lunedì 28 gennaio 2013

Rosa Salvia



Rosa Salvia è cugina di Beppe Salvia, del quale ho parlato un paio di settimane fa. La tentazione è metterli a confronto, ma non sarebbe corretto e non gioverebbe a questa poetessa, che ha un bel curriculum alla spalle e che in Mi sta a cuore la trasparenza dell’aria (La vita felice, 2012) riceve le giuste lusinghe critiche sia di Gabriela Fantato e sia di Luca Benassi. Entrambi rilevano la meraviglia tonale dello sguardo e l’ascendenza classica del suo versificare. Ascendenza che Daniele Santoro riconosce «da alcuni aulici lemmi (“agape”,“cinereo”); da certe costruzioni superlative (impreziosite da enjambement come in “bianchissimo buio”); da talune citazioni latine (“amica silentia lunae”); dagli espliciti richiami alla mitologia greco-romana (“nottola di Minerva”, “canto di Orfeo”); da certe descrizioni del paesaggio che non si risolvono mai in semplice bozzetto naturalistico, bensì invece in sintonico luogo dell’anima, come in questa strofa, per esempio: “uccelli d’anima che incidono / il pensiero / piegato al vento sacro della bellezza” dove l’isolata parola “pensiero” è incastonata efficacemente tra due quadri naturalistici». Verissimo. Tuttavia è altrettanto evidente in questo libro l’inquietudine moderna, la percezione che l’equilibrio classico sia per sempre perduto e ora si viva in una dimensione di sofferenza, di prigionia (“una voglia di liberarmi dalle catene / che la vita mia ha prestato»; “non reggo più questo mondo che c’incalza / dentro la furia della sua agonia”). L’io lirico canta il desiderio di liberarsi per raggiungere non tanto la perfezione atarassica, con la quale il neoclassicismo ci ha fatto conoscere gli antichi, bensì l’immersione bruciante nell’attimo, nella vertigine dell’evento che non dura, sino a sperimentare la tensione degli opposti, quel “bacio che sboccia tra la neve / e il sole”. La sensibilità è romantica, e quindi lo scarto versale risulta imprevedibile, dovendo assecondare, prima che le regole metriche, il guizzo dell’anima ribelle. Sotto questo profilo, i richiami alla classicità di Rosa sono di natura intellettuale prima che esistenziale, com’era invece in Beppe; lei sa che l’equilibrio è perduto per sempre (Beppe lo sente sulla pelle), e tuttavia cerca di ricomporlo nel nido pascoliano degli affetti (la seconda metà del libro aduna madre, padre, amici e persino il cane,  che una nota ci ricorda “morto nella mia casa di Roma il 16 aprile 2009 al’età di diciassette anni”, quasi fosse un umano), nelle maestre di vita e di penna (“Cammino in un ronzio di versi / verso la casa di Simone, Cristina, / Emily ed Antonia”), quasi tutte figure tragiche, dalla vita drammaticamente intensa. E lo cerca, infine, nella fede, che qui non si mostra dottrinale e nemmeno in un orizzonte misticheggiante ma, ancora romanticamente, quale altrove di cui sente la mancanza. Nido primo perduto.
L’originalità di questo libro sta nel combinare la pulsione verso il superamento del finito con la definizione di immagini nitide, spesso sostenute dall’analogia (due esempi: “Vedo la morte per un istante / che chiama a nuova vita / come una campana che suona a distesa / sul frutteto sotterraneo”; e: “Aspetto che la luna rossa / scoppi tra le foglie / come un gong gigante”). Qualche debolezza la si deve all’uso di frasi idiomatiche (“E le stelle stanno a guardare”) o scontate (“chiuse nella loro vanità” e “ti scrivo nelle notti insonni”) e talvolta stucchevoli: “Affondiamo la bellezza nel sangue / dello stupore”.
Un passo ulteriore potrebbe venire dall’assimilare la levità di Beppe Salvia, accentuando la relazione fra i suoni nei versi ed evitando il demone seduttivo del discorso pienamente compiuto, che rende chiaro il concetto, ma appesantisce il dettato, la musica che governa la buona poesia, nella quale il lettore ha margine per muoversi e per far proprie le vibrazioni che il poeta lascia sospese.

