sarcastica salda i segmenti frastici fra loro, giunge a misura della materia, a costrutto metaforico funambolico.
    Talento, schiettezza e lavoro sono i colori di una impareggiabile tessitura atemporale, l’energia che ne illumina l’altrove.

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  9. C'è da chiedersi perché la critica che scrive le antologie con gli editori importanti, si rifiuti ancora di sostenere questa poetessa. E' perché non fa parte di congregazioni e conventicole oppure perché la sua poesia non è conciliante? Io, da parte mia, faccio il possibile per sostenerla.

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  10. Caro Stefano, io credo che sia per le due cose che hai detto, giacché chi non è conciliante non farà mai parte di conventicole e infine perché le conventicole reggono il mondo ( tutti i sensi del mondo). Nascono da padri, generano figli, figliocci, adottano simili, sono dello stesso albero, si scambiano favori, si alleano, credendo in una specie di immortalità dove non deve entrare il talento perché farebbe loro paura.
    Comunque devo ringraziare la casa Donzelli che editerà un mio libro di poesie nei primi mesi del 2016. Esempio raro di impegno editoriale così come rara è la forza intellettuale di chi mi ha condotto a questo risultato ed è vicinissimo al tuo pensiero. Grazie a entrambi. Tutto il resto, purtroppo, regna.
    Cristina.

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  11. (...)
    "Lei prego (raccomandata senza
    ritorno al sasso di gravità)"
    (...)

    Annino, che "contrappunti" la sua musica, e che "contrattempi" di realtà la sua poesia.
    Ho letto recentemente una sua ricchissima intervista.
    E questi inediti, li leggo una volta scorrendo dall'alto in basso, poi risalendo, dall'ultimo al primo testo in ordine verticale.
    Sempre stupore, sempre un grazie in punta di lingua, un capitombolo che come lei suggerisce avviene "al di là del pensare".
    Lei, magari, potrebbe suggerire un "dove" al lettore, non un "come", forse un Non si fa, un Non così. Ho già dimenticato la domanda. Ma esclamo, un grazie! e segue...

    G. De Pietro

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  12. L'introduzione di Guglielmin qui coglie nel segno più di una volta - questo se non ci sorprende - visto l'acume critico già dimostrato nei confronti di questo poeta in passato - ci fa però un gran piacere - perché ci avvicina a questi testi alti e per certi versi molto nuovi - e che dunque ci fan soggezione. Per esempio, è verissimo che il non detto in questi testi pesa e chi li legge lo cerca e lo necessita, cerca di stanarlo stana, volendo. Dovremmo forse leggerli con in mente l'ultimo saggio di Nicola Gardini "Lacuna" (Einaudi, 2015). Questo "iato" di cui parla Guglielmin tra quel che vien detto e quel che ci sta attorno è una delle sorgenti di forza dei testi, visto che quel che si riesce a ricostruire ci dà entusiasmo per averlo carpito (o ce lo abbiamo messo noi? come il rumore del poeta insonne dietro la persiana) e se invece ci sfugge - anche dopo lo sforzo interpretativo - siamo ancora più convinti che ci sia. Ancora una volta in questi inediti, come da sempre con questo poeta, o si trionfa portandosi via quel che ci ha dato il testo o - se ci si arrende - è ad un avversario più forte di noi - e quindi con piacere.

    L'altro punto sollevato è il fatto che il testo è "Costruito sulla misura della frase", che quindi diventa l'equivalente formale di quel che c'è - e crea quel che manca tra frase e frase. La violenza coatta, senza senso, di questo procedimento formale, schiera il lettore dalla parte delle vittime di cui "La pietà del mondo" sembra trattare - o se vogliamo la volpe, inseguita dai cani. In altre parole, il poeta qui come spesso in passato dà voce a personaggi altrimenti sconfitti, dalla parte della ragione ma sopraffatti - e lo sgomento che provoca il testo porta il lettore dritto in quell'esperienza.

    È interessante però che questi testi - misurati da frasi - siano sempre sorretti da una struttura che chiamerei di "lettura inconscia" - perché è assai chiaro che invece chi li ha scritti di quella struttura è ben conscio. Questa struttura va ben al di là della misura di frase - il poeta si serve di essa come mezzo manipolativo - per lasciare il segno e non mollare la presa sul lettore, che altrimenti potrebbe abbandonare la lettura - frustrato dalla misura di frase. Questa struttura si articola in parole che attraversano un testo e a volte debordano in un altro, e risultano associate come estremità affioranti di un tronco d'albero altrove sommerso. Unisce quindi i due versanti della frase (la parola singola e il testo intero). Si vedano per esempio nel testo che dà il titolo alla silloge e in in "Parametri umani": "Si fa così coi cavalli!/garrese" e "cavalli senza fede" o "conico/crateri" e "cenere").

