martedì 11 giugno 2013

Andrea Lorenzoni

foto di Paola Mischiatti

Dalla crisi del neorealismo ad oggi, la poesia italiana non ha mai smesso di organizzare dei nuclei di militante sperimentalismo giocato soprattutto sul piano dei significanti e delle regole della comunicazione, facendo spesso tesoro delle coeve ricerche internazionali. Eppure, in gran parte dei nati negli anni ottanta (e in quelli degli anni settanta), sento inconsapevolezza o indifferenza o persino astio verso tutto ciò. Fanno eccezione per esempio Luca Rizzatello e Nicola Cavallaro, che hanno coraggiosamente fondato una casa editrice che punta sulla ricerca, sulla sperimentazione: la Prufrock spa. Uno dei suoi frutti migliori è parlo dentro di Andrea Lorenzoni, uscito nel 2012.  L'autore fa tesoro del protocostruttivismo di Lev Vigostky, quella sua parte di ricerca volta a dimostrare che linguaggio e pensiero interagiscono sino a cortocircuitare quando cercano di dare un senso univoco all'interiorità, quando insomma il soggetto si parla dentro per mettere ordine alla complessa struttura identitaria. Tentando di produrre tassonomie di senso nascono inevitabili aporie, resistenze d'ambiguità che chiedono di essere risolte. La poetica di Lorenzoni chiede perciò un lettore disposto a interagire con la costruzione del senso, lo vuole consapevole delle dinamiche profonde in cui il linguaggio e il pensiero interagiscono, un lettore capace di cogliere l'elemento emotivo nella più piccola particella semantica, di ricongiungere i punti, di particella in particella, per l'emersione di una più limpida affettività, e di farsi compartecipe di un'esperienza tutta interiore del poeta. Un'esperienza ancora in fieri, non ancora sintatticamente compiuta, ma non per questo asemantica.

Se le neoavanguardie praticavano la poesia difficile per ragioni di politica culturale (per proporre beni non vendibili e dunque dichiarare che la poesia non è merce – detto in un momento in cui il mercato cominciava a diventare globale e tutto veniva valutato secondo il principio economico delle equivalenze –; per denunciare la passività del lettore, ridotto a mero consumatore e ricettore del messaggio pubblicitario; per contrastare il linguaggio quale veicolo di valori funzionali al mantenimento dello società dei consumi e dell'ingiustizia; per destrutturare la natura fascista della grammatica, dove il soggetto piega alla proprie necessità di leadership le altre parti del discorso) per Lorenzoni, uomo del postideologismo, il neocapitalismo non è più, pasolinianamente, seconda tragica natura, bensì natura tout court; non nemico che si deve combattere, ma ambiente difficile in cui bisogna crescere, scavandosi uno spazio vivibile, un cordone privato parzialmente salvifico. E qui la parola ha un ruolo decisivo, nel suo anarchico procedere, nel suo scintillio metaforico eppure claudicante, nel suo deragliamento analogico che avviene dentro un monsieur tuttatesta, un uomo-linguaggio chiuso in un tempo compresso, praticamente fermo. L'immobilità che ne consegue impedisce a Lorenzoni di inserire nei testi una o più mappe che fungano da metalinguaggio, da decodificatore interno, utili a chiarire le regole del gioco al lettore, così da farlo entrare nel meccanismo labirintico in cui lo colloca l'autore. Entrare implica infatti due condizioni, qui assenti: spazio organizzato e movimento. Lo spazio, in parlo dentro, ha la dimensione dell'azione elementare o della stringa di senso (per es: "tenta la carezza", "mi piace dirlo, lo dico", "non posso sapere", "il plettro in cassa armonica") e il movimento chiede appunto il tempo della narrazione, del prima e del poi intrecciati in una logica riconoscibile. Se un limite esiste, in questo libro, è proprio questa rinuncia all'abitabilità, in nome forse della coerenza metodologica.

Aprirsi alla comunicazione non significa per forza omologare la scrittura o banalizzare, bensì credere che spazio e tempo siano praticabili e condivisibili in un'intimità aperta dalla lingua, in un'esperienza dove autore e lettore si riconoscano inadeguati eppure solidali nel mettersi in viaggio verso un orizzonte di senso possibile, la cui chiave non rimanga di proprietà del mittente (come capita spesso in queste poesie, per quanto lodevole sia la ricerca di originalità e certa la forza in taluni passaggi), bensì appartenga alla complessità del codice, a propria volta correlativo oggettivo della complessità umana.