        



           
            La parola è un’argentea coppa:
            intatti, precisi gli attimi
            si posano –
            è un movimento d’acqua cui è stata
            data forma,
            un diagramma,
            un disegno d’aria sottile –

            E’ armonia dei contrari,
            alchimia della somiglianza –

            oltre, il pensiero muore,
            e tuttavia resta incorrotto
            come un animale pietrificato, o meglio,
            come il cristallo
            corpo luminoso che brilla,
            fermo orizzonte dell’immagine,
            all’incrocio del tempo e dell’eterno,
            enigma del vero.



                                   


            LA FORMA DELLA SORTE

            Corre, corre,
            la forma della sorte,
            stordisce il rumore del tempo
            e mi trascina con sé nella corsa

            volto di cera nel centro d’ una giostra
            concentrato sul vuoto che senza morte
            mi riempie,

            benda di neve sugli occhi
            lingua di incandescenza e pudore,
            oltre le scienze esatte,
            nell’attesa di sedere all’ombra d’un albero d’olivo
            e restare sospesa
            in un bianchissimo buio che raggiunga la pace

            con le parole e i gesti di coloro che amo.



                                       …    


            Spira il vento e non dà frescura –
            le piante si mutano in molluschi,
            l’arenaria si sbriciola,
            un gabbiano morde il fumo coll’ala
            e s’inabissa,
            una biscia strisciante lecca l’acqua –

            all’ombra d’uno scoglio vaneggio,
            qui può stancarsi la malinconia
            perché mi sono dispersa e il mio grido
            s’agghiaccia nella calura estiva,
            mi conduce come un fuoco fatuo
            in cale senza via d’uscita.

            Adagio, verso il mare, una madre
            col bambino al petto
            sventola il pareo bianco della sposa.

Tra il mio viso e il suo viso quella forma
            di bimbo tenera si profila e si cancella.



                                   


            Fuggire in un vuoto del tempo

            fra atomi d’essenze
            in un vortice alato senza senso
            finché il cielo regga al tuo peso
            poi si chiuda alla notte e t’abbandoni.

            Tornare alla vertigine dell’acqua
            scindendo il desiderio in due
            come una mela,
            grano di muschio invisibile
            nei pori della pelle,
            vigna, seminato, orto.

            Sposare la vita con la morte
            col pensiero vicinissimo a ciò
            dove il suono si mescola alla luce

            al bacio che sboccia fra la neve
e il sole



                       




Fra merletti di pietra
il mare
ingovernabile nella sua
 mutevolezza
cola come un filo di sangue
e lambisce i miei piedi nudi
che calcano il tuo sonno in
quell’altra vita ora sommersa



            …       



DUE PICCIONI ARGENTINI

Sotto un angolo del mio balcone
due piccioni hanno fatto il nido
due piccioni argentini
battito di vena viva
fra mura di silenzio.

Quando li sento tubare
scandire il ritmo dell’aria
          in un fruscio
una mano di luce
mi trascina sulla scia
di memorie di talamo

nella balugine
del bacio fino al cuore

puro
come il canto di Orfeo
che nelle terre di Tracia
ammansiva le fiere.



                       


ISABELLA


                                    Alla poetessa lucana Isabella Morra


Là dall’onda arrabbiata i pescatori tornano a riva
con le loro vele gonfie di vento
i volti arsi dal sole.
Tirano in secca una barca che si chiama
Isabella,
la corda bagnata scorre fra le loro dita e cade
sulla sabbia lambita dalla schiuma
formando misteriosi disegni che fissano lontano
come lo sguardo di Isabella simile
all’aria senza respiro accesa dalle stelle
che il mare mescola alla matassa della sua penombra.

                                                                                               


Rosa Salvia, lucana di origine, vive a Roma dove insegna Storia e Filosofia in un liceo. Ha pubblicato due romanzi brevi: La parabola di Elsa e Fermagli, e il lungo racconto Nihada,  nonchè le raccolte di poesia Intemittenze, Aletti, 2003; Luce  e Polvere, Aletti, 2005;  Le parole del mare, a LietoColle, 2007.  Ha ricevuto riconoscimenti in numerosi concorsi letterari e fra le poesie qui presentate A tutte le donne del mondo e Il mio corpo senza utero sono state premiate nella sezione inediti rispettivamente  al Premio Internazionale Nuove Lettere,  2008 e al Premio letterario Le donne   raccontano, legato alla Fondazione medica del prof. Umberto Veronesi, 2009.

