giovedì 7 giugno 2012

Pasquale Rotunno: Linguaggio, miti letterari e neuroscienze



Per il poeta lo scrivere è sempre una scommessa rischiosa. Tanto più oggi, sommersi come siamo da parole fantasma, parole consumate, usurate, inessenziali. Il frastuono dei mezzi di comunicazione vecchi e nuovi c’inonda di parole coatte, ripetitive, vanamente ciarliere. Il parlare del poeta è divenuto sempre più un parlare contro le parole. La poesia, ha scritto Roland Barthes, è “il linguaggio stesso delle trasgressioni del linguaggio”. E Jean-Paul Sartre ha rilevato: “L’oggetto letterario, quantunque si realizzi mediante il linguaggio, non è mai dato nel linguaggio; è invece, per natura, silenzio e contestazione della parola”. Il poeta tortura le parole per restituire loro autenticità e forza. In uno dei suoi aforismi più celebri Karl Kraus afferma: “Il mio linguaggio è la puttana di tutti che io rendo vergine”. Questo è quanto fa ogni poeta attraverso sapienti cortocircuiti linguistici. Se, beninteso, l’ispirazione anima i versi. Cosa che non sempre accade. Per questo l’ispirazione poetica è stata a lungo considerata qualcosa di inafferrabile. Più simile a un fenomeno mistico, che ai processi intellettuali naturali. Tanto da spingere la poesia ai margini dell’orizzonte culturale contemporaneo. Dominato dai canoni della funzionalità tecnico-scientifica. A gettare nuova luce sull’enigma della creazione letteraria giunge l’ultimo libro di Albero Casadei, ordinario di Letteratura italiana all’Università di Pisa, “Poesia e ispirazione” (Luca Sossella, 90 pagine, 10 euro).

Il mondo antico considerava i poeti come mediatori con il divino. E a questo mito resta legata la nostra immagine della poesia. Continuiamo a considerare la parola poetica estranea al discorso comune. Perché in grado di attualizzare potenzialità del linguaggio normalmente non impiegate o non prese in considerazione. Dovremmo però, avverte Casadei, “rifondare le nostre idee sul linguaggio poetico”; sulla base delle nuove conoscenze sul funzionamento della nostra mente offerte dalle scienze cognitive. Certo, le opere letterarie tendono a diventare prodotti del circuito informativo mass-mediatico. In questo contesto alla poesia come “ispirazione” e come “forma” di conoscenza sembrerebbe restare poco spazio. Eppure gli sviluppi più recenti della linguistica cognitiva ipotizzano un “isomorfismo metaforico” tra mente e poesia. Biologia e cultura diventano così entrambi indispensabili. Per cogliere, ad esempio, il valore universale della ritmicità poetica. Gli studi più recenti di neurolinguistica e di genetica mostrano, infatti, che la modalità dell’agire chiamata “poesia” costituisce una forma basilare del rapporto umano con la realtà. È possibile in tal modo
connettere campi un tempo separati, come la scienza e l’estetica, in rapporto alla creatività ma anche alla fruizione artistica. La poesia, rimarca Casadei, si rivela in grado di “impiegare l’insieme delle componenti cerebro-mentali e culturali, nella loro reciproca interazione”. Il problema che si pone oggi è dunque quello di come far interagire il sapere poetico e quello scientifico. Senza cancellare la tradizione. Perché, anche in una cultura globalizzata, restano fondamentali i grandi autori che hanno creato una forma del reale significativa: Omero, Dante, Shakespeare, Baudelaire, Holderlin. La nostra idea di bellezza corrisponde a un insieme pluristratificato. Il passato non viene cancellato, come tenderebbe a far credere l’attuale sistema della comunicazione, ma “può riemergere nel singolo, in quanto rappresentante del genere, in modi non razionali”. Tale riemersione è il fulcro di tanta poesia otto-novecentesca, incentrata sul tema della memoria. Nella prospettiva suggerita da Casadei, la poesia può “aprirsi a una comprensione del reale non contro ma in parallelo alla conoscenza razionale”. Rompendo le gabbie delle specializzazioni, pure ormai inevitabili in ogni ambito del sapere. Non spetta certo alla poesia “rifare il mondo”. Tuttavia, il rapporto con le componenti “genetiche”, anteriori, ma non incompatibili con la razionalità, spinge “a collegare o a sovrapporre o a fondere elementi e strati prima tenuti distinti”. La poesia sembra davvero più impura e fisica, che pura e intellettuale. Alfred Housman la definisce quasi una “secrezione” addirittura morbosa; ma “come la perla nell’ostrica”. Il poetico non è più qualcosa di magico e misterioso. È piuttosto, come il nostro Dna, qualcosa in perenne divenire. Se Rilke accostava l’ispirazione poetica al “respiro che diventava ritmo”; oggi potremmo definirla “pensiero cognitivo che si estrinseca nel ri-creare il linguaggio”.

