giovedì 2 aprile 2015

Pianzola su Enrico Marià


La preghiera di Enrico
Pensieri liberi sulla poesia di Enrico Marià


Come il poeta vero, Marià va oltre il libro e la poesia scritta. Mette in gioco anche se stesso. «Poesia non sono io, siete voi venuti ad ascoltare», dice la sera del 17 gennaio 2015 alla presentazione del suo libro Cosa resta, Puntoacapo Editrice, alla libreria Falso Demetrio di Genova.
Marià non sa  – non vuole – scrivere del bello, ne ha pudore.
Marià ama terribilmente la vita, per questo teme il buono e il bello e scrive del male e del dolore. Per tenerli, il buono e il bello, al caldo del non detto, nel cantuccio protetto del non esibito.

Confesso che quando lo sento leggere i suoi versi senza scampo e chiusi in una vertigine di eventi dolorosi enumerati con dedizione-disincanto, la mia natura mercuriale mi fa pensare «ma la poesia è di più, la poesia è anche altrove». Poi però, immancabilmente, quando vado a cercare i suoi libri, i suoi versi scritti, cambio idea e ritrovo quella libertà assoluta di cui la poesia ha un bisogno famelico. E non avverto più quel leggero senso di claustrofobia, ritrovo i crismi della poesia vera, alta.
Quindi il mio consiglio è: ascoltate Marià ai suoi reading (numerosi, tra l’altro, la sua magrezza compunta si offre generosa alle platee) ma ricordate che lui sceglierà sempre, in quelle occasioni, i testi più tetri e mortali, perché è così che vorrà colpirvi, è così che chiederà il vostro sostegno (il poeta, l’artista fanno del gesto poesia, e della poesia gesto). Dopo di che, andate a sfogliare un suo libro e la sua parola, per uno strano miracolo mediatico, verrà fuori liberata, trasparente, cristallina. Si distaccherà come crisalide, come corpo fluttuante dal carapace esistenziale, e prenderà il volo.
«Tu carne,/ anima, sangue,/ il posto/ più bello e lontano/ dove sia mai stato».
«Serva da due parti/ incrociarci solo a cena,/ in tre sul divano letto/
la notte spiarla, analfabeta/ che cerca di sentire Dio/ appoggiando l’orecchio a un santino».
Il mestiere di Marià è elevare a classicità il trucido, lo scarto, la nausea del nulla più definitivo, di un’umanità al di sotto della soglia di umanità.
La sua poesia è preghiera, non terapia (il poeta Ercolani al Falso Demetrio gli chiede con lieve apprensione: «Ma la poesia per te non è solo terapia, vero?», facendo intendere che ciò sarebbe una diminutio inaccettabile. Ma a me è venuto da pensare «e anche se fosse? Questo inficerebbe automaticamente il valore di un’opera?»).

Ogni poeta quando scrive sceglie il giardino in cui poggiare i propri passi. E per tutta la vita il giardino più o meno resta lo stesso, anche se il poeta vaga per il mondo. Il giardino di Marià è il sottobosco di vite al margine, di morti per overdose, di ragazzi uccisi dall’emarginazione, forse il riflesso (perché qui non c’è che in parte autobiografia, il resto è empatia del poeta che si confonde tra le zolle del giardino) di una vita affettivamente sregolata che un padre problematico gli ha caricato sulle spalle.
Ma sulle pagine del libro lindo e ben stampato, di versi puliti e ben scelti, la realtà più infima e disperata si innalza a un livello superiore. Un verso come «lì ragazzi con occhi da vecchi danno il culo per mangiare» è di un’eleganza (perché eleganza è liberare dal superfluo e anche non aver paura di chiamare le cose con il loro nome) assoluta.

Questa è la preghiera di Enrico che con la sua poesia torna al mondo, partito dal buio della disperazione, come il delfino torna a galla per riempire i polmoni d’aria e poi tornare nell’abisso. Una preghiera laica.

Scrivo di Enrico e della sua poesia perché c’è una sostanza poetica che ci accomuna. Una su tutte, quell’idea di “marginalità” che personalmente ho sempre sentito precipuamente ligure.
E non è un caso che quei caruggi di Genova dove Marià ha presentato il suo libro, che appena dietro l’aria ripulita di Palazzo Ducale brulicano di un vissuto storico, urbano, architettonico, umano che non ha paragoni in Europa, siano un luogo significativo per entrambe le nostre scritture.
La mia, per esempio, non è nata lì, vaga per le strade larghe e razionali della Lombardia e del Piemonte, ma in quelle strettoie oscure e scintillanti ritrova, cavandola da giorni adolescenziali, la propria energia.