30 commenti:

  1. Ti ringrazio Stefano per questa bella recensione che mette a fuoco il senso della mia scrittura. Voglio solo precisare una cosa. Posso essere d'accordo con te quanto a Cronin, mio amore giovanile con la Austen e altri. Quanto invece al verso: "affondiamo la bellezza nel sangue dello stupore" è evidente il richiamo alle passioni di Saba: "sono fatte di lacrime e di sangue e d'altro ancora". Per me lo stupore è l'espressione più limpida della passione. l'amore sul nascere ci stupisce, come ci stupisce una poesia, un paesaggio, un quadro. Ciascuna cosa bella ci sorprende, entra nella nostra pelle, nel nostro sangue, ci rimane dentro. Peraltro la parola sangue ritorna spesso nei miei versi, perché tutto ha inizio dall'utero materno. Rosa Salvia

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  2. gentile Rosa, a proposito del verso sul "sangue": secondo me lo stucchevole deriva da fatto che usi, ravvicinate, 4 parole dense di significato emotivo: affondare, bellezza, sangue, stupore.
    Saba, nel passo che citi, ne sua 2: lacrime e sangue.

    a proposito del "sangue": è una parola di cui si abusa nella poesia di oggi, specie da parte dei principianti. Hai tuttavia ragione a sottolineare che nella sensibilità femminile esso acquista una valore differente e, credo, inalienabile dalla parola delle donne.

    ciao!

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  3. Stefano non mi piace questo gentile Rosa, troppo formale, distaccato. Chiamami soltanto Rosa. Dunque, ho compreso il senso della tua affermazione: eccessivo carico emotivo riguardo ai versi sopra-citati! Hai ragione! Mi convinco ancor più che la poesia sia anche un duro certosino lavoro di cesello. Il poeta romano Francesco Dalessandro che apprezzo molto in una sua silloge cita E. E. Cummings: io amo soprattutto quella precisione che crea movimento. Ogni autore di poesia dovrebbe tenere a mente queste parole! Tornando alla mia ossessione per il sangue che peraltro mi ha fatto notare anche Luigi Cannillo, nasce anche da una traumatica esperienza infantile. Vidi a soli cinque anni un uomo accoltellato in una pozza di sangue. Forse il tornare su questa parola mi aiuta a esorcizzare il mio fantasma come anche un altro strumento per me catartico liberatorio è la visionarietà presente in molti dei miei componimenti come osserva anche Claudio Damiani nella nota di lettura alla mia silloge pubblicata da Sebastiano Aglieco nel suo blog: compitu re vivi. Rosa Salvia

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  4. Chiedo venia per i troppi anche!

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  5. rosa gentile, il suo cognome dovrebbe dare garanzie, ma, come si dice? una rondine no fa ecc.: qualche buon verso non basta a far poesia. però l'impegno merita.
    D. Ludovici

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  6. Cara Rosa, rispondo alla tua sollecitazione e mi capita di farlo appena dopo un commento non proprio lusinghiero (peraltro di persona che conosco e che stima la mia poesia quanto te). Che peccato. Sbaglia, credo, a commentare in modo semi-negativo, e senza cause la tua poesia. I versi che pprezza,contrariamente a lui, io penso che siano il segno tangibile che siamo di fronte a un poeta serio, laborioso, intenso, fascinoso, onesto. Quel che penso della tua poesia te l'ho già scritto. Aggiungo che la Fantato ha colto meglio di tutti il senso del tuo poetare. Grazie della citazione inserita nella tua risposta a Guglielmin. Ciao. Francesco

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  7. Mi scuso per aver usurpato la qualifica di "Redazione". Sono appena un "anonimo".
    Francesco D.

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  8. Grazie Francesco per le tue riflessioni, vengono da un poeta e traduttore che soppesa le parole prima di esprimersi e che conosce bene gli ultimi due libri da me pubblicati. Quanto al Ludovici lo invito a leggere il mio libro, altrimenti verba volant... Stimo Guglielmin perché, anche se ritiene opportuno un appunto critico, lo fa a ragion veduta e con equilibrio. Demolire per il semplice gusto della polemica a vuoto, è sterile e piccino. Rosa Salvia

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  9. l'appunto critico è insito allo spirito di Blanc ed è sempre finalizzato a sostenere una poetica. Se questa non c'è, su Blanc non ne parlo.