Pasquale Rotunno
Martedì 06 Ottobre 2009

13 commenti:

  1. Ci sono molti spunti di riflessione in questo articolo.
    Ad es. questo; “ Eppure gli sviluppi più recenti della linguistica cognitiva ipotizzano un “isomorfismo metaforico” tra mente e poesia” che assomiglia alla teoria di Lakoff sulle “metafore neurali” come origine e fonte dei concetti matematici,
    così come: “La poesia sembra davvero più impura e fisica, che pura e intellettuale. “ assomiglia quello che va dicendo ancora Lakoff sulla matematica che non può essere fondata che “sulla carne”.

    Un discorso similare si può fare per l'ispirazione, che è il tema del libro al quale si fa riferimento. Ho qualche perplessità su questa affermazione: “Per questo l’ispirazione poetica è stata a lungo considerata qualcosa di inafferrabile. Più simile a un fenomeno mistico, che ai processi intellettuali naturali. Tanto da spingere la poesia ai margini dell’orizzonte culturale contemporaneo. Dominato dai canoni della funzionalità tecnico-scientifica.” e, di conseguenza, su quest'altra: “In questo contesto alla poesia come “ispirazione” e come “forma” di conoscenza sembrerebbe restare poco spazio”,
    nel senso che non credo sia l'ispirazione (in quanto fenomeno “mistico”) a tenere “ai margini dell’orizzonte culturale contemporaneo” la poesia. L'ispirazione infatti è ben conosciuta dalla scienza, è un processo, magari non indagato in quanto tale, ma certamente noto e desiderato dagli scienziati. David Hilbert (giusto per non riportare il solito Archimede) un giorno nell'inseguire un'ispirazione cadde per strada..
    Semmai credo che in ambito scientifico gli si contesti una qualche forma di conoscenza..ma di tipo scientifico, cioè essenzialmente su come Dio o la Natura- abbiano fatto il mondo (su come “funziona”), non sul perché l'abbiano fatto così (o sul perché l'uomo lo viva così...).
    Mi appare allora grandemente importante il passaggio: “Gli studi più recenti di neurolinguistica e di genetica mostrano, infatti, che la modalità dell’agire chiamata “poesia” costituisce una forma basilare del rapporto umano con la realtà.” E questo è il punto, unito a quello che “Non spetta certo alla poesia “rifare il mondo”” e a quello che “la poesia può “aprirsi a una comprensione del reale non contro ma in parallelo alla conoscenza razionale”;
    insomma, infine, tenere presente che è auspicabile sì l'incontro (quando si parla di bellezza, per es, in matematica ci si incontra...) e pure in certi punti l'ibridazione, però che i piani, sarei tentata di dire di immanenza, restano, a mio avviso, diversi.

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  2. e perché la poesia non può ri-fare il mondo?
    e può essere un processo intellettuale, qualcosa di naturale?
    e che cos'è il linguaggio poetico?
    così, per dire.

    un abbraccio

    alessandro ghignoli

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  3. Alessandro, sai benissimo che le risposte alle tue domande, fatte "così, per dire", hanno già riempito le biblioteche di tutto il mondo!

    io credo che prendere sul serio la "Critica alla ragion pura" riguardo la possibilità della conoscenza necessaria e universale e il "che cosa" conosciamo, non sarebbe male.

    Così come approfondire la "modalità dell'agire" in poesia credo sia necessario, per uscire dalla sacralità in cui è relegata. Sacralità che è una delle ragioni per cui è temuta.

    Grazie Margherita per aver esso il luce i punti forti del discorso e aver sottolineato la tua, condivisibile, posizione.

