martedì 10 aprile 2012

Camillo Pennati



Esce, per conto di Interlinea edizioni, Paesaggi del silenzio con figura, di Camillo Pennati, un ulteriore canto sull’imprendibilità del movimento, sulla vocazione neutrale della natura, non matrigna, non madre, ma essere tracimante, incompiutezza dinamica che, senza soluzione, procede verso l’ordine imperscrutabile del cosmo. Al poeta spetta la grande responsabilità, ricca di stupore, di trasformare in musica queste concrezioni, di organizzarle in un correlativo soggettivo, concentrato di ritmo e suono. A differenza del fanciullo pascoliano, spaventato dal buio e incantato dalla natura, Pennati inventa lo sguardo laico dell'adulto convinto che la natura non vada spiegata o piegata alle esigenze della storia, bensì riconosciuta nella sua immanenza e riconsegnata nella scrittura sotto forma di vibrazione sonora e di struttura sintattica dove la relazione aggettivo qualificativo-nome hanno il sopravvento. Il dominio di questo sintagma mira a trasmettere le indefinite movenze qualitative della materia, che si combinano con l’agire dirompente della stessa, reso nello scardinamento semantico, nella non coincidenza tra organizzazione del discorso e realtà di superficie: difficile infatti ricostruire a posteriori il paesaggio oggettivo messa in scena dai testi. Ne cogliamo invece, come detto, la tramatura, gli scarti cromatici, gli ictus, le cesure, dovute altresì all'intromissione della temporalità, con una operazione non troppo lontana dallo Spazialismo di Lucio Fontana espresso nel Manifesto Blanco, in particolare là dove il gruppo scrive: "L'esistenza, la natura e la materia sono una perfetta unità. Si sviluppano nel tempo e nello spazio. Il cambiamento è la condizione essenziale dell'esistenza. Il movimento, la proprietà di evolversi e di svilupparsi è la condizione base della materia. Questa esiste in movimento e in nessun'altra maniera. Il suo sviluppo è eterno. Il colore e il suono si trovano nella natura legati alla materia". Tale poetica Camillo Pennati la pratica da sempre. Vittorio Sereni, nel n.2 del 'Menabò" (1960), parlò infatti di "deformazione di sintassi" di "volontà di espressione" che non si cura "di far tornare il conto aperto con primo verso". Una pratica non allineata, poco vendibile e che perciò fatica – soprattutto oggi – a incontrare la grande distribuzione, interessata solamente al marketing e non più disposta, come lo fu invece Italo Calvino quando ne riconobbe il valore, a scommettere su di lui.

Paesaggi del silenzio con figura me lo ha fatto conoscere il poeta Roberto Cogo, sicuro allievo del maestro: lo si capisce dalla vicinanza tematica, dall'uso frequente del sintagma aggettivale, dal modo immersivo di incontrare la natura. Lo stesso Cogo, regala a Blanc la seguente nota:


"Chi è Camillo Pennati? e perché non rientra facilmente nel novero dei nostri grandi poeti del nuovo millennio — seppure con le radici saldamente fissate nel terreno fecondo e illustre della poesia novecentesca? Ve lo suggerirà, se lo vorrete, questa breve selezione di testi tratti dal suo più recente libro di versi Paesaggi del silenzio con figura, edito per Interlinea — piccola casa editrice di Novara che dimostra così la serietà e la ricercatezza della propria missione editoriale, nel disorientato-disorientante panorama italiano contemporaneo.
Vorrei azzardare una delle cause che hanno contribuito a far calare il silenzio sul poeta milanese, appartatosi da tempo nel suo rifugio di Todi in Umbria: la poesia di Camillo Pennati, come vi accorgerete, si pone caparbiamente (fin dal tempo dei suoi illustri esordi) l’obiettivo di cogliere l’istante nell’attimo del suo accadere in quanto tale — l’happening di ogni mutamento, per quanto impercettibile, l’evento mentre ancora avviene: un compito improbabile se non impossibile e, forse, l’unico compito della poesia, per un poeta della levatura di Pennati.
Scelgo qui, in accordo con lo scrittore, di non fare una lettura critica del suo ultimo sostanzioso e vario libro di poesia, ma di lasciar parlare le sue stesse parole introduttive all’opera — cosa, quella di parlare della propria poesia, rara per una persona schiva e poco propensa a spiegazioni o definizioni come Pennati — che preferisce da sempre far parlare le cose e la poesia —  e, pertanto, occasione poeticamente oltremodo ghiotta per noi".



La mia è poesia di accadimenti in terra e in cielo nel con­cretarsi del reale, quindi di luce e aria e vento e piante e fioriture e uccelli, nel tempo vero e non immaginario. Di mari ansanti tra le coste del globo e nuvolosità cangianti mentre dall'alto si appalesano, senza per ciò volerlo, ad un terrestre sguardo, dell'accadere del cosmo che ci igno­ra, lo so di loro e in commozione quanto per mio stupo­re ne esprimo per versi intrisi come di stesure astratte e modulanti musicalità, le stesse visuali contemplando.

