mercoledì 22 maggio 2013

Alessandra Carnaroli: microantologia





Prefazione di Marco Scarpa

Alessandra Carnaroli ho imparato a conoscerla con la raccolta intitolata “Scartata”, finalista al premio Delfini nel 2005 per poi riscoprirla con il suo “Femminimondo”, edito nel 2011 dalle Edizioni Polimata di Roma. Quest’ultimo libro mi ha fulminato e credo sia un libro destinato a rimanere pietra salda nel micromondo poetico e merita una contestualizzazione appropriata.
Come di consueto vorrei prima scavare tra alcuni scritti precedenti per cominciare a dare una mappatura degli orizzonti letterari di questa autrice.
Tra le pieghe della raccolta intitolata “Scartata” si insinua un germe, un nervo scoperto, “un avanzo tra i denti” come lo ribattezza Alessandra Carnaroli, che tenta di identificare e chiarire un universo di meccanismi inceppati, situazioni compromesse, pensieri e azioni che si consumano, arresi e legati. Qualcosa non procede per il verso giusto e sono forse alcune regole imposte, alcune abitudini generalizzate, l’uniformità dell’agire comune a stimolare la ricerca poetica da cui traspare sia una forma d’analisi ma soprattutto un’indignazione randagia, uno sdegno che non tace. Tornare è parola chiave all’interno dei versi. Un ritorno dalla forma non del tutto definita ma orientato ad un passato, a valori antichi, ad una semplicità maggiore e ne fuoriesce un’indagine desolata ed impietosa verso i tempi moderni. “Ripartiamo terra”, scrive l’autrice, e sembra un invito a caricarsi in spalla quei denti sempre attivi, quei morsi obbligati. Ripartiamo e non strisciamo “fino al bar centrale” dove non rimane che “imbottirsi d’erba e sigarette”. Le citazioni riguardo a beni di consumo (le scarpe adidas, la camicia sangallo, le nike, i jeans, whinny the pooh) sono molte e l’intento pare essere di denigrare questi nuovi oggetti essenziali, esplicitando come siano epicentro attorno al quale ci muoviamo per non allontanarci troppo.
Rimane dunque una matassa di versi  rivoltosi, una tensione ed una indignazione che mostra un’autrice con l’occhio attento verso il sociale e verso quanto accade intorno per cercare una nuova coscienza, forse un rispetto maggiore per sé stessi.
E dunque il passo non è poi così distante verso “Femminimondo”, l’ultimo libro che però si focalizza sul macrotema della violenza che molte donne continuano a subire nei modi più svariati.
“Cronache di strade, scalini e verande”, così identifica questi versi Alessandra Carnaroli e tra le pagine del libro emerge una struttura chiara. Nelle pagine di sinistra poche note attorno ai fatti (realmente accaduti), nelle pagine di destra la poesia fa i conti con le colpe mentre nel mezzo e quindi ovunque si situano le donne.
Scrive l’autrice “raccoglievo articoli di giornale, ritagliavo fotografie di scarpe aperte e piedi duri, inviavo mail, ascoltavo voci di donne che stingono i denti e di donne che li perdono sul pavimento. Ho scoperto che le botte si danno sempre al presente. Che non ti pisciano addosso col congiuntivo. Che quando hai un coltello puntato alla gola la grammatica si spacca, come unghia e pelle. (..) Una cosa è certa. Le mie donne non ce l’hanno fatta.”
Partire da fatti realmente caduti e non essere solo cronaca, sfuggire la banalità, la retorica, in questo è riuscita Alessandra Carnaroli e nei suoi versi non (ci) ha risparmiato nulla. Come d’altronde giustamente deve essere perché le parole possano essere segnali più forti dei colpi inferti e spesso dimenticati. Da questa lettura non si scappa, è dolorosa, nuda e cruda, la violenza riemerge come se non se ne fosse mai andata ed è ripugnante quanto scritto ma incute pure rabbia, consapevolezza, voglia di resistere. Questi versi non si innalzano, rimangono bassi, ruotano attorno al presente e non mostrano un orizzonte nuovo, un domani felice. Questi versi non celano il lato buono, la libertà acquisita né fanno intravvedere certezze e rinascite e così facendo ci lasciano immersi dentro questa realtà, entro questi limiti umani, entro questa inciviltà.
