domenica 6 ottobre 2013

Premio Tournament: Giovanni Turra Zan, Nadia Agustoni, Davide Castiglione






Come indicato sul bando dell'European poetry Tournament, escono su Blanc le poesie di 3 finalisti. Il prossimo mese, altri 3.


Giovanni Turra Zan in Generazione rievoca, fra l'altro, l'eccidio di Granezza (6 settembre 1944), l'incertezza assoluta della Storia, quando incontra l'incertezza delle sue creature. Eppure le donne qui raccontate sono capaci di resistere allo sfaldamento delle cose. Sono le femmine della casa, cerchio del riconoscimento, dell'identità condivisa. Nella prima strofa una di queste, forse staffetta partigiana, prende la parola. Turra Zan ci vieta di familiarizzare con i personaggi di questa storia dolorosa, ci lascia entrare appena, con pudore, in quella soglia contadina. Nella seconda strofa, la voce cambia; il lettore forse ritrova questa donna, ora anziana. L'atmosfera, tuttavia, non è molto cambiata: ancora la fatica e le vecchie abitudini, anche culinarie, danno il ritmo all'esistenza. Giovanni è bravissimo a non cadere nelle retorica, a focalizzare l'attenzione sui dettagli, a tenere accesa l'attenzione con metafore efficaci, con una toponomastica ben riconoscibile per chi vive dalle mie parti. Lo straniamento viene dall'uso di nomi propri anglosassoni, dalle "lettere albanesi", ma non è un mistero che sull'Altopiano di Asiago ci siano cimiteri inglesi e anche del popolo balcanico. L'attrito con quei nomi è prodotto dal dialetto vicentino, in un plurilinguismo misurato, mai dominante.



UNA GENERAZIONE.


Perduravano le incertezze mentre l’ombra scendeva
sui morti e l’isola e la casa venivano occupate.
Avresti preferito nasconderti a Granezza, ma le donne in famiglia
cadevano dal sangue delle generazioni e la madre voleva le figlie
nella cucina con la stufa e la porta sul letamaio.
La poltrona rossa reliquia al focolare, la ricordi nel giorno
del sussurro che vi ammutolì, con tutte le femmine impegnate
al tavolo nel gioco solitario. A Bosco Nero, Loris era caduto tra i germogli
dei carpini; il suo corpo nascondeva le larve della prosperità,
ma non fu più per noi il perdono dell’aria che irritava le porte di casa.
Fu per tutte e sette noi donne quel dissimulare di granito
 che ci ammalò il pianto, salvo che per Mary, che rese vasta.
Quando anche Tom lasciò tutta la prigionia di una vita,
e non più solanacee a ricordargli la nausea del mondo,
come in Germania nel ’43, piangeste di lui i completi di lana
sul cancello di casa, come ultima consegna della cura, della storia
amata come l’erba intorno all’acqua, che riempiva la brocca
en tel làbio ogni santissimo giorno dell’anno.

Siamo a maggio; il colore del pane biscotto uscito dal forno
vi invita alla festa della discendenza,  e la preparazione del rito
avviene come nel romanzo dell’orgoglio. Rivediamo i volti
dei giochi, e la compagine australiana sorta con addosso tutta la salvezza.
Disperavano di ritrovarti ancora viva e tu, gigante odor di mughetto,
ti stagliavi a simbolo della linea di difesa d’ogni onesto racconto di  [resistenza.
Veniamo a testimoniarti gratitudine per il dispiegarsi del libero discorso,
tra la linea del canto, che avviene a salti e ad accenti, e quella di un dire
stanco, forestiero. Sorella delle lungaggini, sapevi i trucchi dei non detti,
delle camicie inamidate nel cesto, di po’enta e fasòi, col brutto naso
che i tedeschi ridevano, lasciandoti portare i foglietti sui monti.
A piedi, spingendo la bici, aprivi il varco a quelli tra noi più liberi, 
e lasciavi che corni di metallo spuntassero dai muri di cinta, a ricordo
dell’esproprio del ferro assassino, sotto cui cadevano
i nomi dei maschi nei boschi (tutti belli, forti, affamati di donne
e di fabbriche). Dov’è nascosto questo futuro chiedi, dove siete amici
sepolti e con voi il passo dopo passo, con le stalattiti di ghiaccio ed il grano?
Restano sole le cose da incartare: due fotografie dell’amata maestra
della scuola elementare, anche della madre, le lettere albanesi di Tom,
due vasi, i cerchi di marmo da cui spuntava una goccia
di roggia, come un pianto vecchio cent’anni e uno; i libri di Mimma e
ancora quella rossa poltrona. Fa freddo. L’inverno mangia i cigli
alle strade, e ora che la casa è stata ritrovata, posso essere
sepolta con le cose declamate alla festa dei cent’anni.