Scrivo dai bordi della natura osservata — dopo anni im­mersi in grandi città — nell'oasi/atollo di un vissuto giardino tra dune verdeggianti sparse di fossili conchi­glie emerse da preistorici fondali al rivoltato suolo di arature dove il silenzio fraseggia di brezze e di venti nell'aria commossa da quel suono.[...] la mente mia non sfoca e non l'obnubila una sociale consapevolezza, anche se non ne scrive poi che è consa­pevolmente incapace di epopee orrifiche e di esecrazioni postume [...]





Mentre l'accadimento avviene


Ora è scomparso il nido tra il fogliame
nell'impercettibile dettame così vistoso della primavera
che tutto l'ha celato al denudato ultimarsi invernale
quando da cesto spoglio s'era andato abitando
d'invisibili gridi ed un continuo andirivieni d'ali
attigue a un fusiforme corpo che là vi si posavano
quindi planando altrove o sul brullo adagiarsi
dei campi alla cerca di cibo anche da riportarne
lassù dove tornavano ora singolarmente o a coppie.
Scorgessi la trasparenza delle prime foglie visibili
a stento controluce in quella appena svolta consistenza
a crescere da questo appena smesso sguardo all'altro
che le rivede ulteriormente espanse: non ci si accorge
e ancora meno in noi di ciò che nel contempo accade
mentre l'accadimento avviene che si è già compiuto.




Del silenzio


È fatto interamente d'aria e movimento
il timbro e il tono del silenzio. Fatto
del suo volume più assordante e soste
sterminate come di dilatato abissamento
nel vento che gli presta il suono e il suo
variare tra brezze di tonalità suadenti
e lo sgomento secondo che l'altrui volume
a farsi contro muti di consistenza
e delle comprensive forme d'ogni suo contorno
in cui si commisura nella volubile portanza
delle sue pressioni a convogliarne
urgendo oggi suo vasto scorrimento
tra suono di boato e suono modulato di portento
e sempre nel commento a sostanziarsi di ciò
che informa l'ariosità avvolgente del silenzio
nel contenuto stesso a ricomporlo
del suo sopravvento.  




Spazio e tempo


Lo spazio tra l'altura e la risacca
e tra l'altura e là la dissolvenza in curvatura
d'oltremare lambita da quei blu immedesimati
e quei cinerei strati in turbolenze temporali
è quell'immenso e sterminato corpo di squamose
acque così ondulante in sgombra giacitura
orizzontale che di abissale tensione giunge
in livello i margini a lambire della geologica
emersione l'uno con l'altra in gravitante coesione
là dove sosta al tempo in proiezione umana
quell'astrazione estranea dell'immaginare
che a sé confina l'estrema vastità spaziale
e l'ignoranza stessa dell'orbitante ruotare ;
nel contemplare da luoghi del costiero limitare
l'orizzonte che non s'inclina allo sguardo
come se tutto fosse di qua di ogni oltre
e l'oltre il suo sublime dileguare di là        
dall'irreale scorgerne una linea intersecante
l'inoltrarsi della sola visuale. 




La meraviglia del tragitto


Automezzi
scorrono sui lunghi nastri
d'autostrade    

per paesaggi
d'antica natura preesistente smangiati  
ai margini della magia

Nulla paragonato
agli ultrasonici aviogetti che solcano rotte di cielo
in vivisezioni di guerra
                                       
e in siderali ellissi
agli osceni congegni orbitanti l'incombere           
d'orditi di morte.

Fiumi fluiscono
secondo manchi o abbondi un'inquinante
caduta di piogge

verso le foci
da cui varcano la liquida incontenibilità di sempre
addentro un mare pure contaminato.

Il sangue
scorre inavvertito dentro i corpi
nel suo pulsante

irrigare:
all'ombra della mente è ancora l'intuitivo
flusso del percorrere

di luogo in luogo
la meraviglia del tragitto il senso
riflettendone vitale

oltre ogni corruzione
in ciò che la sua linfa ancora riesce
se riuscirà a trasformare

sino a una nuova
scaturigine di polla per fitti interstizi
di sabbie

per inerti
depositi di scorie incenerendo le immonde
accrezioni della sua memoria.




Sotteso blu


Le fibre della vita per naturale
congiuntura anche se spesso ignorandolo somigliano nei bordi
a quel sinuoso profilo di battigia

dove l'onda
sciacqua lieve sulla sabbia lambendola
d'ogni arcuarsi in sfrigolante trina

su quel contornato confine
tra l'emerso e il sommerso fluttuante la sua pelle
di riflettenti squame

così perdurando sino al mutare
dei venti e d'ogni incombente pressione
quando quel suo scaglioso dorso

si incresta
di spumeggianti pinne quindi di aggroppamenti
tumultuanti

di criniere che d'ogni
tesa nuca in quel suo estremo arrovesciarsi
scoscendono a squassarne

l'infuriante equilibrio
su fianchi e insenature e solidi contorni
d'uno dei molti marosi e frangenti

a irrompere di frantumanti boati
sfiancandosi appena i grigioplumbei cavalloni
turbolenti dei sorvolanti nembi

in rotta si disbrancano sferzati
d'altri venti e si spalanca l'arcuata riflessività
dell'aria in tutto il suo sotteso blu

tuttora blu di stratiforme
meraviglia blu di sprofondante valva
di conchiglia

che qui
racchiude il suo emisfero
sino all'Artide.