Nei testi trovano spazio le vicende più varie, dal padre che stupra la figlia, al romeno che uccide la moglie a coltellate, fino alla minorenne violentata dal branco. C’è l’intero panorama delle violenze qui esposto in cattiva mostra. Accanto a queste violenze, le motivazioni ad esse legate sono spesse tralasciate o rese ancora più improbabili eppure vere proprio perché la ragione sfugge dietro a questi sfoghi, a questi istinti irrefrenabili. Spesso la brutalità pare figlia di una eredità sociale da cui fatichiamo a distaccarcene del tutto, pare quasi “naturale” la predisposizione ad agire con azioni assurde.
Cosa può dire dunque la poesia oltre alla cronaca giornalistica?
La poesia non mostra ma evoca, non spiega ma ripone lo sguardo altrove e d’altronde le spiegazioni servono a poco in questi casi, rimangono i fatti e forse la poesia riesce a scavare oltre la prosa dove qualcosa si perde se siamo di fronti ad una violenza che stentiamo a credere/capire possa accadere a due passi da noi. Lì dove la prosa si sgretola, la poesia tenta di restituire queste immagini crude insinuandosi tra le visioni ed i pensieri che increspano la mente umana in quei frangenti.
Il linguaggio rimane rasoterra, semplice, essenziale, spesso farcito di errori grammaticali quasi a sentenziare che le colpe provengano dall’ignoranza, da una mancanza di cultura, da riferimenti deboli a cui sorreggersi nei momenti delicati. E visto che spesso ci sono bambini di mezzo, la scrittura cerca anche di mimare la voce con parole proprie di un’età infantile, errori comuni come “rompersi i diti” e così facendo ci pare ancora più vicina la vicenda esposta.
Altro dato è la visionarietà quando l’autrice tenta di immaginare cosa possono mai pensare questi uomini quando commettono tali scempi. Immagina così l’uomo che da fuoco alla moglie intento a pensare che ora si scioglie “come la neve sul terrazzo” o l’uomo con la spranga che si interroga:  “lei di cosa si è accorta / non si è accorta di niente / del buco nella testa forse”. Sono pensieri malati, frasi di pazzi, uomini che conservavano il raptus nella testa pronto a colpire e di questo spostamento mentale fatichiamo a rendercene conto. Gli uomini sembrano e sono mostri, appaiono distanti dalla realtà mentre le donne raccontate sono legate alla vita, alla realtà, con i piedi per terra, ancorate al quotidiano eppure il finale è l’inverso, con le donne catapultate nella morte e gli uomini che cercano le scuse e le colpe altrui per le proprie nefandezze.
Anche questo è un altro aspetto su cui Alessandra Carnaroli punge il lettore/spettatore. Parere comune è spesso che le colpe siano anche delle donne, donne che stimolano gli uomini, che si vestono in maniera seducente apposta, donne che invogliano all’istinto animale l’uomo che non sa trattenere le sue voglie. Si leggono tra le righe alcuni pensieri degli uomini: “le donne c’hanno un po’ di responsabilità anche loro”, “delle volte le vanno in cerca”, “allora i mariti si devono difendere / bisogna che fanno capire chi comanda / bisogna che ci sono delle regole”, “no che chiedono subito divorzio”.
E peggio ancora l’uomo italiano, vicino di casa di un marocchino che picchia la moglie, che tra sé e sé mugugna: “loro fanno presto a farsi ubbidire mica come noi / che alle donne le dobbiamo riverire / come alle regine”.
Questo è il pensare comune da cui l’autrice cerca il distacco, cerca lo scontro, tenta l’accusa perché è impensabile che dopo violenze del genere, ci sia ancora qualcuno disposto a credere che “ le donne qualche volta fanno così / la fanno più grossa di quello che è”.