***

Nadia Agustoni, come Turra Zan, ci proietta nella grande storia, per un lungo tratto mostrata per emblemi e a una velocità furtiva, vista da carri trasportatori di corpi, da occhi che vedono frecciare il paesaggio e non capiscono la meta. L'anaforico "Erano già alberi" dà il ritmo al viaggio di avvicinamento ad Auschwitz e a tutti luoghi della disaccoglienza, del rifiuto. Anziché alzare la voce contro il negazionismo, Agustoni mette di fronte l'evidenza degli oggetti, dei corpi raccontati nella loro disarticolazione (mani, denti, capelli, piedi, testa, braccia). Ancora più che in Turra Zan, Agostoni, qui, fa poesia in-re, da dentro la situazione, stando in posizione fenomenologica, così che il suo commento si dipani quale messa in scena di una possibilità costantemente in agguato, fattasi carne nei campi di sterminio e nelle parole ideologicamente sporche di Faurisson, ma ripetibile ancora, all'infinito. 


Commento a Robert Faurisson
                                                                           
                                             a chi è partito  
                                                                           
                                                        “Bisognerà progressivamente ammettere                               
                                                          che non è esistita ad Auschwitz la minima
                                                          camera a gas omicida... “  Robert Faurisson
                                                          19 gennaio 1995 a Radio Islam


Erano già alberi
crescevano fumo e traversine
a lungo sognarono i binari
le case lasciate indietro
erano grandi come mani
a volte facevano con le mani aperte
un silenzio che non credevi:

coi capelli e coi denti
battevano il tempo fermo
e sementi di uomini
vedevano rondini
cercare un campo
credevano che il campo nella neve
li avrebbe raccolti:

erano già alberi  
i fiori li guardavano
come un ciliegio che dal bianco stilli il rosso:
“tu imparami il vento,
con una preghiera chiama
gli uccelli, ascolteranno
la nostra voce, le parole
non siamo più noi”:

la guerra era sul grano
sparavano sopra
come a un cielo
andavano via guardando i paesi
là erano giovani erano il tetto e fondamenta
qui le foglie come gli occhi
la polvere come polvere
il pensiero della lepre:

erano già alberi
li abbattevano, c’erano
nei tronchi i loro petti
sui rami facevano un tavolo
la casa era un quaderno
scrivevano: “noi il buio sappiamo
che esiste”:

era un celeste essere vivi
una notte due notti
un giorno davanti...
pensarono uno alla volta
il figlio il padre
la sorella il bambino
dei vicini che giocava:

erano già alberi
aprile un’aria d’ortiche
sul mondo
erano nei piedi nella testa
nelle braccia
a capire piangevano
come il cuore di un altro:

a dicembre il fumo
coi cavalli, pensavano
dentro le scarpe
a come dovrà piovere tanto
per non soffrire più
verranno coi boschi
le piante col legno
della terra, verranno
carbone.


***

Come i due autori precedenti, Davide Castiglione ci porta dentro la scena, in una zumata d'avvicinamento macroscopica; leggendo, viene subito da chiederci: chi annera i vetrini, in quale spiazzo? E le voci si moltiplicano, e lo spesamento del lettore è sempre più grande. Chi entra, chi si alza? Castiglione procede nella sua descrizione minuziosa, non apre allo sfondo. Però parla di "fuoriusciti", ma da dove? Dall'immagine, dallo Stato tiranno? Quello che sappiamo è che c'è luce e c'è ombra, e c'è un interno e un esterno. Siamo nella vita, forse, o nel viaggio post mortem? Di sicuro non siamo soli. E qualcuno ci guarda, li guarda. Castiglione ha la capacità di sprofondarci dentro l'imbuto, di farci sentire sul collo il fiato dei carnefici, se non fosse che il titolo, Eclissi, ci riporta al quotidiano, alla curiosità testimoniale di chi vuole fissare con gli occhi l'impossibile: quel sole-bene-di-Dio che oramai è soltanto un astro bollente, un fuoco senza teologia. E il nostro viaggio non può che fermarsi all'inferno. 

Eclissi

I

Stanno in uno spiazzo, annerano vetrini. Seguirli
li seguirebbe prepararsi al passaggio, nell’aria educata
a ritornare dalle pale della ventola
entra uno e gli afferma sopra, forza
guardala da fuori: ti do il cambio. Fa per alzarsi,

esita – l’altro
riprende, come si è un secolo in vantaggio, hai tarpato
le tue possibilità non appena lasciavano le tabelle
per la luce, non intuendovi cifre a sostenerla. Quindi

i fuoriusciti si invetrano nel fenomeno,
riparano in estasi per minuti sette.

