mercoledì 14 dicembre 2011

Nadia Agustoni



Il titolo forse non fissa con precisione la materia messa in circolo ne Il peso di pianura (LietoColle, 2011), ma il denso libro di Nadia Agustoni merita di essere letto e meditato, ricco com'è di questioni fondamentali: la vita senza speranza, l'assenza di Dio o, meglio, la sua esistenza in quanto interrogazione costante sulla sua possibilità, la morte del sacro (per cui edipo e antigone – scritti in minuscolo – non sono che una "giovane" e un "cieco", "un vecchio" e "sua figlia" immersi nel vuoto. Quest'ultimo ha divorato il sacro, e il poeta grida, agli uomini distratti, che "oggi è il giorno / del giudizio oggi è ogni giorno". Il poeta della Agustoni non si mescola, "zitto / tra gli uomini che non si voltano", come Montale degli Ossi, bensì, mutando il metafisico in etico, denuncia "il torto" della condizione umana.
La poesia cui riferisce il titolo termina con "ogni dono sanguina", epigrafe perfetta per questo volumetto di un'autrice che, per uscire dall'insensato del giorno, dialoga con il mito, spingendolo fuori dal proprio corpo, non dunque per via cerebrale, intellettiva, ma per vissuto fattosi esperienza universale, trovando l'archetipo dentro la carne e non temendolo dunque, come fosse "un ciliegio" quando "entra nel petto" per fiorire "casa", rifugio, a patto che abbia radici "in terra propizia": la bocca del poeta, forse, il corpo quando si fa carico del peso d'accettarsi mortale, del fatto  "che si è vivi senza salvarsi". Agustoni chiama in causa anche i morti, li provoca, cerca un contatto che possa garantirne la presenza nascosta perché "non ha più cuore / la terra senza di" loro, infestata com'è di "uccelli notturni mai festosi" che "hanno grida vuote nel vuoto".
C'è un pessimismo inquietante che popola queste arie, ma anche una grinta e una voglia di riscatto, sintetizzabili nella poesia che chiude, quasi, il libro: "l'universo è una stanza insicura / con cani a guardia di finestre / e i sì che migrano malfermi / ma intatti versando nascita".
Lo stile asseconda le intenzioni, la motivazione interiore. Si passa da una forte accentuazione analogica, con doppi sostantivi mutuati dalla tecnica futurista – ma non dall'ideologia militaresca di quell'avanguardia – (uomini-foreste, lumini-astri, fabbrica-stella, indizio-corolla), a strutture sintattiche proprie dell'oralità ("e fare il gesto così / e così e tiè e basta, mica coi versi la finirei"), da strutture paratattiche a poesie di 5-6 versi costituite da un unico periodo, di grande carica sintetico-espressiva, come è quest'aria: "confine è quest'aria / bocca-grande, va dentro / i pensieri, sgrammaticando / benedice e col passo di foglie / semina, annoda capelli e memoria".

        
 cosa vuoi che dica la polvere

i diari dell’olocausto mi fan venire in mente
edipo a colono con la giovane antigone
che dà la mano a un cieco e nient’altro.
non una parola li segue, solo un vecchio
e sua figlia e i segni del vuoto intorno a loro,
lo spavento delle genti che in segreto
vedono la ragazza come un toro
e la corsa nella polvere con un dio che le urla dietro
di fermarsi: “è una ragazza, non può raspare la terra
fino alle tombe”.
ma non capiva la sua risposta: “va via! la polvere
cosa vuoi che dica la polvere, qui viviamo,
qui moriamo, un dio non ci ha salvato”.



non avremo più niente

i bambini di terezin nel silenzio maiuscolo
di nuvole immobili, dove è già accaduto
e accade per sempre mentre guardi, il giorno
vicino alla luce.

con nomi magri e tempo limpido di prati crescono:
"è stato ancora nascere
vedere in fila treni binari
l'heimat è un'aquila bionda e la pura lingua tedesca".

l'appello è interminabile, sbatte
sul rovescio di finestre, nel ritorno del vento
e i cani corrono contro qualcosa
case e terra senza rumore.

laggiù i vivi hanno spighe, cercano nei volti
qualcuno amato e la pioggia ripete
il fiato si sgola: "non avremo più niente",
dal mondo trapassano pietre, le mani
sono corteccia, nomi di betulle il bene:
una volta le parole erano la giubba dei re
ognuno viveva per vivere ognuno
chiedeva perdono molte volte.


qui altro sulla sua poesia e una nota biobibliografica.