Da scartata (finalista Premio Delfini 2005)


gazza ladra (tesoro mio)


che riprende il lenzuolo nello specchio
-dentro mi guardavi, io cavata
da un buco di letto-
che trascina dal manico borsette
d’amore acido,
crema al cucchiaio:

al cucchiaio le
mie punte storte-
  senza più denti, ora
rimane il davanzale per beccare.

i capezzoli cadono dalle orbite
e perdono un filo di latte:
    coda
intera e luccicante:

fanno il nido sulle gambe
di rami
 depilati, e capelli
saltati nella doccia.

umido frigge
di colate glitter
il cambio degli uccelli, nel cilindro
del cappello:

adesso, a giro, vola un canarino.










 


in buca:



*

butto via il maalox
il liserdol
il famodil
il serenase

e tengo la tua extrasistole
che mi ferma le mani
svuota le orecchie
le mie borse
le strade

e tutte lechiese,
diventa il buco
nel muro di dio,

si riempie d’occhi:




*



40°

secchi
 svisti
  spogliati
   a uno stendino
carico di mezze maniche nike

e tu m’apri allo specchio
la cerniera sul petto
e guardi al contrario il mio cuore destro
ha messo su il seno in proprio adesso
gonfiando le vene in due nodi grassi:

patto caldo tra noi e il boiler,
spie rosse a osservare




(colpi) d’aria


1  
  
   dura la rosa
coi petali girati fra i capelli
 elica
da orecchio
otite in un sol colpo
d’aria
 spruzzo
per fronti
sfregate

d’odore

e schioppi
porpora
puntati sui seni


2

    è perfetta, l’aria;
sbatte le gambe
sui fili tesi
che si telegrafano
fughe di piccioni

   qui sopra materassi a fiori d’autostrada
seduta regina eminflex e ghiaia per lenzuola
due sessi in un’aiuola
  e gomme allacciate ai motori

   addosso respiro di pancia
e colla per fiati mozzi:
cinta ombelicale sul più bello strozza
l’onda di voglie spray
   & morirsi
impiccati
  alle gambe




Da Femminimondo (Polimata 2011)


sette agosto

turistafrancese

violentata

a
dopo serata
a

da

turistafrancese

hai bevuto moltissimo e quindi ti posso scopare
ti metto contro il muro tanto anche io ho bevuto
e te lo metto dentro molto forte perché tanto non senti niente
l'alcol si usa anche per il mal di denti
per disinfettare gli orecchini prima di metterli 
per accendere il fuoco alla svelta
viene il sangue vuol dire che ho rotto qualcosa
tipo la pelle la pancia
forse ho bucato un polmone
allora ti sgonfi
gli occhi ti vanno all'indentro le tette anche
e non sei più bella come prima e sporchi
quindi è meglio se ti lascio qui
e ti trovano domani mattina
quando il sangue ha finito
di farti i capelli come il legno
ti fanno una croce
che non ti stanno neanche bene
eri meglio prima







 *

 

donna 

uccisa 

in casa

sua

da



ho messo le bambine da un parte 
ho lavato i piatti così ero a posto potevo anche vedere la televisione sul divano
potevo uscire dicevo che andavo a buttare via l'immondizia fumavo
invece è arrivato da dietro e io gli occhi dietro ancora non ce li avevo
mi sono venuti dopo sul collo
mi  sono venuti rossi come quelli dei conigli
che ci devono vedere sotto terra
se ci sono le carote
se no muoiono di fame
e le mie gambe
che stanno una a est una a ovest sul pavimento
sono le radici del forno 
le foglie sono cascate un po' intorno
adesso la cappa le aspira insieme all'odore di fungo




*


mercoledì

trenta giugno

uccide

l’ex e l’altra


ne ho fatte secche due e adesso m'ammazzo
scusate se gli ho rotto la faccia
gli ho fatto i buchi
sotto le guance per farci passare l'aria
gli ho tolto gli occhi per non farle invecchiare


è entrato come un rospo dalla porta di dietro io lavavo i piatti della colazione il cane non ha detto niente gli ha mosso la coda l'ha riconosciuto io pensavo adesso questo cosa vuole
vuole fare pace vuole un altro bacio
vuole un biscotto
gli ho appena tirati fuori dal forno
gli do un biscotto e lui dopo va via subito mi lascia stare mi fa tornare
alle tazzine con lo zucchero attaccato
e invece quello si toglie un fianco e me lo punta contro
come se al posto dell'osso
c'è la punta del suo cuore marcio
che butta sangue
e mi scrive sulla fronte
brutta stronza te la faccio pagare
e sotto comincia a passarci un fiume


mia figlia non ha visto niente
lui ha fatto cucù dalla strada come se era un orologio rotto
che segnava l'ora sbagliata
e invece di uscire un uccellino
è uscita la sua mano di ferro
e il becco mi ha bucato il collo
per fortuna che mia figlia non ha sentito niente
hanno suonato appena le otto