da parlo dentro (Edizioni Prufrock spa, 2012)




la sigaretta fuma la cena
un coltello taglia la luna
cariche di paracetamolo
le navi alla fonda
il plettro in cassa armonica
e pozze di lago e di luce
nel mare di crespo
il fumo rapprende il muco
e scalda per l'inverno
sgruma il pensiero, fa spazio
sorbe il percorso, scroscia
la manica in avanti
la chiusa del tempo



*


da tè scevra con gli anziani
il tappeto da tavolo, assorbente
il bicchiere traballa il cane
non parla, magro defila i lontani
parenti, langue ma il gatto resta
il fiato fluisce nel trasparente
aliena la materia dell'arredo, totale



*



di bianco gratta via turca
bagna la sauna dell'impero
penso oggi condiziona
l'autovettura da viaggio
antizanzare il baldacchino
potere grande definisce
non sanno, credo, dur
la fede, evet il senso mistico
nel ponte si vive meglio
il grano arcuato, il pesce
d'aria secca piange l'islam
relax miglio, io lontano
dai vulcani gassosi, calcare
i finti dervisci dell'unesco
sfiancano un punto mistico
ri-catto, uguale: il rituale
terapico, la scienza profusa



*



duri avanti, spasmi
entro per un tempo
più lungo del solito
sin qui, rapinato
dall'umore di famiglia
che donna solleva
una sola se si può
accerchia il roghetto
della sigaretta, il caffè
sorbe il labbro in carne
al capezzolo o al niente
non posso sapere
un bolígrafo para
el caballero por favor




*



e sulla palpebra
i cerchietti di cobalto
strabiliano un ciclo di lune
onirico lacerto di storia, privo



*



donna occhi chiari linea turge
il labbro e solida riempie il volto
mi fonde la pressione, tradizione
la ragione di simbiosi potenziale
l'amore piano, le vesti le volano
suonabili, fregiata di scuola
da liutaio in vetrina per gioco
la pelle il desiderio che faccio
mentre ti accordo la sapienza
non conosco l'artigianato, ammiro
cerco la struttura, che sia degna




Andrea Lorenzoni è nato nel 1985 e vive a Bologna. Lavora come insegnante di sostegno nella Scuola Primaria, collabora alle pagine culturali di Caffè News online magazine e fa parte del gruppo di poesia Lo Spazio Esposto. È il cantante e bassista del gruppo musicale Divanofobia. Parlo dentro è il suo primo libro.

19 commenti:

  1. non c'è un io strutturato
    nella struttura,
    ma pittosto un'intenzione di renderlo presente attraveso lo sguardo, le sensazioni, le immagini
    rimandi ai lacerti trecenteschi, quasi in un gioco di specchi
    la vetrina del liutaio, il ciclo di lune, lo scorcio di sudamerica, tutto fa pensare a frammenti di memoria collocati come in un puzzle a formare un mosaico che è: pensiero che sgruma...

    mi piacciono molto!

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  2. E fra l'altro mi sembra che il suo percorso musicale sia un naturale complemento della poesia: interessante, decisamente.

    Francesco t.

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  3. Presentazione molto bella, "universalizza" senza forzature.

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  4. Innanzitutto ringrazio Stefano per la lucidità e la sintesi nell'individuare gli aspetti cruciali del libro. In particolare per la registrazione del carattere post ideologico dei testi. Ci tengo molto a far filtrare l'opportunità di un pensiero critico e non monolitico, oltre che a mettere in campo un atteggiamento di "integrazione" (che è anche il titolo di una sezione del libro) sia a livello di pensiero dialettico sia a livello di stile di scrittura. Accolgo con grande interesse l'osservazione sulla abitabilità dei miei testi e tengo a dire che, in generale, non precludo a priori la possibilità di praticare una scrittura che dia, attraverso la sintassi, delle dimensioni spazio temporali più accoglienti.
    Dalla parte dei lettori, ringrazio di cuore Carla per il suo bel commento, Francesco per aver colto la complementarietà - "integrazione" ancora una volta - delle mie produzioni ed, ancora Elio per il suo commento.
    Andrea Lorenzoni

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    1. caro Lorenzo, per rendere più chiaro il tuo pensiero, mi piacerebbe postare la lettera che mi hai spedito l'altro giorno. Potrei farlo fra un paio di giorni, che ne dici?

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    2. Lorenzo sta per Andrea, naturalmente (dadaismo spurio :-)

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    3. Caro Stefano, d'accordo, dico che va bene. Mi sembra che la lettera che ti ho spedito a seguito di alcune tue domande, sebbene nei suoi limiti di lettera, possa dare degli spunti di discussione
      :-)

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    4. non confondiamo i nomi, per favore!
      (:-))
      avvisami quando pubblichi la lettera...

