venerdì 10 febbraio 2012

Roberto Ranieri



Sdrucciole per lanterne (Giulio Perrone, 2011) porta inciso, sin dal titolo, l’approccio intellettivo di Roberto Ranieri alla materia vivente, il suo contatto con essa mediato dalla lingua giostrata con ingegno. Il calembour incipitario, che snatura lucciole in codice verbale, ci invita ad entrare in un mondo in cui i significati solo s’intravedono, coperti dal luccichio dei significanti, non necessariamente sdruccioli. E’ come se il poeta non riuscisse ad accettare il reale, se non dopo averlo riscritto in una rete di sonorità forti e combinazioni sintattiche legate all’operatività barocca e/o dadaista: una sfida alla gerarchia delle cose e all’intelligenza del lettore, ma soprattutto una dichiarazione di sfida all’esistente, che nel poeta si dà sempre impregnato di elementi sociali e morali. Ranieri non sceglie infatti il distacco emotivo per tale guerriglia, un realismo avalutativo utile a definire con maggiore chiarezza l’oggetto, bensì impregna ogni evento del suo giudizio, ma non prima d’averlo impreziosito dal gioco verbale, sino a camuffarlo se non a nasconderlo. L’enigma del vero, tanto caro agli orfici, diventa così affare dell’enigmista, con lieve danno per l’afflato didascalico, che sembra mal tollerato, nudo e crudo, dall’autore. Eppure c’è, e forte, ma si vede solo dopo attenta scrematura dell’olio dall’aglio, dopo decodifiche complesse di metafore in cui i linguaggi settoriali s’intrecciano (della grammatica e degli ambiti giuridico e militare, anzitutto) in mirabolanti avventure stilistiche, che ci fanno sentire tutti un poco inadeguati. Danno perciò un poco, benevolmente, irritazione le note finali, che spiegano quanto un italiano medio conosce, lasciando invece in sospeso le innumerevoli acrobazie linguistiche. Voglio dire: “A tutto c’è rimedio, fuorché al balzo / fuori scala dell’indaco” è assai meno evidente che il significato di match ball o diverticolo o lemma, chiarito dalle note. Poesia dunque della straordinaria immaginazione questa di Ranieri, ma meno del pensiero, del puro impuro pensiero poetico che apre mondi ed aiuta a collocarci più autenticamente nello spazio dei mortali, essendo questo – il pensiero – schiacciato tra la prima (l’immaginazione tutta governata dalla tecnica) e la morale, “il grillo parlante”, come lo definisce Ennio Cavalli nella nota introduttiva, quella volontà di giudizio che si mortifica tuttavia nella diversione sintattico-retorica, sino quasi, in apparenza, sparire. Una mortificazione voluta, forse, per potere essere accettata, una strategia intima, frutto di un dissidio interiore, in cui domina l’ingegno, che muta il dramma in farsa, l’esistenza in figura retorica, la letteratura in magazzino di maschere da deformare. A titolo esemplare ecco allora, nella stessa poesia, il paradantesco infernale “Per me si va. Nella città, bollente” e il parapetrarchesco, combinato con il primo, “Per me si va, si andava, già pensoso / per i dessert dei campi”, con il piroettante scoppiettio del calembour finale, in cui i deserti campi dell’amante intristito per l’assenza di Laura, si fanno dolce ormai immangiabile, finale di un pasto tutto linguistico. Operazione certo affascinante e divertita ma forse minore rispetto alla poesia di cui abbiamo bisogno oggi, nella quale la storia strida per sua natura nevrotica, la lingua incontri l’alto e il basso, il diamante e il fango, evitando l’artificio e l’autocompiacimento, una poesia che nomini sempre meglio l’affettività oramai ridotta a formula, che incontri il lettore sul piano del pensiero analogico, ma senza spiazzarlo radicalmente, come capita in questo libro, bello perché geniale, povero perché rinuncia alla relazione, alla condivisione del sentire, in nome del privilegio della lingua d’oro, dardo da contemplare, da adorare, ma forse troppo lontana, irraggiungibile, e quindi nemica nella misura in cui ci  tiene tra le sue maglie luccicanti.




Come se (I)


Il caffè lungo scioglie ogni concorso
di colpa. Scende marzo, tiene botta
la raucedine lieve
del tuo pronome accorto, poliglotta.
A tutto c’è rimedio, fuorché al balzo
fuoriscala dell’indaco, perfetto
epigramma violetto
del come se, trisillabo al rialzo.
Cresce leggera naviga nel bolo
del gusto la quartina
che mette in rima il mio colesterolo
con l’anima, la tua, per fare prima.




Altri tempi


Se il software del secondo
condiviso a prescindere, bidet
di fusi orari e abusi di grammatiche
terrificando copincolla i vivi
ai morti, e l’aforisma
di un tu a soggetto multiplo delinque
nelle sinapsi, recito
consigli su consigli per gli acquisti.
E tu cara convincimi
convincimi che esisti.




Fiducia al sé nato


Fila via l’extrasistole
ai blocchi di partenza,
monoposto di serie
su una rampa d’arterie. L’impudenza
dell’esserci raggela, vuota il sacco
muove e regola il traffico fra polsi
senza soggetto. Forse non ho più
i numeri ma chiedo la fiducia.
Non mi dimetto, ancora qualche mese
per cerebrare un io di larghe intese.




Palinsesti (I)


La grande seppia morta
sfora i sedici noni un po’ distorta,
sarà per il carattere abissale
per l’occhio grande come un copertone
per il suo approccio un po’ tentacolare
a ogni questione; in verità rattrista
l’aria da balenottera cubista
ma cinquecento chili dagli abissi
al fuoco d’albe e flash fanno felici
veline e opinionisti. Non si dà
buio per un cantiere
a tremila atmosfere, ogni portata
dell’antipasto all’essere
brilla in prima serata.



