martedì 17 aprile 2012

Intervista a Camillo Pennati




Uno de "I quaderni di Hebenon" s'intitola Scritti sulla poesia di Camillo Pennati (Supplemento a "Hebenon", nn.9-10, 2002). Ci sono interventi di: R. Bertoldo, G. Fantato, P. Flecchia, G. Gramigna, P. Lezziero, E. Krumm, G. Luzzi, M. Marchisio, S. Montalto, E. Salvaneschi, ma anche quelli di S. Quasimodo e V. Sereni.

Riporto gran parte dell'intervista di Roberto Bertoldo, direttore di "Hebenon" (pp.30-33).

All'impressione del direttore che la poesia di Camillo Pennati agisca sulla "distinzione tra suono e immagine", tra "fonismo e naturalismo", Pennati risponde:

R. Ogni mio verso, compiuto significativamente in sé, è contessuto di un suo ritmo, di un suo timbro musicale specifico che parimenti si concatena al successivo e così continuando fino alla chiusa di ogni testo. Sono anelli, inanellamenti, ciascuno consistente d'un suo significato (oscuro o no che possa essere o sembrare) e di una sua incorpora­ta o consustanziale assonanza timbrica senza la quale non esisterebbe. La consapevolezza di ciò mi deriva dal lavoro di ripresa e di restauro (in questo caso con cose vecchie o persino di stampa). Ossia quando non soddisfatto di un certo ver­so perché ancora sciatto, trascurato, piatto, incolore, amorfo al significato che vo cer­cando dentro di me perché invece combaci nel suo affiorare al massimo d'una concettiva raffigurazione: in quell'istante di apnea estrattiva tengo la frase tra una sinapsi e l'altra e la lavoro, la rielaboro sempre con un mio 'metronomo' che l'intesse e la trove­rà accettabile, se non specularmente risolta, se non quando collimerà con la sua musi­cale assonanza, col suo ritmo di consistenza e quindi di sussistenza, almeno momenta­nea. Anzi dico che ogni mio testo parte da un attacco o incipit già formulato nel suo affiorare fantastico da una fusione che deve eliminare le intercorrenti dissonanze (o cacofonie) quali 'spie' di un fraseggio non ancora armonico e armonizzato nel suo si­gnificante contenuto. È il ritmo, quindi, come pulsione ed echeggiante suono a decan­tare il verso. Quindi una 'strumentata' vibrazione. [...]

D. Il ritmo, appunto: non è esso il risultato di un diverbio 'risolto' tra suono e imma­gine? E dunque il ritmo delle tue poesie non è andato sempre più a ricrearsi nelle dis­sonanze risolte? E risolte, mi pare, più che altro in una sorta di gruppo irregolare di note, quasi come un ritmo barbaro (intendo "barbaro" nell'accezione carducciana, là riferita alla metrica). E' come se stessi cercando di riprodurre un ritmo che è nel pastiche visivo dell'architettura postmoderna.

R. "Il diverbio risolto tra suono e immagine", "le dissonanze risolte" in cui il mio rit­mo "è andato sempre più a ricrearsi". Certo, dico e aggiungo e sostengo io, ma rite­nendo e desiderando appunto di averli risolti, e in ciò latenti o indecifrabili, al critico, al lettore. E sono cose che tu sai in quanto da me già esplicitate. [...]

D. Io non condivido la tesi di Jameson che il 'pastiche visivo' di una certa architettura sia postmoderno, ma questa sua definizione mi è utile per cercare di rendere più esplicita l'anticipazione musicale della tua poesia. Insomma, l'atmosfera sonora intrisa di contemporaneità, e proprio per questo, se non forse per lo stile, già postcontempora-nea, mi sembra una forma di recupero creativo, e dunque non manieristico, e dunque barbaro, che apre ad emozioni e sensazioni nuove.
Ora, spostando ma non di troppo il discorso, vorrei chiederti: quanto e come ha con­tato, in questo e per questo, lo sforzo di adesione alla terra, affinché «morir non sia / soltanto la fatica d'essere / una vita d'uomo, il transito / pesante sulla terra», come re­citano i bellissimi versi di Quest'ora (in L'ordine delle parole, Mondadori, 1964)? E ancora: oltre a Nietzsche, quali filosofi ieri e oggi nelle tue letture più amate?

R. La mia scolastica traiettoria va dagli Eleati, da me i più amati, e su cui mi soffermai conquiso e di mia sponte, al Leibniz meno preso da elucubrazioni titaniche e forsen­nate, e da autodidatta (secondo la definizione di Contini, dettami a voce, e cioè quanto si apprende in proprio dopo l'Università) il Voltaire del Dizionario filosofico, Nietzsche in parte, quindi i Sufi e poi Bertrand Russell, il Popper di Scienza e filosofia e infine il Wittgenstein delle Ricerche filosofiche, non quello del Tractatus logico-philosophicus, per me troppo lontano, se non in qualche tratto, per poi passare ad interessi più specificata­mente scientifici (anche qui distinguendo tra elucubrazioni creativistiche e osservazioni concretamente scientifiche): botanica, insettologia, geografia, fisica, mineralogia, ocea­nografia, sociologia, ecologia, senza nemmeno sognare di diventarne un cultore.

[...]

D. Ma la tua adesione alla terra può dirsi oggi più estetica che civile? La tua poesia mi pare sia divenuta sempre più avara di chiarimenti, sempre più tesa all'ascolto della bellezza. Inoltre per te la bellezza, la «bellezza sensibile», è ancora ogni segno che è «slan­cio e guizzo» ove convergono «sostanza e forma» (cfr. Sotteso blu, 1983)? A me pare che la bellezza per te oggi non possa essere più, in altre parole, armonia.