Inediti Prec’arie (finalista premio Miosotis D’If edizioni 2011)


Al mercato di ballarò ci porto
Enzo/le scarpe da calcio/un giubbotto del 2008
Pesante col collo
Di finta volpe
Furba
La fornero piange
Sui tagli i sacrifici
Il fornello incrostato di sugo
Il bicchiere di plastica
Mastica
Mio figlio
Uno suola
Rimasta/308
Euro di affitto
Almeno un tetto
Sulla testa
Una seggiola pieghevole
Per risparmiare spazio
Astronauti in assenza
Di stipendio
Vendono
Shuttle
Bombole di ossigeno parzialmente usate
immagine cristo fotocopiata a colori
1 telecomando
collanine



2

fatwa
amina mentina
scartata fresca
mal che vada
lapidata
per gli appunti appesi
tra le braccia (da cap*****o a cap*****o)
copia/incolla
taglia (sullatesta su la testa)
cut(e)&paste
si protesta come
saracinesca come rivolta
che dà sulla piastra come
benda che casca
come peste (un dito in meno
a capo
coperto
(donna) tasca
tu uguale tu marsupiale- tu solo
utero e
dentro pietre-dentro mitra-dentro trita
denutrita in fame d'africa/infame
figa)
sotto
lastra
di polmone scrittoin
tunisino
corpo18



3

Non ci fu dolo
solo
la scomparsa
di un lamento gatto (meahu)
un pezzo di muso
un baffo /vibrissa per ritrovare
l'occhio
compasso (fa un giro su se stesso come orbita e
iperspazio/punto sigma dove accosta il banco
formaggi/ isolati allunaggi
appena pena surgelati
i nervi )
angoli (del viso) al collasso
mezza scatoletta
di umido avanzo
squarta in letale abbondanza
(di schianti)
il quarto di fabbrica
rimasto



Da Annamatta 467 membri (finalista Premio Delfini 2013)


anna mattaspaventa bambini
insegue femmine per strappargli i capelli,
uno a uno o a
ciocche come rametti
di salvia per arrosti amante
di soldati, uomini bestie/ gatti a gattoni
sul davanzale dove l’anna si presta
comecapra sacrificio
per pulire le scale mostre.
gli angoli vespe
altre paturnie

io l’ho vista trascinare col triciclo
una bambina             maira
sul selciato
la madre che gridava e la piccola
diventata scarpa
sfuggita per un soffio alla terza guerra. 

L’arma del Soldato Futuro è il fucile d’assalto ARX-160 in calibro 5,56 mm munito di lanciagranate da
40 mm GLX-160



*


a otto anni mi ha costretto a cantare insieme a lei
"la gallina ha fatto l'uovo"
dopo che mi aveva bloccato con la sua bicicletta
io per evitare il peggio
che magari cosa so mi rapiva mi portava a casa sua
tra lo zucchero i ragni
le sue cosine nel fazzoletto il rossetto
allora ho cantato                                               coccodè


commenta

fategli un videoporno
ma soft
gomma bollente
benzina e fiamme
vetro come figlio
posizionato storto
come parto
come guerra
questa donna
resa collo
resa colla
come merda evasa
nella fanga
si diserta e si deserta
cerca forma di vagina avanza
cerca la sua panza
per ricostruire il mestruo
una digestione apparente
apparato riproducente
sangue e pelle
in avanzato stato interessante
avanzato incessante
di sperma che infesta
diserbo e scordo
signor tenente



14 commenti:

