lunedì 22 agosto 2011

Roberto Cogo su Giuliano Mesa


All'interno della rassegna Poesia /Poesie di Schio, il 30 aprile 2005 fu invitato Giuliano Mesa. Lo presentò Roberto Cogo, con il testo che segue.


Come accostarsi alla poesia di Giuliano Mesa? Come accostarsi alla poesia?

Se il nostro approccio alla parola poetica (attraverso la lettura o, come in questo caso, attraverso l’ascolto) tende ad essere di tipo univoco o strettamente referenziale — per cui vorremmo attribuire ad ogni nome un esatto oggetto di corrispondenza, ad ogni frase o verso una determinata configurazione logica o sequenziale che rimandi ad una precisa e rassicurante discorsività — allora, abbiamo certamente imboccato una strada erronea, o perlomeno problematica, in cui un certo grado di avvilimento, se non di frustrazione, potrebbe farla da padrona. Ma se teniamo presente che il linguaggio, quello della poesia in particolare, produce significati indipendentemente da una relazione di corrispondenza con la realtà, concedendogli perciò quel grado di autonomia e di vitalità intrinseca che lo renda libero da una funzione meramente comunicativa o da una pratica ridotta a un utilizzo logorante, ecco che altri mondi si faranno possibili, altri tracciati si schiuderanno nella fitta e intricata foresta dei segni e dei suoni, aprendo a inattese ulteriori formazioni di senso.

Con Wittgenstein, occorre allora ricordarsi che il linguaggio deve parlare per se stesso e, parallelamente, che occorre avventarsi contro i limiti del linguaggio, andare al di là del suo uso esclusivamente significante, tenendo ben presente che i limiti e gli orizzonti del nostro mondo coincidono con quelli del nostro linguaggio. Ne consegue, che più si farà aperto e accurato il campo della nostra ricezione linguistica, più si farà ampia, ricca e inclusiva la percezione del nostro mondo. Per dirla con Walt Whitman: I am large, I contain multitudes.



Allora, come leggere la poesia di Giuliano Mesa? Come leggere la poesia?


Per cominciare, non sarebbe male tenere a mente la ricchezza e la complessità della radice etimologica del verbo inglese to read (corrispondente al nostro leggere) che, se da un lato rimanda al significato di ‘interpretare’, ‘consigliare’, ‘decifrare’, richiamando un’idea analitica e combinatoria o di una soluzione da individuare e da distinguere; dall’altro, tramite parole ad esso collegate come, per esempio, riddle (indovinello, enigma), rimanda a una nozione interrogante e prodigiosa della lettura intesa come decifrazione di un mistero o come vaticinio. Basti qui ricordarsi del caso di espressioni ancora in uso come: ‘leggere negli occhi’, ‘leggere tra le righe’ o, addirittura, ‘leggere la mano’ e ‘leggere nel futuro’. Pare che anche la parola di origine longobarda ridda, intesa come ‘danza’ o ‘vorticare caotico’, abbia qualche collegamento con la radice del verbo inglese to read, il che immetterebbe nella pratica della lettura ulteriori e sostanziali suggestioni.

Ma ciò che con questo esempio vorrei trasmettere, al di là dell’interesse specifico per una curiosità linguistica, è, principalmente, la varietà dei livelli di lettura e la diversità degli approcci possibili di ogni nostro rapporto con la poesia — per cui, mi sembra, che l’azione poetica di Giuliano Mesa si presti quale caso eccellente e significativo. Nei suoi versi, infatti, si avverte all'istante che non viene mai ignorata o trascurata la stratificazione e il prodigio della fonte linguistica da cui essi attingono, così che, di conseguenza, siamo stimolati ad affrontarli a mente aperta, a frequentarli tenendo sempre in considerazione tutto un ampio ventaglio di possibilità e di alternative: si tratta, senza dubbio, di una forte richiesta di disponibilità e impegno, di una esigenza di attenzione rivolta al lettore che rivela anche una netta presa di posizione nei confronti della realtà culturale del nostro tempo, quella società dello spettacolo spesso così sciatta e superficiale.

