venerdì 10 luglio 2015

Saverio Bafaro


Libro pervaso dalla rivelazione demoniaca e dalla verità dell’ombra, contrapposte al mondo dispiegato e luminoso della filosofia aristotelica, Poesie del terrore (La Vita Felice, 2014) di Saverio Bafaro ci riporta nel luogo senza tempo della paura, che nasce quando l’io comprende d’essere costantemente in un limbo slabbrato (irrequieto, sghembo, oscuro, brutto, dice l’autore), uno spazio asimmetrico e vorticoso, in cui l’identità si agita, ignara “della sua genesi e apocalisse”. Siamo sospesi tra due vuoti, direbbe Conrad, nell’età dell’ansia, aggiungerebbe W. H. Auden; se non fosse che la poesia di quest’ultimo è tutta intrisa di pessimismo storico, laddove Bafaro interrompe ogni legame causale con il divenire, per concentrarsi sulla condizione dell’esistente a sé preso, prescindendo dalla possibilità di qualsiasi salvezza, sia terrena che celeste. “Tu sei il tarlo che sgranocchia il cuore infestato” scrive in una quartina metafisica dominata da un agente corrosivo, “il tarlo”, che può essere il tempo distruttore ma anche la natura stessa dell’io, pervasa da Male, altrettanto metafisico.

Epigono di Lautremont, Bafaro ci consegna una sequenza di illuminazioni forse guidate dallo stesso intento adolescenziale di Maldoror: assassinare Dio, farlo a pezzi. E Dio, qui, è anche l’Auctor, la poesia, il gesto cortese, ogni segno che la tradizione riconosce armonioso e bello.

Tutto interessante e scritto con buon orecchio, sulla falsariga dei maestri ottocenteschi e forse memore dell’heavy metal e del fumetto dark, con la solennità profetica di chi rivendica la vendetta non per un maltrattamento subito, ma per la stupidità del mondo (“Al Mondo / la mia peggiore delle doléance” recita il primo distico), e tuttavia, se vale l’idea che fra vita e opera ci sia continuità, in specie quando parliamo di poesia maledetta, mi sembra che qualcosa qui non quadri. Non conosco Saverio Bafaro, ma dal suo curriculum vedo che ha fatto studi importanti, in ordine con quel “Mondo” che quest’ultimo libro vorrebbe gambizzare. Penso a Baudelaire, Rimbaud, Nerval, Ducasse, tanto per citare i più noti, e ci vedo pidocchi e sangue vero nelle parole, sangue che scorre prima sulla strada e poi diventa poesia. In Poesie del terrore ci leggo invece un canto addestrato, frutto di buone letture, che recupera immagini già viste, con pipistrelli, Bestie e putrefazioni, un canto che cerca l’effetto (ed evidentemente lo ottiene viste le lusinghiere recensioni e il recente premio “Ponteldilegno”).

Naturalmente sarò in torto io, che penso a una poesia contemporanea che finalmente si liberi del sublime demoniaco – è questo che trasmette Bafaro – per rifondare l’identità a partire da uno spaesamento radicale ma non mistico, lontano da vendette (“Pagherete / il mio sacrificio” minaccia una voce verso la metà del libro) e dal gotico romantico; una poesia che ci racconti il buio e la paura con immagini nuove, non consumate da una tradizione alta, inavvicinabile sia per il genio dei maestri e sia perché oggi viviamo irretiti da linguaggi e orizzonti di senso differenti.

Se invece l’autore, che si sta specializzando in psicoterapia, voleva raccontare i mostri che abitano chi è affetto da malattie nervose (e quindi in parte presenti anche in ciascuno di noi), allora qualche segnale doveva darcelo, qualche momento di stacco dal registro dominante, una stratificazione delle esperienze, una pluralità di voci, che avrebbero aiutato il lettore a orientarsi in questo inferno; se così fosse stato, il già visto avrebbe avuto un senso perché tutti sappiamo che cosa sia l’archetipo e in quali forme s’incarni. Così come Bafaro ce lo consegna invece, il libro non mi convince, malgrado sia accompagnato da alcune pregevoli tavole dell’artista Piero Crida, nate appositamente, e da una prefazione partecipata di Roberto Deidier.



Estetica non-aristotelica

Noi che abbiamo scelto il Brutto
e letto al contrario il libro dello Stagirita
conosciamo i risvolti
dell’armonico divenuto sghembo
del calmo divenuto irrequieto
del limpido divenuto oscuro
dell’ordine divenuto caos
del simmetrico non più tale
delle proporzioni volutamente saltate

***

Le case attendono
più in là della notte
basse lungo i binari
sanguina l’occhio
della sola finestra accesa
come un lume maligno

Le case attendono
più in là della notte
basse lungo i binari
schiere di serpi scacciate dalle chiese
contorcersi e sputare verdi bave

Le case attendono
più in là della notte
basse lungo i binari
le ruote dei vagoni-fantasma
sfrecciare invisibili e crudeli