10 commenti:

  1. Stefano condensata e intensa la tua lettura e come sempre dai spunti di riflessione, dei buoni spunti su cui rifletterò. Un caro saluto. nadia agustoni

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  2. Ha spunti intensi e suggestivi questa lettura,
    roberta b.

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  3. I versi di Nadia Agustoni si lasciano apprezzare come un dialogo intessuto con l'esistere. La vita, che è spesso problema, sentimento e controversia, spinge la poetessa alla resa dei conti, provoca una risposta, prima di tutto, etica e semantica, senza escludere altri piani. Il senso del 'peso' non risiede perciò esclusivamente nella complessità strutturale di una forma estrinseca. E' richiamato piuttosto dalla sapiente dose di amore/disamore, oggetto di un'appassionata e pura denuncia. Il rigore espressivo da luogo anche a risposte formali dal registro originale e alto, ma attraverso un disarmante processo di decantazione. L'autrice denuncia, narra e si muove tra persone e memorie che sembrano avere una sorta di vita autonoma. S'impongono, senza mediazioni, se non quelle di una pietà trattenuta per l'umano e i muti testimoni che hanno già vissuto. Le storie di 'pianura' rivendicano, come assoluta, l'orizzontalità. Essa rende giustizia alle creature, titolari di sogni, eppure lontane da qualsiasi finta retorica. Se il trascendente potesse (o volesse) ascoltare, sarebbe tentato di arrampicarsi su questa croce di quotidiana intensità, mostrando il lato vulnerabile che unisce l'umanità e l'Oltre. Si tratta di un'ipotesi-limite che tuttavia dona respiro all'esistenza e la libera, complice la scrittura.
    La poesia può dunque evocare, da quell' orizzonte, anche il suo correlativo dialettico, senza prescriverne la gratutità, aprendo la meditazione ai ...lettori di pianura.
    Concludo ringraziando Stefano per l'acuta interpretazione che svela i significati della poesia di Nadia con la consueta perizia. Marzia Alunni

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  4. Lettura densa di una raccolta, Il peso di pianura, nella quale Nadia Agustoni, 'guida e passatore' sgombra il campo da (false) illusioni, e sa, con parola incisiva, "cantare confine".

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  5. insieme a "l'asso nella neve" di Anna Maria Carpi, questo di Nadia, per me, è il più bel libro di poesia del 2011.

    (una splendida lettura questa)


    gianni montieri

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  6. belli i vostri commenti e le analisi.
    Della Carpi parlerò nei prossimi mesi, promesso!

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  7. Sono d'accordo con chi ha scritto prima di me. Aggiungo una sola considerazione personale: la prima parte del libro ricorda più da vicino i lavori precedenti di Nadia, in particolare Taccuino Nero, mentre la seconda, almeno a me, è risultata più ostica, ho avuto bisogno di tempo. Adesso, a distanza di mesi, mi sembra di averne colto meglio il senso, il lavoro di ricerca sulla parola, di rastremazione che rappresenta un passo avanti in una direzione che, è vero, è estremamente personale e di grandissimo valore. Per il resto la tua/vostra lettura è come sempre ineccepibile.

    Francesco t.

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  8. Grazie a tutti. Buone feste. nadia agustoni

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  9. sì, anche a mel a seconda parte dle libro, costruita in levare, sino - talvolta - alla rarefazione sintattica, è sembrata più ostica.

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  10. si lo sé, sólo faltaba el mio...ya lo dije, podré comentar en español..es tan femenina su poesía que no entra más nadie en esa orilla estrecha que es su vida. Nada es sin la memoria. Ella escribe viendo aquello ojos que han sufrido para no ser olvidos. Palabras corazón de mujer de piedra.

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