Adagiati sull'arenile
di un momento in questo pensamento
un attimo del vivere

nel richiamo del vento
che reca e ne diffonde la comprensiva effusività
lì a sopraggiungere dell'eco.

Come a sentirsi immersi nell'accadimento.
Come a sentirsi infusi dell'avvenimento.




Nato a Milano nel 1931, Camillo Pennati ha com­piuto studi classici illuminati da Guido Bezzola e Luigi Panzeri. Salvatore Quasimodo lo include in Poesia italiana del dopoguerra (Schwarz, Milano 1958). Nel 1959 pubblica presso Guanda, dell'inge­gnere Ugo Guandalini. A Londra, dove vivrà per vari lustri, Umberto Morra di Lavriana gli affida l'incarico di bibliotecario dell'Istituto Italiano di Cultura. Conosce Vittorio Sereni e pubblica da Mondadori L'ordine delle parole (1964). Nel 1973 Italo Calvino lo invita alla Giulio Einaudi di Torino dove per svariati lustri sarà redattore letterario per la narrativa e poesia angloamericane. Tre sue rac­colte usciranno presso la casa editrice dello struzzo. Traduttore di saggistica, narrativa e poesia inglese e americana. Scritti sulla sua poesia in un quaderno interamente dedicato della rivista internazionale "Hebenon", 9-10 (2001). Ultima pubblicazione Modulato silenzio (Joker, Novi Ligure 2007).


9 commenti:

  1. poiché alla lettura mi sono chiesta della struttura insistita (e un po' innaturale o quanto meno carica) di agg.+nome, grazie di trovare nella tua nota questa ottima risposta

    " Il dominio di questo sintagma mira a trasmettere le indefinite movenze qualitative della materia, "

    un caro saluto

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  2. trovo anch'io molto insistito il sintagma. Mi piacerebbe sentire l'autore a questo proposito.

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  3. una delle caratteristiche di pennati è proprio la sua bravura nel passare dal polo di una massima naturalità a quello opposto di una massima astrazione(quell'innaturale che coglie bene margherita ealla). anche a me piacerebbe che l'autore intervenisse a questo proposito... nel frattempo, un grazie a stefano per il conciso e preciso intervento introduttivo. roberto

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  4. ....mi chiedo poi se questa ritrosia (o avversione?) verso la punteggiatura è una scelta stilistica e/o di senso che Pennati (o qualcuno di voi) possa dirci. grazie e un saluto, GTZ

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  5. mi sembra, dalle mie letture, che sia un'avversione soprattutto per la virgola (considerata "servile" da gertrude stein...) più che per la punteggiatura in generale. gli a capo poi sembrano svolgere diverse funzioni. ma aspettiamo chiarimenti. roberto

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  6. Antonio Devicienti13/4/12 19:33

    Da parte mia voglio semplicemente ringraziare Stefano Guglielmin per la bella proposta di lettura che, assieme alla nota di Cogo, mi ha spinto ad acquistare il libro di Pennati che ho trovato meraviglioso e meravigliante.

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  7. grazie Antonio. Speriamo che Pennati lasci un piccolo intervento critico, così da aiutarci a capire le sue scelte stilistiche. Lunedì, poi, a tale riguardo, posterò alcuni frammenti significativi estratti da una sua intervista

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  8. Dell'acuta e concisa scheda critica di Stefano Guglielmin,che ringrazio sentitamente,vorrei solo confutare il passo in cui scrive come sia difficile ,per lui,"Ricostruire a posteriori il paesaggio oggettivo messo in scena dai testi",poichè se anche fosse il caso in qualche testo,non è possibile ,ritengo,che cio' accada o sia accaduto globalmente in tutti.
    Mi pare una apodittica connotazione da lettura un po' affrettata . Quando invece è felice ,da parte sua l'aver riconosciuto come per me la natura e la natura ritratta nei miei versi sia immanenza e ,aggiungo,immanenza di effusione e di espressiva e sostanziale propensione che giunge al colmo della sua informante essenza nel tempo singolare d'ogni suo accadere sulla Terra.


    Camillo

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  9. Gentile Camillo, la ringrazio per la risposta. Rispetto alla sua osservazione critica: più che di lettura superficiale, direi che ho scelto le poesie più originali, quelle che si distinguono maggiormente dallo stile di altri poeti. In queste la cifra oggettiva è meno evidente, ma questo, per me, è un pregio.
    Tengoa inoltre conto della natura del blog, che non vuole essere analitico, bensì una sintesi di un modo di intendere la poesia.

    un cordiale saluto

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