mercoledì 10 giugno 2015

Nicola Ponzio


Lo spettacolo osceno del corpo femminile in putrefazione corre lungo tutta la modernità, da Baudelaire di “tu sarai simile a questo / immondo grumo, a questa peste orrenda” a Gottfried Benn, che ci descrive minuziosamente una ragazza riversa sul canneto, “tutta rosicchiata” dai topi, fino alla liquefazione del corpo nella Valduga di Donna di dolori e, ancora più di recente, nella donna morta in discarica, di Paolo Donini in Ablazione. La luminosa postfazione di Gianpiero Marano a Il mio nome nel tuo nome (Oèdipus, 2014) di Nicola Ponzio ci ricorda altresì Douve di Bonnefoy e il racconto Il signor Münster di Alberto Savinio, ai quali si potrebbero aggiungere alcune pagine di Houellebecq delle Particelle elementari o la scena dell’obitorio nel racconto Un corpo di Camillo Boito. Insomma: l’argomento affascina i moderni, sia per la pregnanza metamorfica del corpo e sia per l’enigmaticità scrutabile che lo caratterizza. 

Eppure, malgrado quest’affollata schiera di cantori della materia in disfacimento, che farebbe supporre una saturazione tematica ed emotiva, Il mio nome nel tuo nome è uno dei libri più originali che ho letto negli ultimi anni, capace di tenere insieme tradizione gotica (diventata, in autori più modesti, maniera e gusto del macabro) e visione lucida, scientifica del processo diveniente, di quel continuo scambio di energie atte a mantenere l’unità dell’insieme, che non ha nulla di edificante o di salvifico, essendo il naturale lavorio dell’organico, dove la forma leggibile emerge in temporanea precarietà, per essere poi riassorbita nell’amalgama del tutto. Ovviamente Il mio nome nel tuo nome è molto di più. Per esempio un catalogo delle specie animali coinvolte nel riciclo biologico dei cadaveri, e di piante che da quest’ultimi traggono nutrimento: decine di nomi mai sentiti e altisonanti, che sono una dichiarazione di poetica sul valore del canto per la sopravvivenza della specie, come se il disfacimento avesse un suono nato nelle parole che lo raccontano prima ancora di essere l’effetto, come nel Baudelaire di Una carogna, del brulicare di mosche e vermi veri nel ventre: “soprofagi, lividi, antreni / decremento del calore / e del pH: ipostasi, fenoli ammoniaca. / l’apparire annualmente di foglie”; è la  prima strofa della prima poesia, l’incipit di un’autobiologia in prima persona della donna-spartita-dal-creato, spartizione a cui partecipano, poco più sotto, anche l’aggregato stellare Tarantula Nebula e l’orneoblenda, un silicato: nulla infatti fugge all’interconnessione degli elementi, ma soprattutto, sembra dirci Ponzio, che gran piacere pronunciare questi suoni!  

Del resto il “nome” appare due volte nel titolo, a cancellare il corpo, il mondo: il libro sui nomi trova qui la sua dizione, l’humus che lo incrementa, come recita la poesia di pagina 16, il luminoso nome che dona l’essere alle cose e il non essere, che parla al posto delle cose, oramai tutte artificiali o derelitte, se non fosse appunto per la poesia, che le rimette nell’ordine del linguaggio, fianco a fianco al sole che splende, all’estate, alle qualità della luce, alle muffe, alle placente. Si capisce che Ponzio ama il barocco soltanto perché è in lutto rispetto alla semplicità del paradiso, perduto da sempre; ama il barocco come lo amava Manganelli, per perdersi scetticamente in quel grembo labirintico e specchiarsi come un Narciso cieco, ora che viviamo nella palude definitiva.

In questo gioco di sguardi, entra anche un secondo personaggio nella storia, che Marano chiama “voyeur”, ma anche “coro e anghelos tragico”, che parla a tondo, laddove il cadavere usa il corsivo, e che “riferisce le fasi della putrefazione senza adesione”; è una figura maschile, perduta quanto il suo contraltare femminile, che agisce in uno spazio appena accennato, ma che a volte diventa cornice che riordina l’accadere in un’immagine emblematica, tesa a unire l’eterno e transeunte, l’intatto del paesaggio con il corrotto dell’umano, come in questa terzina: “la dorsale del cielo ti separa / dalla luce dell’estate / attraversandoti la schiena rosicchiata”.