R. Il discorso sulla bellezza mi porta a pensare ad un'emozione estetica dall'indifferente e vario configurarsi della fisica immanenza del visibile; ad una conge­nialità biologica che assembla fattezze & tratti fascinosi & ammalianti nei canoni di un'armonia pre-estetica & pre-culturale a se stante però più intensamente percepibile tramite quelli; alla commovente comprensione d'una temporalità & spazialità che doppiamente ci sfuggono poiché non ci appartengono se non nel trapassarle nella consapevolezza di lasciarle senza averle mai davvero & intensamente & corporeamen­te abbracciate; ma tutto mi si sfalda ambiguamente tra l'additarsi del pensiero solo re­stando una ancor più stupita compassione per questa forma d'esistenza che rappresen­tiamo. Quanto a una mia adesione civile, rimando il lettore, bontà sua, a rileggersi la sezio­ne Eros stravolto m Sotteso Blu ove rozzamente intendevo additare alla mia meta, consi­stente nell'abbandonare ogni elucubrante metafisica per la fisica intesa come fisicità di intuizione e di rapporto e di percepente e sensuale comprensione sensibilmente esercitata (a motivo e in opposizione all'ineluttabile nostro impaurente sapere e incubo della caducità, che ci differenzia inesorabilmente per cultura da tutto il regno naturale) quale possibile modo, almeno, di accomunarci al naturale esistere.
Confuto l'aggettivazione di estetica alla mia adesione alla terra, in quanto è un'adesione che più perseguendola mi differenzia dalla natura stessa comprendendone il perdurare cosmico rispetto all'umano durare e la sua connettiva essenza ed essenzia­lità rispetto alle sconnesse vite, non esistenze, degli umani. Estetico, oltre che trasgressivamente morale, nel mio tragitto d'uomo, di pensatore e di scrittore, è certamente il mio desiderio di trasfigurare in versi - sopra quel criminale e dissennato scempio degli umani - la fenomenica bellezza della natura che ignora ogni sua manifestazione in senso estetico e figurale in quanto è e non ha necessità di dirsi, si pensa in sé e di sé senza esternazione, si esprime nella sua essenza, non nel tradursi, che è solo un eserci­zio e dell'estetica e d'una inseparabile distanza d'estasi. Sapendo come la natura non sappia che farsene, ignorandoci, del nostro antropomorfismo. E a che la corruzione della mente e, per filiazione culturale, del corpo possa non dilagare distruttivamente e perniciosamente, avanti l'auspicabile estinzione dell'homo sapiens.



9 commenti:

  1. Grazie a Roberto Cogo per avermi fatto conoscere questo poeta "dimenticato". Ora, questa voce, in cui risento il tono della cosmologia greca, quel lasciar accadere, lo svelamento, la contemplazione, torna a farsi sentire più viva che mai. La potenza delle meteore: "e nello spazio a misurarne così intangibile ciò \ che più avverte come un continuo suscitarsi \ per accadimento su quel consistere di sconfinato \ riconcentramento d'atomi" (C. Pennati, Nubi, Paesaggi del silenzio con figura, Interlinea, Novara 2012).

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  2. ...vista la scarsità degli interventi (ma dove sono finiti i numerosi visitatori abituali del blog di stefano!?) - anche nel post precedente - è probabile che pennati rimarrà ignorato ancora per molto...forse esistono molte altre voci poetiche come la sua (di cui non mi sono accorto...),oppure la sua originalità(che può anche non piacere, ovviamente)fa paura o solo infastidisce...attendo reazioni. roberto cogo

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  3. Antonio Devicienti18/4/12 18:05

    Mi dispiace per l'amareggiato intervento di Roberto Cogo; per quel che può servire la mia opinione, penso che la poesia di Pennati sia originalissima, quella di un maestro, in poche parole; il suo lavoro sul linguaggio e sulle immagini è di un livello assoluto;lo scavo, la pazienza, la consapevolezza del fare poetico e la ricerca esemplari per chiunque eserciti la scrittura poetica; colgo l'occasione per ringraziare Cogo della sua appassionata presentazione di Pennati e, nuovamente, Guglielmin per queste occasioni di lettura (e mi riferisco anche alle proposte da lui fatte di altri poeti).Un'ultima cosa: le risposte di Pennati alle domande rivoltegli dal direttore di Hebenon sono esse stesse poesia, musica in atto.

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  4. hai ragione Roberto. Sarebbe comunque stato importante che anche Pennati fosse intervenuto: il suo silenzio pesa.

    Grazie Antonio.

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  5. se può interessate, questo post ha avuto 21 visite. Quello precedente, sempre su Pennati, 47. Numeri medi.

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  6. Ieri pomeriggio, una sola poesia di Camillo Pennati è bastata per vedere lo sguardo fuggito, rapito, estasiato di una lettrice. Pennati, Cogo, Guglielmin, Devicienti, la potenza della poesia, ora visibile, ora sommersa, è potenza.

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  7. mi fa piacere. bisogna essere ottimisti.

    la questione tuttavia è un'altra: la poesia in rete ha bisogno della partecipazione degli autori, altrimenti manca dello specifico, che è appunto la possibilità di scambio diretto con i lettori.

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  8. grazie antonio devicienti

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  9. camillo pennati30/4/12 17:41

    mi piace che tu abbia capito il vero senso del mio fare poesia camillo pennati

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