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  4. stavo pensando all' "orizzonte culturale contemporaneo", ora, non so se la poesia ne sia ai margini per via della predominanza della tecnica, anzi credo che rispetto all'orizzonte strettamente culturale non sia così (la scienza è ancora più marginale..).
    E' l'orizzonte contemporaneo che non è culturale o, perlomeno, culturale nel senso che vi si associa per tradizione. Qui sì - forse -è fra gli imputati la tecnica (ed è il caso di distinguerla dalla scienza, anche se ne è derivazione)


    Per quanto riguarda le domande, così per dire :), di Alessandro, altrettanto per dire
    direi
    che la poesia, come qualunque arte, "fa", crea, e dunque cambia non solo la materia così plasmata, ma anche il "plasmatore", nonché chi non è plasmato direttamente (per es. il lettore), dunque un mondo,... "IL" mondo mi pare un po' troppo
    che la poesia sia un processo "naturale", intellettuale o viscerale o altro che sia, mi pare... ovvio, non esiste niente, almeno per me, fuori natura
    la domanda 3 non fa per me:), la passo...

    Un caro saluto, il saluto che avevo dimenticato

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  5. possibile che un orizzonte umano non si, anche, culturale? a meno che non sia un orizzonte disumano...

    (il resto lo lascio a Alessandro)

    ciao!

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  6. alla prima domanda dico: sì, perché il mondo, può essere il 'mio' mondo.
    alla seconda dico: che di naturale c'è ben poco, il sole, l'aria..., tutto è un processo mediato dalla cultura, e un processo intellettuale non è proprio naturale!
    alla terza dico: rosa, amore, pizza..., sono parole poetiche? ma ancora (così mi faccio un amico ordinario in più!) si parla di linguaggio poetico!? non sarebbe meglio forse parlare di: funzione poetica?!

    un abbraccio

    alessandro ghignoli

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  7. urca, mi sono messa nei guai :)

    Allora:
    Alessandro, dici bene: può essere il tuo mondo e dunque non è ancora il mondo..
    (anche se spesso il proprio mondo lo si fa coincidere con il tutto)
    Gugl, non a caso sottolineavo culturale nel senso tradizionale (di umanesimo tradizionale), certo un orizzonte umano è sempre culturale in quanto tale;
    non sono in accordo che un processo intellettuale non sia "proprio naturale", penso anzi che ogni processo intellettuale, il più imaginifico o astratto, sia cmq "condizionato" dalla propria base naturale, per quanto ad essa sembri arditamente e splendidamente sfuggire. L'ipotesi di “isomorfismo metaforico” tra mente (intesa, da quanto ho capito, anche come struttura biologica) e poesia, di cui sopra, mi pare indichi questo (ma che io penso indipendentemente da questa ipotesi).
    Per il punto 3. sento vicina l'affermazione di Sartre, :"“L’oggetto letterario, quantunque si realizzi mediante il linguaggio, non è mai dato nel linguaggio; è invece, per natura, silenzio e contestazione della parola”. , che vale a maggior ragione, per l'oggetto poesia In particolare mi piace "contestazione".

    Ciao

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  8. con-testazione > fare un test insieme / assaggiare / fare qualcosa con testa / farlo in stazione, là dove si parte. / azione verso est / conte (leopardi): presente! :-)

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  9. sì. gugl, l'hai detto splendidamente! (e al presente) :)

    ri-con-testazione (ulteriore):
    assaggiare con la testa
    là dove si parte...

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  10. Ciao Stefano,
    nel tuo stagno 'getti' sempre 'sassi' interessanti. Ora non ho tanto tempo,
    lo sai, sono in una biblioteca, l'acquisto del mio primo pc è ancora rinviato. Mi limito a lasciare un'indicazione bibliografica, un titolo: "La ragione poetica/Scrittura e nuove scienze" di Gio Ferri, Edito da Mursia nel 1994, un saggio sicuramente noto all'autore di questo articolo e a tutti noi, ma che credo meriti di essere più diffusamente letto e conosciuto.

    Un caro saluto a te, a Margherita,
    ad Alessandro e agli amici di 'blanc'.

    Armando Bertollo

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  11. Grazie Armando per i tuoi contributi. E complimenti per la selezione austriaca: essere l'unico italiano presente non è poco!

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  12. Un post ineccepibile e che mi trova pienamente in accordo.

    Grazie

    Antonio B.

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