Oltre al barocco, e il gusto per l’anamorfosi (da intendersi come guardare il mondo da un’altra prospettiva, quella del cadavere, appunto, e dell’osservatore neutrale) mi sembra importante sottolineare la passione di Nicola Ponzio per il rizoma, che qui si mostra nel corpo senza organi della donna, del molteplice centrifugo, le cui linee di fuga, come ci spiega Deleuze in Dieci piani, sono già parte dell’intrico, nel tentativo di annullare il principio di non contraddizione ossia la supremazia dell’Uno tiranno. Che sia questa una delle lenti con cui leggere Ponzio, ce lo dice anche una sua Nota teorica, presente nel sito di “Anterem”:  “Nell’aperto l’universo metamorfico della poesia si manifesta in tutta la sua crudeltà e bellezza. L’aperto, ovvero la natura ignota e liberatrice, ci espone al rischio dell’erranza totale, al nomadismo definitivo e inafferrabile. La coincidenza degli opposti si fa esplicita, nel fuoco dei possibili alfabeti”. 

Spiace davvero che un autore così significativo passi quasi inosservato. Fanno eccezione, in rete, le letture di Giacomo Cerrai, Viviana Scarinci, Mariangela Guatteri e, in postfazione a un altro libro, Marco Giovenale. Guatteri e Giovenale si soffermano su Scanning (Corraini Edizioni, 2014), un “viaggio on the road” compiuto con Paolo Mussat Sartor; fotogrammi di quest’ultimo, testi-catalogo di Ponzio: scansioni del visibile e del dicibile, organizzazione e disorganizzazione del possibile in segmenti misurabili, catalogazione / accumulazione dell’onda cromatica, stando nei paraggi della poesia concreta, praticata per esempio da Konrad Bayer del "Wiener Gruppe", già presente (e ne do appena un assaggio) ne Il mio nome nel tuo nome: “rosso squama, rosso chiaro, rosso cielo. / rosso ambra, rosso ribes, rosso cadmio. / rosso milza, rosso fuoco, rosso eosina. / rosso carne, rosso airone, rosso magma” ad libitum.




da Anamorfosi

saprofagi, lividi, antreni.
decremento del calore
e del pH: ipostasi, fenoli
ammoniaca.
l’apparire annualmente di foglie.

poi mi sono seduta. ho aspettato.
ho aspettato che il buio
venisse da me.
traiettorie di api, metano,
autolisi.
le radici vicine s’impiantano nelle ossa.

Tarantula Nebula, ortiche
orneblenda.
iniziavano i nomi, i fenomeni
e le sembianze, – l’invisibile etc.

---

combustioni solari
sulle vertebre,
mentre incedi traballante tra le talpe.
penuria alla penombra, acidità
disfacimenti minuziosi delle gonadi
nel giubilo ipogeo.

immanenze boschive.
cellule alterate dalla crescita
precoce delle ife, –
dai sali che ne limitano il peso. 

la dorsale del cielo ti separa
dalla luce dell’estate,
attraversandoti la schiena rosicchiata.


da Imago picta

varcato l’intrico
di rovi che chiude il fondale,
sono entrata nel bosco.
riconosco il sentiero
dal buio che induce all’erranza.


mi rincorro mi perdo.
ripercorro le vie del ritorno
irradiate dal corpo.
mentre l’acqua compenetra
l’erba tingendo i vestiti.

mi rincorro nel buio alla cieca
ricerca di tracce, 
che conducono a un nome.

---

mani pietose raccolgono
fiori dagli occhi dei morti.
parole dalla crescita
di un mirto.

lievi conservano l’ombra
degli ultimi gesti, – i colori,
la brama.
come l’ambra condensa il ricordo 
di un’ape assopita.

---

…rosso arboreo, rosso cuore, rosso chimico.
rosso bacca, rosso acceso, rosso agata.
rosso nube, rosso legno, rosso cimice.
rosso spento, rosso minio, rosso fragola.

rosso squama, rosso chiaro, rosso cielo.
rosso ambra, rosso ribes, rosso cadmio.
rosso milza, rosso fuoco, rosso eosina.
rosso carne, rosso airone, rosso magma.

rosso areola, rosso terra, rosso resina.
rosso smalto, rosso piaga, rosso fegato.
rosso arteria, rosso arancio, rosso ruggine.
rosso fungo, rosso ardente, rosso acaro.

rosso scuro, rosso Sole, rosso porfido.
rosso foglia, rosso labbra, rosso acero.
rosso autunno, rosso grumo, rosso fard.  
rosso bosco, rosso veste, rosso muffa. 

rosso aurora, rosso ife, rosso acido. 
rosso vulva, rosso sangue, rosso croco.
rosso intenso, rosso Marte, rosso globulo.
rosso alga, rosso brace, rosso porpora.

rosso mestruo, rosso stigma, rosso afide. 
rosso rame, rosso lipstick, rosso spora.
rosso quarzo, rosso argilla, rosso oro.
rosso volpe, rosso Luna, rosso incendio…


da Dell’acqua

dell’acqua profonda è sodale
la lingua che dubita, annaspa 

e s’incava – che duplica
e inquieta, abitando l’erranza. 