    Allora la domanda da fare per contrastare il poeta è: perché condannarci (noi lettori) con questa scelta formale a ripercorrere passi disperati e farci sentire persi o peggio imprigionati come le persone (e gli animali!) di cui i testi ci parlano? Un linguaggio così potente e sapiente non potrebbe essere usato per evocare un riscatto? Perché - seppure secolare - questa poesia è grande dopotutto perché "tratta Dio alla pari": quindi, parte di noi vorrebbe spalancasse porte su (o puntasse nella direzione di) un futuro in cui "La Pietà del Mondo" non sarà ironica come qui, ma finalmente vera.

    Detto diversamente: quanto è complice il poeta della realtà umiliante, degradante, ostile che questi testi denunciano? Se Annino scrive la Commedia contemporanea - dove sta il Paradiso di questo Inferno?

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  13. Scelta formale non c'è assolutamente. Non si tratta di stoffa, ma non c'è neanche ricerca, sperimentalismo (che sono tutt'altra cosa). Il fatto è molto semplice e credo che possa condividerlo con altri poeti:
    la struttura e scelta verbale delle mie poesie riproduce esattamente il mio rapporto fisico con la realtà. Sembrerà retorico dirlo, ma tutti i miei sensi "corporali" impiegati nell'osservare il mondo o la gente-
    e ciò avviene inconsciamente- sono da sempre gli stessi, e da sempre così massicci ed uniti, così fisici, che ho anche guardando un film, leggendo un libro, ecc. In questo, posso essere "complice" di tale realtà degradata e, insistendo nella verità, aggiungo che io sono in effetti e per prima i personaggi di cui parlo. Non c'è distanza ottica o tanto meno crudezza, amandoli come parte di me. C'è solo la consapevolezza personale di quanto il mio spessore umano stia calando insieme alla perdita parallela di quegli individui pur esistenti e che incontro nella quotidianità.

    Riguardo al secondo punto di domanda: ecco, io non credo che ci sia nessun Paradiso in questo Inferno, in quanto è finita, nell'uomo, una visione ontologica, ma soprattutto una coscienza morale di sé nell'universo.

    Non so se ho risposto adeguatamente alla profonda e stimolante domanda di Roversi che ringrazio per l'acutezza e indagine acutissima dell'intero intervento.
    Cristina.

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  14. Ringrazio anch'io Roversi per l'intervento.
    Rispetto al "paradiso":forse Cristina prosegue la via infernale inaugurata da Eliot, ma lo fa dialogando con waste land che la costituisce, invece che con la tradizione e la storia

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  15. Forse ho fatto la domanda sbagliata - ma la risposta pare comunque quella giusta - e non era facile - visto il mio faux-pas. Inoltre, mi sembra che questo scambio fornisca una risposta implicitamente anche al quesito di cui sopra ("perché la critica che scrive le antologie con gli editori importanti, si rifiuti ancora di sostenere questa poetessa"). Perché la critica è per la maggior parte critica letteraria - e come è lampante nei testi di Annino da 40 anni ma anche nella discussione in questo blog oggi, qui non siamo in presenza di Letteratura ma di Poesia - ovvero materiale scottante.

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  16. Cito Nanni Cagnone, quando riferisce che la letteratura (il letterato) può essere considerata la versione impiegatizia della poesia (il poeta). E questa è una questione fondante e fondamentale: poesia sente il "reale" e il "vero"; letteratura ode "realtà" e "verità" . E qui
    siamo nella poesia: un'alternativa intravista, una visione vera.
    Un saluto a Stefano e a tutti.
    Giorgio Bonacini



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  17. tempo addietro, parlando delle tue poesie, qualcuno mi disse che ti trovava fredda,troppo tecnica e io di questo mi sono stupita molto, perché se c'è qualcosa che che ho sempre sentito forte è la fisicità dei tuoi scritti, come tu dici.. perché, anche dove la parola si fa complessa, arriva forte un segnale ai sensi.. e mi scuso per non saper dire meglio e di più..

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    1. Direi che ti sei spiegata benissimo. È io concordo

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  18. Molto interessante quello che dici, Giorgio (e che dice Cagnone: poeta che manca su Blanc, lo so...)

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  19. Amara, sai invece esprimere molto bene ciò che pensi! Un saluto a Giorgio Bonacini e ancora grazie a tutti per i preziosi commenti.
    Cristina.

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  20. Di verso in verso, di bellezza in bellezza, Cristina Annino scioglie qualunque aspettativa sulla sua poesia e sorprende ogni volta. Sembra che i suoi testi poetici varchino il punto di non ritorno e invece, incredibilmente, a ogni nuova serie di inediti va sempre più in là, e dal punto di vista conoscitivo e da quello formale. La sua riconoscibilità autoriale non mina affatto le capacità inventive, mai risulta prevedibile né copia di sé stessa.

    Sono felice di leggere questi nuovi versi, un saluto a tutti i lettori, poeti e critici che seguono questo spazio, notevoli gli interventi critici apparsi come commenti nonché la lettura profonda di Stefano Guglielmin, un caro saluto a Cristina!