  1. Ciao Stefano,

    POESIA che fa rabbrividire!
    Da uomo/maschio provo anche vergogna.
    A dire il vero provo vergogna tutti
    i giorni che leggo sui giornali la
    sconfitta di un uomo che non riesce a con-
    frontarsi con una donna senza regredire
    allo stadio infantile nelle emozioni
    e a quello bestiale nella ferocia.
    Ne ho parlato non tanto tempo fa con
    una cara amica, commentando proprio un
    episodio eclatante di violenza del maschio
    sulla sua compagna. In uno scambio di sms
    cercavo di darmi una spiegazione del perché
    è quasi sempre il maschio a imporre violenza.
    Senza entrare in dinamiche psicoanalitiche
    troppo complesse - è chiaro ormai da tempo
    che nella libido si esplica anche una certa
    aggressività naturale, un voler prendere, che
    non necessariamente diventa violenza; si sa che la componente libidica del maschio può essere
    stimolata dal combattimento dove eros e thanatos si mescolano: il torero, per esempio,
    'mata' il toro in stato di eccitazione; come si
    sa che c'é sempre un pubblico che scarica queste pulsioni ambigue, primitive, provando
    piacere da spettacoli cruenti - così ho scritto
    all'amica: "La donna ha maggior rispetto per
    la vita perché può conoscere l'attesa di una creatura dentro il suo corpo. Può conoscere
    la fatica e il dolore del farla nascere, e l'affezione che
    si prova per essa. Il maschio non può conoscere
    questo. Deve educarsi all'empatia per riconoscere l'altro e avere un rapporto con esso meno strumentale o di mera convenienza."
    In questo sta una 'superiorità' geneticamente
    predisposta della donna sull'uomo.

    Auguro alla Poesia di Alessandra Carnaroli la
    massima diffusione possibile. E non solo per
    l'attualità del suo 'dire forte', ma anche per
    il suo essere, secondo me, autenticamente voce
    poetica.

    Un caro saluto a tutti,
    armando bertollo

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  2. la questione del femminicidio è sicuramente di attualità e quanto tu dici, caro Armando, è assai interessante.
    Sotto il profilo critico, faccio solo un esempio, è altrettanto interessante far emergere la figura femminile dai versi della Carnaroli, vedere come lei la trasforma in oggetto lacero, il corpo in funzione, in macchina malmessa. Capire quanto queste sue donne assomigliano agli uomini di beckett.

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  3. il tema mozzafiato e lo stile qui coincidono perfettamente. Mi rallegro di avere scoperto una poeta tanto originale e potente. Non capita tutti i giorni,davvero.
    Molti complimenti ad Alessandra Carnaroli e a Stefano Guglielmin che ce l'ha presentata nel suo blog sempre stimolante.
    lucetta frisa

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  4. Marco Scarpa23/5/13 23:48

    Grazie a Stefano per aver ospitato la mia presentazione scritta per Alessandra Carnaroli e giusti onori ad una tra le autrici più interessanti e incisive di questi giorni ancora assurdamente incivili in alcuni momenti.

    Quando Alessandra Carnaroli si carica sulle spalle, sugli occhi, in testa queste vicende, riesce a dire dei traumi e delle spaccature mantenendo viva la brutalità e nello stesso tempo l'assurdità di alcune azioni.

    A me sembra un esempio chiaro di come uno stile riconoscibile sia strumento in funzione del testo, lo arricchisca lasciando in secondo piano l'ego dell'autore, all'interno di tematiche schiacciasassi.

    Marco

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  5. attualissima voce originale che ho incontrato qui sul blog di Stefano. Qualche brivido lungo la schiena, complimenti ad Alessandra Carnaroli.
    Fabia Ghenzovich

