lunedì 31 ottobre 2011

Alejandra Pizarnik


Ho scoperto Alejandra Pizarnik solo di recente, nel web. E' il miracolo della rete, da cui si pescano, talvolta, tesori straordinari. Mi ha talmente colpito che alcuni suoi versi aprono il mio ultimo libro, C'è bufera dentro la madre (L'arcolaio, 2010). Alejandra fu donna inquieta, morta a 36 anni per overdose di psicofarmaco, la cui poetica, in questi tempi di sovraesposizione dell'io, va sottoscritta integralmente. Si leggano, a tal proposito, queste righe, scritte poco più che ventenne, riguardo alla propria poetica: «Una scrittura densa fino all'intollerabile, fino all'asfissia, ma fatta con nient'altro che con "vincoli sottili" che permettano la coesistenza innocente, su uno stesso piano, del soggetto e dell'oggetto, cosi come la sovrapposizione delle frontiere abituali che separano io, tu, egli, noi, voi, essi. [...] Intensa necessità di verità poetica. Essa esige di liberare la forza visionaria e di mantenere, simultaneamente, una compostezza straordinaria nella conduzione di tale forza (e nella strutturazione di quelle immagini). Ignoro se parlo della perfezione poetica, della libertà, dell'amore o della morte». Detto altrimenti, mutuando Nietzsche: apollineo e dionisiaco accadono nell'opera, facendo vorticare ripugnanza e salvezza, desiderio e purificazione, in un processo espropriante, che lascia la parola all'essere, laddove questi non sia già dato, bensì si mostri nella sua perpetua maschera metamorfica.

Scrivere è insomma un esercizio liberante e vincolante al tempo stesso, e ciò richiede disponibilità all'ascolto delle forze più nascoste che ci governano, il coraggio di sapersi divisi, la grazia di non inorridire di fronte a questa verità, l'educazione alla parola e alla regola; chiede, insomma, di vivere la poesia – come scrive la Pizarnik altrove – non come mestiere, ma come destino.




da Alejandra Pizarnik, La figlia dell'insonnia, Crocetti 2004




Tiempo


Yo no sé de la infancia
mas que un miedo luminoso
y una mano que me arrastra
a mi otra orilla.

Mi infancia y su perfume
a pàjaro acariciado.

a Olga Orozco




Árbol de Diana



14.


El poema que no digo,
el que no merexco.
Miedo de ser dos
camino del espejo:
alguien en mi dormido
me come y me bebe.




Anillos de cenizas


Son mis voces cantando
para que no canten ellos,
los amordazados grismente en el alba,
los vestidos de pàjaro desolado en la lluvia.

Hay, en la espera,
un rumor a lila rompiéndose.
Y bay, cuando viene el dia,
una partición del sol en pequeños soles negros.
Y cuando es de noche, siempre,
una tribu de palabras mutiladas
busca asilo en mi garganta,
para que no canten ellos,
los funestos, los dueños del silencio.

a Cristina Campo



Cantora nocturna

La que murió de su vestido azul està cantando. Canta imbuida de muerte al sol de su ebriedad. Adentro de su canción hay un vestido azul, bay un caballo bianco, bay un corazón verde tatuado con los ecos de los latidos de su corazón muerto. Expuesta a todas las perdiciones, ella canta junto a una nña extraviada que es ella: su amuleto de la buena suerte. Y a pesar de la niebla verde en los labios y del frío gris en los ojos, su voz corroe la distancia que se abre entre la sed y la mano que busca el vaso. Ella canta.

a Olga Orozco




Tempo


Io non so dell'infanzia
che un timore luminoso
e una mano che mi trascina
sull'altra mia sponda.

La mia infanzia e il suo profumo
di uccello accarezzato.

a Olga Orozco




Albero di Diana


14.


La poesia che non dico,
quella che non merito.
Paura di essere due
sulla via dello specchio:
qualcuno che dorme in me
mi mangia e mi beve.



Anelli di cenere


Stanno le mie voci al canto
perché non cantino loro,
i grigiamente imbavagliati nell'alba,
i camuffati da uccello desolato nella pioggia.

C'è, nell'attesa,
una voce di lillà che si spezza.
E c'è, quando si fa giorno,
una scissione del sole in piccoli soli neri.
E quando è notte, sempre,
una tribù di parole mutilate
cerca asilo nella mia gola,
perché non cantino loro,
i funesti, i padroni del silenzio.

a Cristina Campo



Cantatrice notturna


Quella che morì del suo vestito azzurro sta cantando. Canta imbevuta di morte al sole della sua ebbrezza. Dentro la sua canzone c'è un vestito azzurro, c'è un cavallo bianco, c'è un cuore verde tatuato dagli echi dei battiti del suo cuore morto. Esposta a tutte le perdizioni, canta assieme a una bimba smarrita che è lei: il suo amuleto portafortuna. E malgrado la nebbia verde sulle labbra e il freddo grigio negli occhi, la sua voce corrode la distanza che si apre tra la sete e la mano che cerca il bicchiere. Lei canta.

a Olga Orozco



13 commenti:

  1. Grazie Stefano per questo post.
    Spero di non essere troppo invadente se lascio qui un testo di Alejandra Pizarnik letto tempo fa in una antologia. Mi è venuto in mente leggendo la tua nota e ora, alla luce del tuo commento, acquista per me un significato ancora più profondo.
    Anche per me si tratta di una conoscenza recente e purtroppo ancora superficiale, ma a volte bastano poche poesie perché si compia quel “miracolo” di cui parli.