Di conseguenza, dinnanzi a questa poesia — dinnanzi alla poesia — dovremo toglierci dalla mente, più di ogni altra cosa, l’evenienza di una parafrasi, l’assurdo di una traduzione in prosa. Infatti, se ciò fosse possibile, se bastasse conoscere delle regole e applicare un metodo sicuro e valido — così come, in una certa misura e in certi casi, può avvenire nella traduzione tra lingue diverse — allora, si dovrebbe poter compiere anche il procedimento inverso, intendo dire che per questa ragione, per assurdo, anche la prosa sarebbe sempre facilmente traducibile in poesia!

Ma se, evidentemente, la lingua diversa della poesia non è traducibile in un altro sistema organizzato di parole, cosa dobbiamo farne di lei? La risposta è tanto semplice quanto problematica: dobbiamo prenderla così com’è, riconoscendole la sua unicità e la sua autonomia, il valore intrinseco delle sue leggi e regole, sempre diverse, sempre variabili e, insieme, il diritto di esistenza della sua logica altra, instabile e dinamica, che pone di continuo in discussione un attaccamento a forme certe e modelli di pensiero precostituiti. Qui ci si muove senza certezze e senza risposte poiché, così come lo stesso Giuliano Mesa ci avverte: il compito etico fondamentale dell’arte è l’interrogazione.

Ci sono, d’altronde, alcuni elementi strutturali e formali come, per esempio, l’uso di un certo metro o di un certo accento, di una strofa, oppure di un suono o di un’immagine ricorrente, di cui il poeta si serve e che stanno lì proprio per collocare il lettore, per fargli sapere dov’è, dove si trova, in fondo, per rassicurarlo, permettendogli di andare avanti, di procedere nel viaggio e di continuare a cercare.

Alcune parole stanno lì per il loro significato, altre unicamente per il loro evento fisico, il loro essere suono e ritmo, altre ancora per le immagini che evocano, ma non è spiegato al lettore quale parola sia dell’una o dell’altra specie, o quale ne racchiuda insieme più di una: ecco forse profilarsi uno dei motivi dell’apparente difficoltà e oscurità della poesia — soprattutto, pare, a causa di una nostra netta incapacità di uscire da noi stessi e dalle nostre convinzioni e certezze, di andare al di là o al di sotto delle proiezioni antropocentriche del nostro pensiero e linguaggio, per abbandonarci semplicemente ad essa. Un abbandono che, come è evidente, non significa passività o distacco, ma apertura, coinvolgimento e disponibilità a metterci in gioco.

Forse, non è vero che non bastiamo a noi stessi, al contrario, probabilmente siamo troppo per noi stessi, siamo, forse, di troppo a noi stessi. Forse, qui, nella poesia di Giuliano Mesa (nella poesia) parole e cose tornano a valere per se stesse e in se stesse, al di là dell’uso che ne possiamo fare, dell’utilità che ne possiamo trarre. Tutto questo implica anche un preciso concetto della nostra posizione tra le cose del mondo, una posizione immersa nella complessità delle relazioni e degli intrecci, fatta di possibile condivisione e di proiezione verso il nuovo; una posizione sempre precaria e instabile, mai definitivamente raggiunta e sempre da riconquistare.



2 commenti:

  1. Cari amici,
    non mi aspettavo che alla pubblicazione di questa bella introduzione di Roberto, che avevo
    già apprezzato in occasione dell'incontro con Giuliano Mesa a Schio, avrei più in basso letto che ora Giuliano non c'è più.
    Aspettavo l'occasione di poterlo
    incontrare ancora, l'avevo stimato
    e apprezzato istintivamente, la sua
    attenzione e sensibilità sia nell'offrire il linguaggio poetico,
    sia nel condividere un momento con-
    viviale tra amici, era fuori dal comune.
    Uno degli incontri più intensi
    che la rassegna POESIA/POESIE mi
    ha regalato. E bisognerebbe chiede-
    re a qualcuno, non a voi di certo,
    come mai queste occasioni di incon-
    tro ora a Schio non sono più possi-
    bili: motivi di 'bilancio' o di 'a-
    cutezza visiva'?
    Quando difficile è saper 'vedere' e
    'sentire', e pertanto poi 'distin-
    guere', 'valutare' e 'scegliere'!
    Armando B.

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  2. grazie caro armando, non sai quanto dispiacere provo per la scomparsa di giuliano, un amico caro, attento e sensibile fino all'ultimo...la sua poesia e la sua voce erano e sono un tutto inseparabile...la strepitosa serata scledense ci rimarrà incisa nella mente. a presto
    roberto

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