II

Ha esordito in pieno oscurarsi, con una presunzione
di filigrana – per avere approfondito
il suo stesso corridoio, assottigliandosi all’uscita sino
a una qualche
chiarezza. Gli è simile,
a suo tempo soppesò il nocciolo al bilancino
e così le circostanze, si inscrisse in corsia
per definirsi, capire dove finisse.

Gli tocca la spalla, sovrappone
a quelle schierate sul banco le sue schedature  (l’essere
simili fa proseguire o meno l’ombra
prima ripiegata e sola?).

Tra monitor e porta aperta,
tra sfiorarsi e fare ridondanza.




18 commenti:

  1. Mi fa molto piacere che vengano qui pubblicate queste poesie, così come ringrazio Stefano per la sua lettura che denota il suo spessore e la serietà che mette nel fare parte della giuria.

    Francesco t.

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  2. è bello rileggere questi testi che davvero meritano una vetrina. Grazie, Stefano, anche per le belle presentazioni.
    daniela

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  3. La poesia segue sempre il duplice movimento dell'espansione umana (temporale-storico/ intuitiva) mettendo al centro il riordino visionario del mondo determinando la lettura dell'esperienza personale e sociale attraverso la disgressione della vita sulla morte. Quindi l'anima segue il corpo e il corpo segue la mente. Siamo portati, in qualità di esseri pensanti, a riguardare i drammi delle atmosfere storiche, appartenute a decenni fa, per riscoprire e confrontare le movenze della crudeltà di quel tempo con quelle della modernità che ci appartengono, che siamo noi a toccare in prima persona. La poesia è anche una lettura sociologica del reale: la sfida è viverla come un progetto culturale e non come un atto autoreferenziale! Ecco perché, ancora, qui, i miei complimenti a questo premio, al vincitore, ai giurati, al prof Guglielmin e a chi crede e lavora per questa interessante iniziativa che non è fine a se stessa!
    Complimenti alle poesie che leggo in questo post molto ben strutturato da Stefano.
    La mia stima rinnovata
    Rita Pacilio

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    1. garzie rita. A conferma di quanto dici, riferisco che anche il grande Roman Jakobson ribadiva la necessità di cercare nella poesia non soltanto la sua "funzione poetica". come dici tu "La poesia è anche una lettura sociologica del reale".

      però, un favore: non chiamarmi "prof " che qui siamo tra amici :-)

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  4. Ringrazio Stefano del commento e il concorso per la segnalazione. Specifico che Mary è Mary Arnaldi, staffetta partigiana, medaglia di bronzo della resistenza, 101 anni compiuti lo scorso maggio. Loris, è il comandante Loris, ovvero Rinaldo Arnaldi, fratello di mary, trucidato dai nazi-fascisti a Granezza nella data ricordata da Stefano. Tom è Antonio Arnaldi, detto Tom, fratello di Mary e Rinaldo, arruolato nell'esercito italiano e catturato dai nazisti in Albania dopo l'8 settembre e internato in un campo di concentramento in Germania, da cui fu liberato. Mimma è Mimma Arnaldi, sorella di tutti gli altri (9 tra fratelli e sorelle), fervida raccoglitrice e divulgatrice di documenti relativi non solo alla sua famiglia, ma anche alla resistenza nell'alto vicentino. Morta lei, i documenti giacciono per il momento nel suo studio della antica casa di Dueville, dove è rimasta solo Mary, e che è meta di pellegrinaggio di alcuni storici locali (tra cui il prof. Gramola di Molvena). La "compagine australiana" è il ramo "australiano", appunto, della famiglia Arnaldi, sempre presente con qualche rappresentante durante le celebrazioni nel vicentino della Resistenza locale e, certamente, anche della famiglia. Io, che sono stato sempre invitato dalla famiglia ad essere presente anche alle occasioni famigliari, sono una sorta di relativamente giovane amico di tutti loro. In tanti anni di frequentazione e affetto, ancora mi commuovo al cospetto di Mary. E ora, mi sento anche un po' un bizzarro "poeta di corte". Onorato d'esserlo. Un saluto, GTZ

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    1. Grazie per queste annotazioni che ci fanno ulteriormente apprezzare la poesia.

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    2. aggiungo: se pubblicherai su un libro questa poesia, metti in nota il tuo commento.