    Sul "sangue visto": il vissuto entra sempre in poesia, specie quando passa per ferita. Del resto, senza ferite non si scrive (e nemmeno si vive). Chi dice che ha una vita ordinaria, mente. Sanguineti, per esempio, aveva una vita interiore vulcanica, pur vivendo da piccolo borghese.

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  10. ecco, sì, io non avrei saputo dirlo così, ma concordo con gli appunti mossi nella presentazione..

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  11. Io sono una cara amica di Rosa, nonché collega. insegno matematica, ma la poesia e la musica classica mi hanno sempre affascinato. Voglio soltanto dire che leggendo il libro di Rosa ho provato sensazioni intense, ho cominciato a ricordare i miei sogni, cosa che non mi succedeva da anni. e ogni tanto ripenso a parole che mi sono rimaste impresse nella mente. Grazie Rosa. Manuela Falcolin

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    1. penso che la poesia, la musica e la matematica siano sorelle che conoscono il limite, lo rispettano m anche lo provocano, mai contente.

      grazie per li commento.

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  12. Che bella sorpresa, Manuela! Grazie a te! Mi dicesti già a voce quel che hai scritto, ma sei stata così carina da riportarlo sul blog. Per me le tue parole valgono più di qualsiasi lusinga critica. Mi fanno sperare che non è poi così vero che la parola sia in estinzione,che magari informa, ma non trasmette più. Qualche fiammella è ancora accesa. Quando ci vedremo fuori dal lavoro mi dirai dei tuoi sogni. Quanto a me...sai bene che la matematica resterà sempre una brutta bestia da pelare! Un abbraccio, Rosa

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  13. Bella la tua riflessione Stefano! Colgo le tue radici filosofiche. Rosa

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  14. Sono stata anni fa collega di storia e filosofia di Rosa, poi anche di Daniele Santoro. Con Rosa ci vediamo spesso tuttora. Qual è l'aspetto più bello, più interessante della sua poesia? L'ha messo in luce Daniele nella sua recensione pubblicata da "la poesia e lo spirito": la leggerezza e al contempo l'elemento roccioso, magmatico che secondo me rispecchiano molto della personalità di Rosa: fragile delicata in alcuni momenti, forte e determinata in altri. Ciao, Rosa e un saluto a Daniele se hai modo di sentirlo. Daniela Moauro

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  15. Cara Daniela grazie per aver risposto alla mia sollecitazione. Ti saluterò Daniele e gli dirò del tuo commento. So che stai invogliando vari colleghi a leggere il mio libro e te ne sono grata. Ad incontrarci presto, spero, ti abbraccio, Rosa

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  16. salvatore30/1/13 22:46

    Desidero trascrivere una poesia di Rosa che per me è fra le più intense perché i versi nascono da una emozione profonda, dalla sensazione della caducità delle cose, della solitudine senza conforto, cui sembra alludere l'immagine delle gocce d'acqua come sguardi gettati invano nella speranza di un comunicazione impossibile:
    Guardo le gocce d'acqua
    che scorrono giù per il vetro
    ove batte la pioggia

    non cadono verticalmente,
    sembrano api dubbiose
    che deviano a destra, a sinistra,
    giocano, danzano, ruzzolano,
    insinuandosi,
    arrestandosi, ripartendo,
    come se cercassero qualcosa,
    respirando il loro sommesso alito
    profumato di miele -

    ma nulle esiste
    che le contenga:
    il crepitio veloce della sorte
    scivola via insieme a loro
    fra colpi di foglie ruvide di giallo
    come reti sbrindellate,
    fisse a una distanza,
    al cielo,
    che s'assorbe insensibilmente
    nella notte,
    mentre sola nella buia pineta
    la ghiaia dei viali rimane così bianca
    da sembrare il dolore del mio volto
    che muta.[...] Salvatore Graziosi

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  17. Grazie per il tuo bel commento Salvatore. Colleghi dello stesso corso alcuni anni fa, tu severo insegnante di Italiano e Latino, io con le mie "belle" lezioni di filosofia...
    Che dire ancora? Buona scrittura anche a te, Rosa