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  5. Caro Stefano,
    ti ringrazio per l'ospitalità. Sono d'accordo con la tua tesi: il tema della comunicazione, e della abitabilità (che trovo una definzione puntualissima) come sai mi è caro, e ne ho parlato a lungo con Andrea, sia prima che dopo la pubblicazione di 'Parlo dentro'. Il rischio di chiusura nei confronti del lettore-destinatario, o addirittura il mancato presupposto di esistenza di un potenziale destinatario, potrebbe apparire evidentemente come un limite; nella mia personale lettura del manoscritto questa assenza si è configurata come un processo acuto di interiorizzazione, che per sintesi ha prodotto una seconda prima persona, paritaria rispetto a quella propriamente soggettiva. Ora il gioco sta nel capire se Andrea intenderà aprirsi alla comunicazione tout court o produrre un trobar ancora più clus; nel secondo caso - ipotesi che non mi dispiacerebbe - credo però avrà bisogno di un armamentario retorico e stilistico più robusto, così da risultare un autore pienamente credibile anche sul sempre troppo frainteso versante della poesia lirica. Un'opera prima serve anche a questo, a testare la resistenza dei testi in un ambiente molto meno accogliente del cassetto della propria scrivania. 
    Un caro saluto,

    Luca

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    1. grazie a te in veste di editore, per la scelta coraggiosa.

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  6. Caro Stefano, molto tesa e bella la tua presentazione, grazie.
    “… destrutturare la natura fascista della grammatica, dove il soggetto piega alla proprie necessità di leadership le altre parti del discorso”: pur volendo essere postideologici, a volte quando si scrivono spazi poco o niente ospitali il risultato può esser quello. E meno male!
    Non so se chi scrive versi come questi rinunci davvero, volontariamente, all’”abitabilità” per solipsismo scelto o, piuttosto, non abbia perso le chiavi di casa e lo vada dicendo in giro, costruendosi intanto dei ripari instabili (ma pure belli, di bellezza monca) con le parole che ha, “onirico lacerto di storia, privo”.
    Raffaele

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    1. Caro Raffaele, ora posto la sua dichiarazione di poetica così risponde lui stesso alla tua domanda.

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    2. Da lettore curioso, ringrazio Andrea Lorenzoni per esser stato d’accordo con la pubblicazione della lettera, che offre possibilità ampia di riflettere.
      Caro Stefano, approfittando della tua ospitalità, aggiungo un po’ di cose, così come vengono.

      Ho letto ancora le poesie; è un modo di scrivere che sento molto vicino, almeno nella parte che hai pubblicato. Mi incuriosisce molto il fatto che nella lettera Andrea cita versi dalle sue poesie che sembrano “suonare” in modo altro, rispetto alla selezione da te pubblicata… bisognerà leggere il libro.

      Neoavanguardiste o no, le poesie di Lorenzoni senza gli scardinamenti delle avanguardie (vado ancora più indietro) sarebbero state scritte? Personalmente non credo.
      Trovo che, anche se tra fessure e spifferi, circoli aria tra quelle sue parole e, a leggerle, quell’aria si muove poi nella mente. È la stessa aria che sento circolare, a volte, di fronte a cose dell’arte moderna o contemporanea; per me lettore, questo è l’aspetto più importante, perché vitale.

      Credo che ora, sulla scrittura sulla quale stiamo scrivendo, sulle poesie che hai pubblicato, stiamo depositando altro senso. Che poi questo senso si avvicini o si allontani da quello che ha inteso dargli l’autore trovo che, a volte, possa essere marginale; se il pensiero “aggiunto” è verace rimane comunque utile.

      Nelle poesie presentate la terza persona "dilaga", producendo un effetto forte di spersonalizzazione. A volte si mette a combattere con la prima (persona).
      Mi viene da chiedermi chi è che è nascosto dentro il soggetto mutante che agisce: “la sigaretta”, “un coltello”, “il fumo”, “il bicchiere”, “il cane”, “il gatto”, “il fiato”… e così via.
      Da appassionato della dialettica “arte/vita”, credo la risposta sia inscritta dentro l’ultima parte della lettera: che è uno spazio, (LO) spazio di una ricerca.
      Non per fare psicanalisi da bar, ma credo sia vero che è là, nelle relazioni originarie, che impariamo a sentire quel che c’è, e quel che manca. E poi più tardi, c’è chi prova a dargli forma, di parole, di note, di voci, di colori ecc., fino, a volte, ad essere ossessionato da quella voglia di fare forma, che poi cambia, e non si ferma, e diventa altro da cercare. Così, scrivendo e riscrivendo e scrivendo ancora, succede di aggiungere pezzetti di forma al mondo.