Testi
(da Cosa resta, Puntoacapo Editrice 2015)



*
Tu carne,
anima, sangue,
il posto
più bello e lontano
dove sia mai stato.




*
Alì impara l’italiano leggendo i necrologi –
si esercita davanti ai manifesti;
negli spiazzi muti di periferia
non giocano bambini
lì ragazzi con occhi da vecchi
danno il culo per mangiare.
Del primo uomo
conservo l’immagine di me
che si rimette a posto i capelli
riflesso nello specchietto di un’auto.
Da quella notte non riesco più
a farmi toccare la testa,
ogni volta mi tiro indietro
balbetto scuse;
così macella il mondo
senza spargere sangue
in un silenzio dove niente
riporta indietro dalla morte.




*
La tomba di Claudio
è lapide nel fango.
In tasca la sua ipodermica –
per farmi non uso altro;
uccidere la morte
penso questo su ogni buco.
In riformatorio a mio padre
sfondarono i denti
perché non mordesse
mentre succhiava;
con me ha fatto lo stesso,
sussurro soffocato
che non arriva a parola
solo nell’eroina
non tremo
davanti alla vita.




*
Se quando esci sei solo
torni a rubare;
corpi annichiliti
sordi a ogni cosa
ti scarcerano a mezzanotte.
Alle pensiline di Marassi
Stefano senza denti
si mastica le gengive;
il desiderio è essere
dimenticati dal mondo,
infiniti nessuno
per sempre cadere
niente nel nulla.




*
Cristina vende i capelli
e il suo latte materno,
da cena ci spartiamo
una latta dei cani;
intuire la verità
è peggio che saperla,
amore della morte madre
ti prego stringimi
facendo di me l’istante
di un tuo bianco frammento.




*
Fuori dal San Martino
dimesso da un’overdose
mia sorella mi abbraccia,
mi stringe a sé
tentando di tenermi insieme
come quando si cerca
di trattenere l’acqua
con le mani a scodella.


Enrico Marià è nato nel 1977 a Novi Ligure (AL), dove risiede.
È redattore di Puntoacapo Editrice, dove figura nello staff di CollezioneLetteraria. Ha pubblicato le raccolte: Enrico Marià (Annexia 2004); Rivendicando disperatamente la vita (Annexia 2006); Precipita con me (Editrice Zona 2007); Fino a qui (Puntoacapo Editrice 2010, II ristampa); Cosa resta (Puntoacapo Editrice 2015). Presente in numerose antologie tra cui Genovainedita (Galata 2007); Dolce Natura, almeno tu non menti (Editrice Zona 2009); La giusta collera (Edizioni CFR 2011); Poesia in Piemonte e Valle d’Aosta (Puntoacapo Editrice 2012); Poeti di Corrente (Le Voci della Luna 2013); Cronache da Rapa Nui (Edizioni CFR 2013; Poesia in provincia di Alessandria (Puntoacapo Editrice 2014); Bukowski. Inediti di ordinaria follia (Giovane Holden Edizioni 2014); Ad limina mentis (deComporre Edizioni 2014). Nel 2013 è stato inserito da Pordenonelegge nel censimento della giovane poesia italiana dai 20 ai 40 anni. Nel 2012 ha partecipato all'e-book scaricabile gratuitamente La droga: un’ispirazione? O l’ispirazione: una droga?. Suoi testi compaiono su riviste e nel web. Collabora con il blog "Corrente Improvvisa".



8 commenti:

  1. Grazie, Stefano, della tua accoglienza.

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  2. una bella,ispirata, commossa e commovente presentazione di Luisa Pianzola ai testi ( convincenti e limpidi )di Enrico Marià, Ero presente nella libreria dei carruggi genovesi, unico luogo rimasto per ospitare le voci poetiche dopo la chiusura di Books in the Casba, A "ciglio asciutto "la lettura di Enrico come il tono della sua poesia -autobiografica o quasi-. E Grazie,adesso, a Stefano che registra tutto questo con le generosità giustamente non indiscriminata che lo contraddistingue. (l.f.)

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    1. Giustamente non indiscriminata: dici bene :-)

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  3. Grazie, l. f., sono contenta che il filo che corre sotterraneo tra enrico e me, abbia sfiorato anche i tuoi piedi,
    ;-) L

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    1. Però a me piacerebbe sapere chi è l. f.

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    2. Però a me piacerebbe sapere chi è l. f.

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  4. Si' dai esci allo scoperto, l. f., perché non sei Lucetta Frisa, vero? (Che pure c'era, quella sera)... ;-)

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  5. Potrebbe essere, in effetti

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