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  18. Ho letto con interesse la recensione di Stefano che, peraltro, ringrazio per avermi citato a proposito dei riferimenti classici di cui è permeata la poesia di Rosa; richiami alla classicità non per mero sfoggio, aggiungerei, quanto per congenialità e sensibilità. Ancora una volta i miei complimenti all’autrice. Chiaramente, l’occasione è per salutare anche la cara collega Daniela Moauro e ringraziarla delle sue belle parole! Un saluto a tutta la comunità di “Blan de ta nuque”. Daniele Santoro

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  19. Grazie Daniele per le tue riflessioni sempre così precise. E' vero, certi riferimenti classici, dopo tanti anni di insegnamento, li ho interiorizzati e vengono fuori spontaneamente. Meno male, aggiungo, altrimenti correrei il rischio di diventare pedante e addio poesia! Daniela sarà molto contenta di ricevere i tuoi saluti, ti ricorda con tanta simpatia. A presto, spero, Rosa

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  20. Mi sta a cuore la trasparenza
    [dell'aria.
    E'dolce raccoglierla come
    la porzione estrema
    di un destino comune
    quando il mare gonfia lento,
    si pavoneggiano le vele
    e il giorno si fa più leggero.
    Mi è bastato leggere questi versi
    per capire che valeva la pena continuare. Una lettura che mi ha rasserenata nonostante la complessità di alcuni temi. Grazie! Vincenza Di Cola

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  21. Grazie a te! Sono particolarmente contenta perché queste parole sono di una donna dolce e sensibile che ama e coltiva la poesia. Auguri di cuore! Rosa

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  22. Desidero ringraziare Stefano per la sua ospitalità e la sua attenzione, Rosa

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    1. grazie a te per avere accettato l'ospitalità.

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  23. Prima di tutto ringrazio Rosa per la sue acute riflessioni sul saggio che ho scritto con Vittorio Prinzi "la massoneria in Basilicata" come anche per avermi inviato il suo testo di poesia che ho letto con vivo interesse. Mi è piaciuta la prefazione della poetessa Gabriela Fantato e aggiungo che secondo me nella poesia di Rosa la metafora che unisce tutte le parole chiave è quella dell'acqua, dell'acqua sorgiva, come anche nel suo libro precedente. E' una poesia liquida quella di Rosa, prorompente e limpida. Complimenti! Tommaso Russo

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  24. Non conosco questa poetessa, ma quando posso amo visitare i blog di poesia e in particolare questo di Stefano Guglielmin che ci propone tante voci interessanti e talora di alto livello. Di questa poetessa ho trovato davvero bella l'ultima poesia. Francesca Corona

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  25. Dopo il tuo sms sono corsa a vedere il tuo commento preside Russo... Grazie per gli apprezzamenti anche nei confronti della Fantato che è una poetessa di notevole livello. Quando verrò a Milano, speriamo di poterci vedere. Grazie anche a questa sconosciuta che mi fa piacere apprezzi Blanc. Corona? Quando insegnavo all'Azzarita alcuni anni fa mi pare di ricordare un'alunna di cognome Corona particolarmente portata per le materie umanistiche . Mah! Forse una coincidenza.

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  26. Mi sembra che il lavoro di Rosa Salvia , anche nei momenti di "esuberanza" semantica , non rischi le trappole retoriche del sentimentalismo e dintorni , ma privilegi il sentimento per quello che merita il suo respiro onnicomprensivo , laddove l'ego non si autocelebra ma fa esperienza del sé / del mondo e la descrive .
    In questa gestione dell'effusività credo risieda il dato distintivo più vistoso dei testi presentati , per i quali ringrazio sia Rosa che Stefano .

    leopoldo attolico -

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  27. Grazie Leopoldo e scusami se ti rispondo con tanto ritardo. Mi fa un immenso piacere leggere le tue riflessioni sul mio impegno a favore della poesia. Sai bene quanti siano i miei dubbi e i miei perenni interrogativi perché oggi è veramente difficile riconoscere una poetica autentica. Io faccio fatica a parlare di me stessa come "poeta", mi sembra una parola troppo importante e spesso enfatizzata. Io provo a scrivere in un linguaggio semplice, il che non vuol dire facile, perché vedo troppa verbosità e artificiosità intorno a me. L'arte dovrebbe essere equilibrio fra forma e contenuto, ma vedo spesso un eccesso di forma, di astrattezza e poca chiarezza, poca concretezza forse anche per quella che io chiamo la crisi della parola che comunica, informa, ma non trasmette. Se penso alla tua poesia o a quella di Vito Riviello provo perciò una grande nostalgia.

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