      Nelle poesie di Andrea ci trovo degli straniamenti continui, di quelli che, pure se accennano a l’esistenza di una storia (e di storie), non la (le) rivelano, piuttosto di fatto la (le) riformulano.
      A volte può sembrare scrittura automatica che, credo, non sia necessariamente quella “di getto”, poiché dipende dal porsi, da una particolare attitudine, che si può assumere anche mentre si danno colpi su colpi di cesello alle parole scritte.

      Poi c’è il rock. Ero andato ad ascoltare su youtube, prima ancora di terminare la prima lettura delle poesie. È bello suonare e scrivere. Mi sembra che per le composizioni di Lorenzoni si confermi la tua bella definizione di canzone come poesia popolare, più carica di emotività che di conoscenza.

      In fine, quanto al neocapitalismo, a me sembra che scrivere del dolore e della gioia e d’altro ancora, ovvero ogni tanto mettere l’essere umano al centro dei propri pensieri, è in sé pratica antineocapitalista (suona male eh?); ma, da nato al tempo delle ideologie, probabilmente mi sbaglio.

      Credo di aver abusato dell’ospitalità. Ma quando ti si presentano certi temi come si fa a tenersi?
      Un caro saluto a te e al poeta Andrea.
      Raffaele

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    3. Caro Raffaele, hai fatto benissimo a chiosare con tanta intelligenza le poesie di Andrea: i commenti servono proprio ad arricchire il discorso sul testo che io cerco, con il post, di avviare.
      ciao!

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    4. Grazie ancora per creare queste occasioni
      r

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    5. Caro Raffaele,
      ringrazio io te per le tue riflessioni attente. Concordo sul fatto che sia opportuno considerare il libro nel suo complesso. Credo che uno spazio come questo, fra le altre cose, serva proprio a fornire gli elementi per poter scegliere se leggere un libro nella sua interezza o meno. Ti ringrazio per quei nuovi depositi di senso che stai aggiungendo al libro e al pensiero. In primo luogo per me, sono preziosi materiali da archiviare e su cui prendere decisioni in maniera risoluta in futuro, dando possibilità di vita a quello che tu chiami “spazio di ricerca” in cui cerchiamo di dare sempre nuova - e forse migliore - forma al mondo.
      Non sono certo uno studioso di ideologie però ho delle impressioni al riguardo, dato che in questa direzione ci “solleciti” ancora con passione. La descrizione della mia persona come “post ideologista”, fatta da Stefano, la considero, per quel che mi riguarda, come riferita ad un mio discostarmi dall'anti neocapitalismo inteso come gruppo sociale o come simbolo identitario. Con questo non escludo in assoluto che le ideologie possano aver svolto, o in taluni casi possano continuare a svolgere, un ruolo importante per il raggiungimento di una felicità sufficientemente diffusa. Penso però che tale raggiungimento possa verificarsi anche con altre forme di pensiero. Ho come l'idea che dentro ciascuno di noi vivano “costellazioni ideologiche” opposte e che lì debbano servire come strumento conoscitivo per fare le scelte opportune in un momento dato. Intendo dire che le ideologie potrebbero essere considerate fra gli strumenti possibili sottesi ad una scelta specifica che debba fare una persona, e quindi strumenti non da assumere in toto a livello identitario (personale e di gruppo) ma da utilizzare nelle specifiche occasioni di scelta con l'intensità e con le modalità che riteniamo più opportune in quel momento storico/contesto. In questo momento ritengo che una gestione cieca del potere stia facendo del male alla società italiana – non a caso i titoli delle sezioni del libro sono quelli che ho già menzionato in un commento e non a caso cerco di fare, ad esempio, una lettura critica (seppur deformata a livello testuale) del potere ipnotico della televisione, come esemplificavo in un commento – ma credo anche, ad esempio, che forme diffuse, regolamentate, responsabilizzate e controllate di accentramento del potere debbano comunque esserci nella società umana, in ragione della stessa natura umana che, in singoli assetti diversi, ciascuno di noi è. Al contempo le convinzioni in merito ad “oggetti” specifici del mondo penso vadano affermate dall'individuo con forza sulle base delle proprie argomentazioni nel merito di una questione specifica. >