***

Esiste un sorriso insano
– oltre la soglia del dolore –
impresso sul volto
come un assurdo promemoria
del tutto ignaro
della sua genesi e apocalisse


***

È l’attimo in cui
accoltelli il mio corpo
come colpendo su fette d’arancia
ed io credo nella lingua oscura
non essendo ancora approdati
sulla spiaggia inviolata

***

L’Oceano

Questa notte l’Oceano
veste i panni del Mostro:
bluastra creatura svenatasi
nel suo stesso ventre,
immense noie
trasudate da pori invisibili
urlano senza forze
un orrore accolto
nel gigantesco inganno

***

Lucciole

La mano mortale della notte
ha spalancato il palmo
per disperdere malvagia
gli antichi gioielli
lasciati cadere
con cura sinistra
tra le spighe scapigliate.
Fino allo spegnimento
urlano
voce flebile e
inaudita:
l’elettrica fratria
delle lucciole tradite


***


La pianta del basilico

Tanto odorosa
la pianta del basilico
cresciuta alla luce
del mio mare,
un poco meno
la testa seppellita
nel vaso
orbite riempite
di terra bruna
estratte dal Sogno
e date in pasto ai vermi:
«Mangiate piano l’amore integro,
mangiate piano l’amore vero!»
Dentro e fuori
vedo ogni giorno
in segreto
lo strazio e il fiore
la dipartita e la vicinanza
la mia contromossa
ai fratelli assassini

***

Occidente

Le aurore inorridite
nella parte dove
il Sole si uccide


Saverio Bafaro nasce a Cosenza nel 1982. Vive tra l’ Umbria e Roma. Ha pubblicato: Poesie alla madre (Rubbettino, 2007); Eros corale (2011) disponibile in formato e-book sul sito www.larecherche.it; Poesie del terrore  (La Vita Felice, 2014) – finalista Premio Pontedilegno 2015.
Sue opere sono apparse, inoltre, all’interno di antologie poetiche, di riviste letterarie come Poeti e Poesia, Fermenti;  di rubriche poetiche come “Lo Specchio” de La Stampa e di blog come Poesia2punto0, La poesia e lo spirito, L’Estroverso. Fa parte della redazione della rivista di scritture poetiche Capoverso e collabora con il sito Postpopuli.



9 commenti:

  1. se mi posso permettere.. cercare nell'altisonanza delle bave verdi, dei vermi e di certi aggettivi, di parlare del buio, pare quasi un modo di convincersi di esserci riusciti.. il buio, invece, sa farsi sentire anche parlando di stelle, se c'è...
    per il resto hai già detto tutto tu e, per quello che qui ho letto, concordo..

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  2. centrato. Ma forse sono in torto anch'io.
    Saluti

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  3. L'ombra, il buio e' una cosa seria.
    Qui è una bubbola manierista priva di svolte inacettabile per chi crede come il sottoscritto , la poesia sia grimaldello superiore di senso e condizioni.
    Da rivedere e (semmai ) rileggere in contesti più autonomi. Se ne è in possesso.Per il resto non mi piace..
    Laddove il precedente Poletti mostrava gli esiti di una sua ricerca (per quanto di difficile comprensione) filologica e linguistica qui stagnamo nel facile ingorgo e nel cuore nulla accade. e tutto scorre già avvertito.
    Grazie per la tua meritoria e strasordinaria opera di ricognizione e ricerca.
    Apparte Bafaro i cui testi proposti, lo ripeto non mi piacciono.
    Cari saluti.

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  4. Blanc è una palestra e a volte serve anche, per chi fa l'esercizio, a segnalargli un passaggio da migliorare

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  5. Un'ottima palestra.
    Senza le tue segnalazioni sarebbe difficile orientarsi in questo ambitto tanto autorefenziale.
    Grande Stefano!!!!

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  6. La recensione mi sembra troppo dicotomica rispetto a un’idea del “male” – evidentemente contrapposta al “bene”: piuttosto manichea in questo, molto più di quanto i testi non autorizzino. Inoltre non occorre affatto il riferimento diretto all’”esperienza”, come si auspica alla fine dell’articolo – se ho ben compreso la richiesta del recensore, e penso di sì - in quanto appunto l’esperienza va, al contrario, evocata sublimata trasfigurata nell’essenziale e non già attraverso ulteriori segnali di riferimento autobiografico. L’io poetico non è mai autobiografico, voglio dire. Si tratta sempre di un “altro” dall’io meramente anagrafico.

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    1. Se legge interamente il libro, le risulterà più chiara la dicotomia.
      L'io poetico non è autobiografico solamente quando diventa posa, altrimenti lo è fino in fondo, fino alla morte, solo che non lo sa.

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  7. Il filone del perturbante e del rischio del disorientamento psichico rappresenta un tema poeticamente assai fertile; il problema è però tradurlo in un codice non artefatto, imbolsito da clamori enfatici e convenzionali, ma ancorato a un vissuto della cui veridicità sappia testimoniare. Guglielmo Aprile

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