    Uno sguardo

    uno sguardo dalla fogna
    può essere una visione del mondo

    la ribellione sta nel guardare una rosa
    finché gli occhi non siano consumati


    Un caro saluto
    Stefania

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  2. Lucia Guidorizzi1/11/11 15:25

    "Qualcuno che dorme in me mi mangia e mi beve". Una parabola intensa, quella di Alejandra, votata al naufragio. Una lucida cronaca dell'inferno quotidiano del vivere.
    Grazie Stefano

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  3. La parola come corpo e come visione, la possibilità (sfumata? frustrata?) dell'utopia di incarnarsi. La Pizarnik è imprescindibile per studiare e leggere tutta la poesia femminile successiva. Eppure nelle sue opere la parola è sempre mutila, prende forma in un tempo altro mentre nel presente la vita arranca e la possibilità di dire manca. La parola poetica, nella sua funzione di mediatrice tra soggetto e oggetto, è la grande assente della sua poesia: qui il verso non connette, piuttosto separa, lacera.

    Un caro saluto da chi si affaccia talvolta da gabbie lontane,

    vocativo

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    1. da come scrivi non hai capito nulla della sua poesia

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  4. vivere la poesia come destino ...sì credo sia questa una verità da attribuire non ai più,ma certamente a questa originalissima poetessa che non conoscevo.
    grande Alejandra!

    Fabia

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  5. Grazie Blanc!
    Una scoperta toccante -

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  6. mi sono dimenticata:
    setteanelli -
    ciao Stefano!

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  7. Dio, non chiedermi di registrare le tue meraviglie,
    io accetto le stelle e i soli
    e i mondi infiniti.
    Ma ho misurato le loro distanze
    e li ho pesati e ho scoperto le sostanze.
    Ho inventato teoremi e rinvenuti nodi frattali
    per poeti che ora aborro, ho accresciuto un milione di volte
    la vista che mi hai dato con lo Zen di mia nonna,
    ho attraversato lo spazio e anche il tempo con la parola,
    ma, Dio, dall’aria che fuoco ho da prendere per
    ottenere la luce della poesia di Alejandra Pizarnik?

    v.s.gaudio

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  8. Il ritirarsi dell’identità di percezione
    di V.S. Gaudio

    Lo stile di Alejandra Pizarnik è tutto nell’esagramma 33.Tunn: sopra, il Cielo; sotto, il Monte: la forza del sintagma in ombra che ascende, il ritirarsi, che è il cielo che, in quanto paradigma, si fa distanza, uno stato irredento dell’identità di percezione, che, è dal sei al secondo posto, quello della carica connotativa, si fa assoluta, come se fosse vincolata “con giallo cuoio di bue” e nessuno è in grado di strapparlo. L’identità di percezione nel ritirarsi, nella ritirata serena, che è, appunto, il cedere; questo vuol dire che la brevità del verso, che è un po’ il fiato corto del percepire, avanza e cresce, e resta presso la coda, lì all’inizio dell’esagramma, quando il codice non è proprio ristretto ma non è nemmeno elaborato.
    La poesia di Alejandra Pizarnik è così che è fatta: dal lato del rosso carico, c’è il freddo, il ghiaccio, e anche un buon cavallo vecchio o selvaggio che sia; sotto, è come essere per sentieri montani, piccoli sassi e un cane che fa la guardia, e,poi, a ben guardare, una serie infinita di porte e di aperture, che non sai mai se siano nel senso o, tonde, nel sintagma, ma nel sintagma che sta nel trigramma superiore, nel cielo, che è diritto, è il drago, è la sopravveste, è la parola.

    Intelligibilità alta:linea intera sopra 
    Complessità bassa:linea intera al 5° posto 
    Ambiguità alta:linea intera al 4° posto 
    Pregnanza alta:linea intera al 3° posto 
    Carica connotativa buona:linea spezzata al 2° posto - -
    Codice non elaborato:linea spezzata all’inizio - -

    • L’Esagramma n.33.Tunn; il ritirarsi •

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  9. non mi aspettavo tanti commenti e così entusiasti. A riprova che se la poesia tocca, la parola ripsonde.

    un saluto particolare all'amico vocativo: ci manchi.

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  10. "sono stata tutta un'offerta
    un puro errare
    di lupa nel bosco"

    la donna-bambina, suo silenzio perfetto. vicina al Giardino estranea al mondo.

    Ilaria

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  11. para que no canten ellos...

    che straordinaria poesia, quella della Pizarnik, scoperta solo quest'anno tra il Controparole di Baldacci e giustappunto la "Bufera" del padrone di casa...

    grazie per questo post, un saluto,

    f.t.

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