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    6. Certe conoscenze psicologiche ci fanno presente che l'individuazione di un nemico identificabile fuori di noi (cosa che avviene nell'ideologia)diventa un modo per crearci una nostra identità più facilmente riconoscibile dentro di noi, la quale per qualche motivo non è stata resa solida o non si è resa solida. Un meccanismo questo che mi sembra disfunzionale alla tensione verso la felicità possibile, ossia verso la vita. In particolare perché penso che l'unico risultato possibile di questo atteggiamento sia il riacutizzasi continuo dello scontro, fino magari al risultato estremo della guerra. Infatti, riprendendo il filo del discorso psicologico, esternare inimicizia verso una persona (o un gruppo) credo non faccia altro che destare nell'individuo attaccato altra “inimicizia”, questa volta rivolta in primo luogo verso se stesso. Poi se la persona attaccata non dovesse avere una struttura identitaria sufficientemente strutturata, l'unico modo col quale questa potrà mantenere l'amor proprio sarà quello di difendere con i denti la propria seppur fragile posizione identitaria opponendosi a sua volta a chi per primo aveva espresso nei suoi confronti inimicizia. A quel punto l'inimicizia oppositoria da parte di chi la pratica verrà, con il progredire temporale del fenomeno, sempre meno giustificata con motivi strettamente razionali. Insomma l'ideologia “identitaria” credo che corra il rischio di favorire un circolo vizioso invece che un cambiamento positivo. Credo ci sia alla base della natura umana un bisogno di tutti di essere sufficientemente voluti bene da tutti. Probabilmente dobbiamo prima imparare a far convivere dentro di noi le tensioni verso visioni opposte sul mondo, questo rendendoci criticamente consapevoli – per quanto possibile – delle nostre somiglianze con le altre persone ma anche delle nostre grandi diversità, ad esempio a livello di benessere economico, a livello di cultura storica di provenienza, a livello di storia famigliare personale, a livello di differenze fisiche, a livello di differenze di genere, a livello di salute (sforzandoci di metterci il più possibile nei panni degli altri, immedesimarci nell'altro).
      Con questo spero di aver aperto un possibile punto di contatto fra la tua visione da “nato al tempo delle ideologie” :-) e la mia. Penso, Raffaele, che una volta chiariti i significati che vogliamo attribuire ai concetti di ideologia e di anticapitalismo alla fine ci troviamo sostanzialmente d'accordo.
      Credo di aver capito cosa intendi quando scrivi: “poesia popolare, più carica di emotività che di conoscenza”; come dimostravo anche più sopra, la mia idea è quella di una conoscenza che è anche conoscenza dell'emotività. Una conoscenza davvero a tutto tondo, per quanto possibile, che includa anche gli aspetti dinamici della psiche, che un certo scientismo sta cercando di spazzare via. Inoltre cerco di collocare nel libro dei piccoli stimoli che possano sollecitare una ricerca personale di quel lettore che voglia o possa coglierli, ossia lascio dei possibili stimoli verso la ricerca personale (e quindi critica) di conoscenza. Se volessi trasmettere della conoscenza pura lo farei in un saggio, in una forma più adatta.
      Le mie sono riflessioni in fieri. Avrò bisogno di far “depositare” il tutto affinché emerga un nuovo “senso”, come dicevi, che si manifesti poi in maniera risoluta. Se tu, caro Raffaele, avevi abusato dell'ospitalità di Stefano, ora io credo di averne abusato ben di più :-)
      un caro saluto,
      Andrea Lorenzoni

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  7. Caro Andrea, anche se sono certo che ciò che ci stiamo dicendo non riguarda il piano del personale, sarò il più possibile stringato per non ingombrare troppo questo spazio dall’atmosfera confortevole a cui Stefano dà vita.

    Non credo ci sia che dire: se le questioni identitarie si fanno ideologia è guerra (non dovrebbe essere quello che tocchi qui, per la sua urgenza, il centro dei pensieri del nostro tempo?).

    L’idea di un’identità proteiforme a cui le tue “’costellazioni ideologiche’ opposte”, mi pare, possano riportare… non so, oggi guardo ad ogni tipo di oggetti culturali ibridi, mi sembrano quelli più vitali, plausibili, includenti…pacificanti.

    “…un possibile punto di contatto fra la tua visione” e la mia, è anche quello più certo, solido; lo ha già creato la poesia.

    Riguardo a conoscenza e emotività: se, come ha detto qualcuno, “pensare è innanzitutto decifrare ciò che si sente”, in questo senso la poesia è la forma ultima a cui il pensiero può dar vita (almeno quando riesce bene!).

    Leggerò il tuo libro, augurandomi qualche altro scambio futuro. Grazie ancora a Stefano. Cari saluti
    Raffaele Marone

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    1. Caro Raffaele,
      grazie per queste tue belle conclusioni.
      Un caro ringraziamento a te e a Stefano,
      un saluto,
      Andrea Lorenzoni

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