martedì 5 aprile 2011

Domenico Cipriano


Anche Domenico Cipriano, come Pierluigi Cappello, è stato testimone bambino di un terremoto: quello che alle 7,34 serali del 23 novembre 1980 sconvolse l'Irpinia. Numeri-cabala in Cipriano, che segnano i confini stessi di Novembre (Transeuropa, 2010, euro 15,00): 23 stanze di 7 versi ciascuna, un'intro di 11, come il mese, e un prologo di 34. Entro questo perimetro temporale si delinea sia uno spazio della memoria, ma disincantata, già critica, e sia la fisicità di quei giorni, dalla terra che trema alle gomitate dell'imprenditoria per accaparrarsi l'appalto. E' una vicenda già letta, invero, ma che qui assume autorevolezza perché il testimone segue il naufragio dall'interno e lo traduce poeticamente, lavorando sui verbi, (nella poesia d'esordio: trema, geme, affonda, soffoca, afferra, collutta, sbatte, spacca, abbatte, risucchia) e sugli aggettivi (es. poesia 2: spalancati, sgretolati, incancrenita, disorientate, tumefatti). Il poeta rinuncia invece all'operazione più estrema, quella intraverbale, che sgretola i lessemi, che mina l'integrità del fonema e della struttura sintattica, trovando così ragione esistenziale ad uno sperimentalismo possibile. Cipriano cura invece di trasmettere parola e frase nella loro forza comunicativa, credo per vocazione al racconto, come si comprende ascoltando il bellissimo lavoro poetico-sonoro Le note richiamano versi, con voce recitante e quartetto jazz, uscito nel 2004 per l'etichetta Abeat records.

Cipriano non è infatti un poeta espressionista, e il modo in cui ami relazionarsi con la poliritmia lo si capisce ascoltando il disco, costruito sull'intersezione del suo fluido dettato con gli interventi sincopati dei musicisti. Al tellurico, lì, egli si affida fiducioso perché con esso meglio s'innervi il tessuto narrativo e gli costituisca una base allusiva, aderente al tema trattato: la musica americana, dal dixieland al bebop.

In Novembre lo smottamento del jazz non avrebbe rincuorato, bensì dilaniato ulteriormente l'animo e dunque il canto, che qui egli vuole invece piano, al fine di esporre, senza interferenze, il dramma della comunità ferita, che via via si ricompone senza poter dimenticare. Non so se la scelta cabalistica di costruire un'opera sui numeri del sisma compensi le infinite altre tensioni che potevano trovare casa, fino a scrivere un vero e proprio poema irpino, modulato, magari, sui trent'anni trascorsi; credo tuttavia che questo libriccino, per quanto esile, valga la pena di essere letto. Meno mi convince la scelta editoriale di allegare un CD musicale di Pippo Pollina, Ultimo volo – orazione civile per Ustica: bello, ma inessenziale al lavoro di Cipriano, e viceversa.



1.

trema la terra, le vene hanno sangue che geme e ti riempie.
è un fiotto la terra che lotta, sussulta, avviluppa, confonde
la terra che affonda ti rende sua onda, presente a ogni lato
soffoca il fiato, ti afferra, collutta, si sbatte, si spacca, ti vuole
e combatti, chiede il contatto, ti attacca, ti abbatte. è fuoco
la terra del dopo risucchia di poco le crepe: la terra che trema
riempie memoria. ti stana, si affrange, ti strema, è padrona.



4

le notizie frammentate, le persone conosciute
le visite inaspettate nella stessa notte, i ponti
caduti, le nuove scosse, i falò accesi, il pianto
le grida erano di un altrove sconosciuto
e io ero la coperta di lana, i racconti
cambiati e ripetuti, altrove erano i corpi
senza vita.




7


tornare nelle case a piano terra, nei garage
dormivegliare sulla sedia, in 3 (tre) giorni
ero cresciuto, avevo più forza e pazienza.
cercavo di costruire già le case
con le graste dure delle tegole: iniziavo
a sfidare la presenza della terra mentre
altrove si scavava e nella terra si moriva.