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  6. Ringrazio per gli apprezzamenti. Vorrei rispondere al signor Armando, ad Armando, se posso: porre la questione della violenza sulle donne in termini genetici sposta l'attenzione da una delle cause principali che generano la stessa, direi quasi la causa e ne determina l'impossibilità di trovare una soluzione. Riduco la sua osservazione ai minimi termini, per semplificare: definendo i maschi geneticamente inclini alla violenza e le donne geneticamente più sensibili e accoglienti si rischia di cadere in due stereotipi sessisti che generano antagonismo e confinano entrambi in due angoli distinti, separati, senza possibilità di comunicazione e risoluzione. Sono convinta invece che il problema sia culturale. Una cultura patriarcale che da sempre confina la donna in casa, relegandola ai ruoli di cura, impedendone l'autodeterminazione, la possibilità di scelta, riducendone la molteplicità di persona a due modelli imposti: angelo del focolare o eva tentatrice. La nostra cultura, così come le istituzioni, la religione, le leggi, i media contribuiscono ad oggettivizzare la donna, renderla cosa da tutelare, isolandola in casa o da sfruttare trasformandola in oggetto sessuale in entrambi i casi riducendo il suo corpo in un campo di battaglia per guerre legali, religiose e civili. La violenza sulle donne scatta infatti quando questa decide di auto determinarsi (di volere cambiare il suo stato, il ruolo assegnatole: aborto, divorzio, separazioni, scelta di trovarsi un lavoro, di diventare indipendente: il 70% delle violenze avviene per mano di un familiare o di un ex). Dobbiamo promuovere una nuova educazione di genere, una nuova educazione affettiva che tenga conto dell'unicità della persona prima del suo essere maschio o femmina, promuovendo la libera scelta, l'autodeterminazione, il rispetto dell'altro (un rispetto non solo "fisico" ma anche linguistico, economico, legale, è una battaglia a 36o°: non corriamo il rischio di trasformala in una sorta di predeterminazione, di status quo immodificabile) Non confiniamola in una lotta tra i sessi: è una questione culturale e solo in quest'ottica può essere risolta, con l'impegno di tutti per combattere gli stereotipi sessisti, gli abusi di potere, le discriminazioni che colpiscono metà del genere umano. Grazie ancora per questa conversazione, alessandra.

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  7. a Stefano, ad Alessandra,

    ho un po' di tempo e sono qui anche oggi.
    Hai lanciato un interessante spunto citando Beckett.
    Ieri, innanzitutto,
    sono stato colpito dalla 'freccia' che viene lanciata
    da Alessandra. La donna lacerata della sua poesia ha
    delle connotazioni precise e concrete che portano l'attenzione su chi sta davanti al 'corpo' lacerato.
    A chi lo guarda, a chi lo lacera. Il corpo è ora
    scrittura, ma la scrittura rimanda al corpo vivente realmente violato. E l'agire che lo ha violato è azione
    del maschio, ha una connotazione precisa che non può
    non chiamarmi in causa.
    L'uomo di Beckett si lacera, si rompe, si inceppa a
    partire da sé stesso, nel momento in cui prende coscienza della sua materialità psico-fisica destinata
    a una lenta, inevitabile, dissoluzione. Materia cosciente di essere materia che diventa parola 'cosciente' di essere parola, spogliata fino
    ad essere 'nuda': un discorso senza trucco, come un corpo non più giovane che si mostra così com'è; un
    discorso senza prospettiva né retrospettiva, lasciato
    in un presente sospeso, che ripete il suo accadere
    come il motore in folle che gira senza muoversi, gira
    -come si suol dire- a vuoto. Il problema dell'uomo di Beckett è oltre le sue possibilità, non ha soluzioni
    concrete, segue biologicamente la legge dell'entropia.
    La donna della poesia di Alessandra, si trova
    in una condizione che, come lei puntualizza rispondendo
    al mio commento, può trovare una soluzione concreta, qui
    e ora. La soluzione che la stessa autrice indica è culturale, e concordo con lei in questo. Però vorrei
    ricordare che la cultura è conoscenza. Conoscere le differenze di 'funzionamento biologico' tra un maschio
    e una femmina, non significa, almeno per me, scavare un
    solco tra due polarità inconciliabili, tutt'altro. Le differenze sono quegli spazi di possibilità dove è possibile incontrarsi e completarsi. Ma questo avviene,
    come nell'incontro tra culture, proprio a partire dal riconoscimento reciproco della propria alterità. Là inizia il dialogo, lo scambio, la relazione, la crescita. E questo incontro che io auspico, e nel mio
    piccolo cerco di applicare ogni giorno, deve essere alla pari, non condizionato da pregiudizi, che sono cosa
    ben diversa dal riconoscere le differenze naturali.
    E chiaro però, cara Alessandra, che il cammino da fare, purtroppo, è ancora tanto. E più da parte maschile che
    femminile.

    Buona Giornata a voi
    e a tutti i lettori di blanc,

    armando bertollo


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    1. Grazie Armando, considerazioni davvero interessanti e pertinenti, le tue.
      un caro saluto!