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  21. Stefano coglie nel segno quando definisce “potentemente barbarica” la poesia dell’Annino, che conferma in questi inediti tutta la sua freschezza indomita e fecondità lontanissima dalle scuole, dalle posture; se postura c’è, è la poesia, ogni poesia a crearla, piuttosto che a subirla come avviene nei versi di troppi altri. Anche gli altri commentatori (nonché l’autrice stessa) aggiungono tasselli importanti per capire il movimento di queste poesie. È significativo che i commenti si concentrino sul processo creativo e il fare poetico, e non sui singoli testi e quello che ciascuno può racchiudere; è significativo in quanto, seppur ogni poesia dell’Annino ha ricchezze e offre sponde al vagare interpretativo, rimane mobilissima e restia a farsi monumento. È una poesia-evento, corrispettivo segnico dell’action painting forse (chiedo venia se forse, a mia insaputa, riprendo il giudizio di qualcun altro... Walter Siti? Da qui non posso ricontrollare le citazioni...).

    Diversamente dal versante sperimentale neo-oggettivista, le poesie di Cristina sono potentemente empatiche nel loro straniamento, perché appunto c’è un soggetto enunciante fortissimo (la dimensione interpersonale della lingua è posta in rilievo, con esclamative, interrogative, vocativi, lacerti di dialogo, manipolazione di espressioni idiomatiche e quant’altro). In queste poesie ritrovo poi anche movenze più calme, appena meno spezzettate, come il bellissimo incipit tra confessionale e surrealista della seconda (“Non li ricordo più fino / in fondo, i nomi scorrono dal rubinetto”, dove si noti l’enjambment iconico con “in fondo” che cade un verso dopo), o certa aggettivazione (“Mai la sera coprì così, totale, /preraffaellita”, e la mente va anche all’Annino pittrice).

    Mi pare che queste poesie affrontino la scomparsa del Simbolo, dell’Assoluto, proprio ricevendoli in veste di prosopopee (Araldo, Mondo, Tempo... ma poi, beffardamente, lo spirito santo in minuscolo) che giocano a nascondino, e quindi si evita il tono drammatico o elegiaco ma si mantiene una sorta di attenzione per quell’oltre che sembra sempre più inverosimile nel nostro mondo. Curiosa coincidenza, fra l’altro: la poesia pure sensorialissima dell’Annino gioca coi concetti, rinnova una tensione forse barocca (chissà se il non-detto, il fra-le-righe è anch’esso una figura del vuoto). C’è, stravolto ma presente, un sostrato mitico in questi versi, e forse per questo vinceranno (stanno già vincendo) la prova del tempo.

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    1. Molto interessante e puntuale il tuo commento, caro Davide.Grazie!

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  22. La mia biblioteca s'arricchisce di un esperienza in versi inattesa e sensazionale!!!!
    Quella di Cristina Annino!
    Cercherò i suoi testi per formarmene un giudizio più acconcio
    quello che divino è un discorso lavico di materialità intense dispettose e in rovente caccia ::
    Cristina ! Mi ha conquistato!!!!!!!!!

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    1. Felicissimo di averle fatto conoscere Cristina Annino. E' bello sapere che la poesia può produrre questi effetti!

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  23. mi spiace molto non avere risposto prima a questo post,ogni volta che le leggi Crsitina Annino porvoca in ognuno (chi legge poesia) una ripsosta ,s epsso gioiosa spesso dolente coem il mondo è ma ti immerge e consuma insime una visione di sbieco e fortemente metaforicca che ti aggancia (che poi sia metonimica poco cambia )Come recita qui Cristina "siamo niente " e la vita ci gira o si gira a piacimento. Non so se qui prevalga la pietas del mondo o un epos minimo che è sotteso a questi quadri, tutti intessuti di connessioni profonde ma niente affatto sinottici. Certo fai i conti con un azzeramento del senso del mondo ricondotto alla capacità di vedere i ganci, i suoi barlumi di blu, oro o merda, ma da vicino, e stando dentro l'oggetto, passo su passo. Poi, che questo non entri in correnti precise, è già in partenza, non è un tempo che accoglie e ascolta il diverso da se stesso o lo innalza, dovrebbe deprimere se stesso. Ed inoltre i tempi stanno persino mutando involvendo. Quindi prendiamo come un forte dono visivo tattile, e di visione della vita stessa, questa poesia vivificante che non sa come starci ma ci sta, dentro al mondo, insegnandoci a starci, nonostante tutto. Maria Pia Quintavalla

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  24. refusi delle prime righe, volate via senza correzione: provoca, risposta, metaforica... chiedo venia. MPQ

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  25. Versi "potenti e barbarici", quindi sempre autentici e formalmente originali (l'artificio retorico, qui, conduce sempre ad un senso e quel senso è captabile).
    Autrice di rango.
    Nino

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