Palinsesti (II)


Perequando la ressa dei neuroni
alle tue non-stagioni, in questa strana
vitalità di sillabe sui rostri
di foni vuoti, Eluana, o mitocondri
che logie inattendibili
danno già per spacciati o irriducibili,
perequando diottrie
di lenti e altri miraggi,
ragionamenti in forma di falena
sul tu fra cellulari depistaggi,
Eluana corpus dominae
dormiente in una strana
nemesi della morte in nuove scorze
vitali – non vitali, “come se
tu fossi” e il predicato di un meccanico
tu uro-emo-dinamico,
perequando la ressa
dei codici, e non stacco
la spina dal gerundio, non declino
pronomi sulla culla
di un infinito scacco che ti vuole
algoritmo vitale, silenziosa
sistole del mio Nulla.



Due passi


Per me si va. Nella città, bollente
in logos, già anidride e scarabocchi
i calembour assumono efficienze
di croci in mezzo agli occhi;
e l’eterno bollore della storia
mette femori e tibie lungo i viali
per le protesi a vite siderali.
Per me si va, si andava, già pensoso
per i dessert dei campi faccio trame
di zuccheri e rugiade verderame.
Ma il cervelletto ha incassi tardi ed afoni
dai suoi negozi, poi per Via Carducci
la prima svolta a destra. Il putiferio
impone nuove deroghe ai semafori.


Roberto Ranieri è nato nel 1962 a Venezia, dove risiede. Lavora presso l’Assessorato alla Produzione culturale del suo comune. Alcuni suoi componimenti sono apparsi in antologia. Un primo nucleo della raccolta ha ottenuto in Campidoglio il primo premio al concorso nazionale “Alberoandronico”.




9 commenti:

  1. Utilissima lettura, la tua, Stefano. L'angolazione del tuo approccio chiama in causa fattori di 'posizionamento' testuale su cui è stimolante riflettere, specie quando qui prevale una sola urgenza, forse autolimitante, forse semplicemente necessaria, e cioè l' "accomodamento letterario" delle proprie ossessioni; dove queste passano al primo gli alimenti per l'ordinario e lo straordinario. "Geniale", chissà, e "povero", appunto: il "letterario" gioca all'autosussistenza, e più si ingioiella più firma, forse, cambiali in protesto, chiamandosi fuori dallo spread galoppante fra parola pura e azionariato diffuso di nomi, verbi, sintassi. Ma forse è proprio nel suo chiamarsi fuori che può entrarci, ricapitalizzarsi, incidere...

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  2. la tua analisi la trovo corretta. L'incisione, tuttavia -credo- deve avvenire sul tessuto della comunità, più che su quella della scrittura (che è già incisione di per sé, e dunque separazione, messa il rilievo, stacco da uno sfondo con il quale i poeti si devono confrontare).

    grazie per il commento.

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  3. Lucia Guidorizzi10/2/12 21:18

    Una poesia che rivela e occulta, un ritmo spietato che non indulge mai ma che conduce nelle pieghe più intime di un disagio vissuto con ironia e distacco, con il rigore dello stile e dell'autodisciplina. Uno sdrucciolare verso la luce....

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  4. Fabia Ghenzovich12/2/12 00:26

    poesia scoppiettante e ironica, raffinata e divertita con uno retrogusto amaro come potrebbe essere il gioco di un grande clown.

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  5. Un linguaggio quello del poeta Roberto Ranieri che attinge anche dal patrimonio medico-scientifico. Una carica ironica che media le incongruenze della realtà, la molteplicità dell’io o la sua assenza.

    Grazie gugl anche per la tua introduzione.
    Margherita rimi

    "E tu cara convincimi
    convincimi che esisti"

    "soggetto multiplo delinque"

    "senza soggetto"

    "io di larghe intese"

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  6. margherita ealla12/2/12 16:38

    indubbiamente per me sempre godurioso il calembour, e certo sempre "gioco", che anche quando scaturisca come parto spontaneo e intuitivo da un'inventiva intelligente e colta, risulta sempre un a posteriori, con artifizio. Tuttavia, anche se in modo meno coinvolgente - e sconvolgente - del lapsus, come quest'ultimo, ma in modo più edulcorato, contiene molto della radice e dello scarto, dello scambio anche semantico e di linfa della lingua.
    Inoltre come "modalità letteraria" qui ci sta, sostanzia, anche se in agguato, e qui sono d'accordo con la tua bella analisi gugl, c'è che la bellezza e il fascino del "gioco" (anzi del suo, framework), lo rendano eburneo, per pochi-e "alti".

    Un caro saluto .

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  7. molto apprezzati i vostri commenti. A giustificazione del mio, dico che dobbiamo misurarci non solo con lo specifico letterario, ma anche con la ricezione del messaggio e il dialogo con la tradizione. Sicuramente esiste una tradizione che giustifica la poetica di Ranieri, tradizione certo viva in Italia ancora oggi. Quindi che egli sia poeta non ci sono dubbi. Sulla necessità che la poesia non abbandooni una dimensione "popolare", ecco su questo invitavo a riflettere, così da allargare quanto più possibile il cenacolo, magari fino a mutarlo in "comunità"

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  8. Un approccio sicuramente sorprendente. Da lettore ho apprezzato molto. Grazie e complimenti!

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  9. grazie a te per questo transito e per il commento da Cristina Bove.

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