---

nel catino di zinco sbiancato
galleggia una chiazza
oleosa, un residuo di resina.

sono accanto al pontile.
sto lavando i miei piedi.
il larice specchia i suoi rami
nell’acqua increspata.

non c’è ancora nessuno.
soltanto un cielo cavo
che si stinge.
tuberi che stringono
le tube rimediandone una lingua.


da L’urna e la Luna

c’è un tappeto nell’atrio.
una piccola stuoia 
di plastica, iperico e vetro.
tra i ritagli di tetrapak.

c’è una quercia oltre il fosso.
un libro aperto sulla terra.
ricicli gli avanzi di cibo,
e convochi i morti.

c’è una finestra accanto al letto.
una lavagna che delimita
la notte.
senti il bosco, la Luna.
                                  ti alzi.
coi gessetti rimasti disegni
i rilievi dell’argine,
intorno alla casa.
---

lunula, valvola, tuorlo e bisillaba.
magma, cerniera, molecola
e vulva. trottola, enigma,

ghirlanda e cervice. sfera 
errabonda, albedo e matrice. malva
corolla, Selene ed ovario. bussola

prua, eone e diatomea. cenere
assiolo, pupilla e bivalve. femmina
spora, albume ed aureola.

lucciola perla, clitoride e cellula. mix 
di materie che culla e germoglia.
acino bocca, Navicula e arnia.

nottola, arnica, alveolo ed anello. rotta
notturna, falena e baccello. cruna,
nottambula, ovulo e specchio.

capsula, maschera, epistola e urna.
cardine, origine, botola e iride.
ciclo, dimora, gibbosa lanterna.

pagina, sposa, vocabolo e ala. globulo,
falda, vestale e semenza.
argine, opale, placenta e scintilla.


da Agnizioni 

spazi in tentativi di unità,
date le locuzioni, le mucose
sul muschio, – nella crescente acidità
dell’uvaspina che scompagina le ovaie.
ecco il corpo, il telaio: l’agnizione
dettata dall’aporia,
nel processo che segue.

generando all’interno altro seme, vigore
e dissidi. vere necrofanie,
se fiorisce nell’utero.
nell’olio che tornava a colare
impregnando i colori, – l’icona
residua in funzione di un nome, di un’alba
più fertile.
fonte viva nella quale si lava.

---

finiva così la stagione invernale.
la fedeltà delle sostanze.
premono il grembo allestendo un amplesso.
mi tramuto in ortica.
circostanza prevista da un modello teorico.
gusci, – genealogie dell’universo.
un cieco ti guida mostrando il dipinto.
sorprendente scoperta della notte.
fedele alle matrici più spietate.
nella luce che cela ogni traccia.
sequenziamento del linguaggio.
buio simultaneo alla mia veglia.
trasparenza, parole, orditura.
tempo che diventa infiorescenza.



Nicola Ponzio (Napoli,1961), vive e lavora a Torino. Poeta e artista visivo, dal 1987 ha esposto i propri lavori in diverse mostre personali e collettive sia in Italia sia all'estero. Sue poesie sono apparse su Nuovi Argomenti, L’Ulisse, Nazione Indiana, Blanc de ta nuque, gammm, eexxiitt e Lettere Grosse.

Ha pubblicato Scanning, con le fotografie di Paolo Mussat Sartor, postfazione di Marco Giovenale (Corraini Edizioni, 2014), l’e-book Breve storia del blu, 2014: http://gammm.org/wp-content/uploads/2014/09/Ponzio_Blu.pdf, Il mio nome nel tuo nome, postfazione di Giampiero Marano (Oèdipus, 2014), 10 Wunderkammern (La camera verde, 2012), L’equilibrio nell’ombra (LietoColle, 2007), Esercizi del rischio (e-book, Biagio Cepollaro e-dizioni, 2007), Gli ospiti e i luoghi (Nuova Editrice Magenta, 2005). È presente in antologie e testi critici.


1 commento:

  1. le poesie che mi si confanno sono quelle tratte da Imago picta, Dell'acqua, L'urna e la luna.. e tornerò a rileggere per assorbire..

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