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    2. Credo che il rapporto con l’Altro (in quanto appunto altro, diverso, da sé) sia sempre problematico proprio perché non è determinato dalla biologia né dal genere, non è geneticamente scritto né scientificamente misurabile. Questa differenza fondamentale viene purtroppo vissuta non come ricchezza ma come aggressione, sfida, minaccia spesso impossibile da sopportare. La donna viene culturalmente idealizzata o diffamata (angelo del focolare-sacra madonna e madre- o eva tentatrice, puttana) e la violenza scatta quando da oggetto diventa soggetto, quando cioè sceglie di rifiutare questi due modelli imposti: più l'autodeterminazione della donna aumenta, più l’uomo perde i suoi riferimenti culturali e sociali. Il suo ruolo di tutore e protettore viene meno, la sua identità vacilla: sentendosi minacciato il suo "agire" nei confronti della donna diventa abuso di potere, violenza. è necessario quindi superare culturalmente, politicamente, socialmente i generi così come da sempre intesi e tramandati, come imposizioni e stereotipi, e ritrovare un modo nuovo di relazionarsi all'altro, paritario e non discriminante, tra soggetti capaci di auto determinarsi e di rapportarsi, agire insieme con amore. Alessandra

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    3. Ps, in tutto questo aggiungo il ruolo delle Istituzioni che purtroppo diventano complici della violenza sulle donne promuovendo stereotipi sessisti e non coordinando azioni culturali e politiche tese a combattere la violenza stessa attraverso un educazione affettiva e di genere capace di superare le discriminazioni e di riconoscere l'altro, il diverso da sé come soggetto (e qui penso non solo alle donne ma a tutte le altre "minoranze": bambini, immigrati, trans, bisessuali, omosessuali, prostitute). Sono necessarie quindi azioni di sostegno e promozione culturale, sociale, economico, legale e religioso perché la parola, intesa come relazione, prenda il posto della violenza e dell'aggressione. Alessandra

      Elimina
  8. Marco Scarpa25/5/13 15:08

    Alessandra dice bene quando scrive:
    "Dobbiamo promuovere una nuova educazione di genere, una nuova educazione affettiva che tenga conto dell'unicità della persona"

    Fare poesia come la fa e la sa fare Alessandra Carnaroli non è e non rimane solo un esercizio di stile, una evocazione di una vicenda, non rimangono solo immagini che penetrano ma sono gesti/azioni queste parole, sono poesia civile nel senso che non solo scoperchiano ma pure pretendono dal lettore una presa di coscienza senza mezzi termini.

    Perché poi la domanda rimane: quanto riesce la scrittura a influenzare profondamente chi la legge? Quanto essa può essere e quanto magari deve essere strumento oltre la referenzialità dell'autore?

    Marco

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  9. Lasciano il segno e fanno male.
    Grazie.
    vincenzo celli

    RispondiElimina
  10. Cara Alessandra,

    spero che tu abbia intuito, da quello che
    ho scritto, che condivido e sottoscrivo
    totalmente quello che puntualizzi con tanta
    precisione. Si dovrebbe iniziare
    a divulgare meggiormente, per esempio, assieme
    alla tua poesia, anche
    il pensiero di Luce Irigaray.
    Se ci fosse meno spazzatura pseudo-culturale
    che riempie e trabocca da ogni parte, meno
    spettacolarizzazione vuota di cliché logori
    che confondono le menti 'semplici';se ci fosse
    meno eccesso di informazioni che arrivano a saturare
    ogni 'buon senso' del limite. Se l'editoria che
    conta ritornasse a investire veramente in cultura,
    si accorgerebbe che ci sono poeti che scrivono ancora
    cose importanti non solo per sé stessi o pochi intimi,
    ma per tutti, indistintamente. Sarebbe importante che
    poeti, artisti, intellettuali originali e impegnati
    ritornassero al centro dell'agorà mediatica. Vorrei che tutti questi condizionali, diventassero un presente...
    progressivo.

    Un caro saluto,
    armando b.

    p.s. Ti ringrazio Stefano, perché le tue proposte
    permettono di riflettere e conversare come
    raramente avviene.

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  11. Poesia emozionante e interessante, con stile e talento.

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