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  5. chi tenta, in poesia, la via prosastica, tenta la via dell’epopea. un’epopea, e penso a Montale, che può essere l’impresa sussurrata di scendere un milione di scale, oppure, nel caso di Giovanni Turra Zan, quella degna di rappresentare, per l’Italia contemporanea, ciò che il west, ad esempio, è per gli USA - la Resistenza. GTZ canta benissimo quei frammenti di storia micro che conosce e di cui ha esperienza. C’è, mi sembra, un domestico, commovente e saporito Omero in questi versi (non mi scuso per i grandi paragoni, che stanno spesso lì tra i piedi).
    pierluigi

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    1. interessante l'accostamento tra West e Resistenza, anche se la Resistenza non è stata solo una conquista del territorio, ma una sua riscrittura culturale.
      Vero anche che prosa e epopea si incontrano, ma nel moderno, dove è il romanzo il genere principe. grazie per il commento.

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    2. Grazie a Pierluigi....? Gli accostamenti mi sembrano eccessivi (il West, Omero), ma certo appartengono alla mia mitologia personale. ;) Well, il West è stata "conquista", appunto. Di territorio e di nativi americani. Da sterminare o da civilizzare con dei sani principi cristiano-protestanti, in effetti. ;-) Ciao.GTZ

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    3. la Resistenza come mitologia fondante l'Italia contemporanea non è priva di ambivalenze, anche Fenoglio non se ne dimentica (il mito della frontiera e del West, per gli USA, è qualcosa di analogo, forse con più ombre che luci, d'accordo, ma non lo si può ridurre interamente a una conquista del territorio e al massacro dei nativi). l'efficacia del canto-racconto di "Una generazione" sta, mi sembra, nell'assenza di retorica, ovvero in una memoria che affastella, senza mediazioni ideologiche ingombranti, cose, luoghi, persone, animali, piante, parole e modi dire, commoventi nella loro piccola ma poetica e dignitosa materialità.
      pierluigi rossi

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    4. capisco meglio cosa intendi,Pierluigi. E grazie ancora. GTZ

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  6. Ringrazio Stefano per l'acuta nota alla mia "Eclissi" (l'idea di minaccia incombente era tra i miei obbiettivi) e mi compiaccio nel leggere le poesie di Turra Zan e di Agustoni: questo European Poetry Tournament davvero mi fa ben sperare in tema di qualita' delle selezioni.

    Approfitto di questo spazio per chiarire alcune cose sul mio testo: in una versione precedente, assai piu' didascalica, segnalavo in corsivo i dialoghi in dicorso diretto anziche' immetterli nel flusso del narrato e inoltre indicavo che il soggetto in terza persona era un 'impiegato', e quindi quasi di conseguenza quelli che guarda prepararsi all'eclisse (per fissarla occorre davvero annerare vetrini col fuoco, altrimenti la vista non reggerebbe) sarebbero i suoi colleghi. Visto le difficolta' interpretative potrei tornare a quella versione piu' esplicita, ma anche piu' 'costringente' nei confronti del lettore, chi sa.

    La poesia e' nata per la prima volta sei anni fa (nel 2007, quindi) come una specie di allegoria sul tema della sostituzione (di identita', di turni lavorativi, accostata implicitamente per giustapposizione alla sostituzione del sole con la luna. Non l'ho inclusa nel mio libro perche' deviava troppo (credo) dai toni dominanti di quello (Stefano poi magari mi confermerai...), ma a questo punto pensero' seriamente a inserirla in una raccolta in progress che sto scrivendo...

    Un caro saluto a tutti

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    1. a me piace così: il didascalico è quasi sempre sinonimo di prolisso, a meno che non sia pasolini a farlo (ma anche lui, qualche volta...)

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  7. Vedo molta profondità, nella poesia di Castiglione, un precipitare, perdere le dimensioni proprie e di ciò che c'è intorno. Forse è proprio
    profonda perchè non è didascalica. Da un effetto ad elica molto impressionante, al di là di quel che succeda realmente. Come all'improvviso si muovesse una foto. Complimenti!
    Cristina Annino.

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    1. grazie Cristina per il commento. E bentornata!

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  8. Il mio caro amico GTZ mi segnala oggi questo blog. Ho letto la sua e le altre poesie, e i commenti che ne seguono.
    E non riesco a non pensare alla coincidenza significativa, junganamente intesa, che in questi stessi giorni c'è chi dice che del funerale del camerata Priebke bisognerebbe parlare "laicamente" e senza pregiudizi.
    Mi piace pensare che questi versi consolidano i miei pregiudizi, e che cercherò ci tenerli cari e attivi, anche con l'aiuto della poesia.
    stefano zoletto

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    1. infatti, non tutti i pregiudizi sono pregiudizi :-)

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