8


solo i bambini riconoscono i gesti degli affetti
il gioco nel vivere insieme in un non-luogo.
i grandi si adattano ma non comprendono
la semplicità da cui riaffiora la vita, ci si abitua
ad altro dall'alto dei cumuli di stracci e torna
il bisogno di farsi spazio e sgomitare per i soldi
e il potere nella farsa di non dimenticare.




11


sciacalli sui resti delle case, tra i morti
e le pietre, ma nel freddo si nutrono
aiuti improvvisati, attrezzati con la forza
della stessa notte, l'anima di un carcerato
strappa dal pigiama una benda e stringe
il sangue della ferita sconosciuta: lo racconta
mia cugina che di quel sangue porta i segni.




20.


gli addii sono lunghi da superare, tra le foto
nelle ricorrenze si prova sempre a cercare
un viso, il disegno delle case abbandonate.
tra i viali intrecciati che non hanno segni
vive il calpestio sulla terra sgretolata quando
tutto si strinse sulle case e nuove case
si mescolarono in grigioscuri di cemento.




Domenico Cipriano è nato nel 1970 a Guardia Lombardi, in provincia di Avellino. Già vincitore del premio Lerici-Pea per la poesia inedita nel 1999, ha pubblicato la raccolta Il continente perso (Roma, Fermenti, 2000; 2a. ed. 2001), con introduzione di Plinio Perilli e nota del musicista jazz Paolo Fresu. (libro vincitore del premio Camaiore “Proposta” 2000 e segnalato al premio Eugenio Montale 2000). Sue poesie sono apparse su riviste, antologie e collettive.

Qui  la sua bibliografia in dettaglio.
qui una drammatica sua interpretazione di un paio di testi.

6 commenti:

  1. Ottimo intervento, Stefano.

    Segnalo inoltre la puntata di LA VOCE DI GWEN, il programma di poesia di Radio Gwen (Chiasso, Svizzera), proprio dedicata a NOVEMBRE:

    http://www.radiogwen.ch/radiogwen/podcast/la-voce-di-gwen/420-novembre

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  2. l'ho ascoltato. bello anche il tuo.
    cioa

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  3. margherita ealla5/4/11 21:11

    Molto capace la tua lettura gugl, soprattutto nella messa in evidenza del lavorio “sui verbi,[...]e sugli aggettivi” nonché del fatto che “Il poeta rinuncia invece all'operazione più estrema, quella intraverbale, che sgretola i lessemi, [...]” proprio perché chiamato al testimoniare mediante una narrazione di “parola e frase nella loro forza comunicativa”, non solo dell'evento di sgretolamento, ma anche quello del dopo, compreso lo spirito (vitale) di una ricostruzione, non tanto, o non solo, nel cercare di “costruire già le case”,
    quanto proprio nel fare uscire il “bambino”, quel bambino tremante terrorizzato e tuttavia egli stesso “la coperta di lana” (“e io ero la coperta di lana” -bellissimo!)
    quel bambino a forza cresciuto “in 3 (ripetuto -scandito a parole- tre) giorni”, da quel sepolcro di terra che trema e risucchia e dentro la terra ricaccia,
    perché “solo i bambini riconoscono i gesti degli affetti / il gioco nel vivere insieme in un non-luogo.” e solo il bambino è in grado di un inizio, in un certo senso di vincere la morte:
    “ iniziavo /a sfidare la presenza della terra mentre /
    altrove si scavava e nella terra si moriva.”

    Mi piace anche che al respiro affannoso, parossistico della prima, si passi ad un suono più disorientato o più piano delle altre che via via che dicono “il dopo” (che c'è oltre il mentre) dentro “i racconti /cambiati e ripetuti”

    ciao

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  4. credo proprio che in queste pieghe risieda la ragione poetico-esistenziale della scrittura di Cipriano. Bravissima a metterlo in luce.

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  5. La lettura di Stefano apre a varie possiblità per affrontare il tema del mio libro, ma si sofferma poi sulla mia scelta, evidenziata bene anche da Margherita, con una sua rilettura nel suo approfondito commento. Vi ringrazio tutti per aver voluto offrire delle chiavi interpretativa del mio testo. Approfitto qui per ringraziare anche Fabiano che ricorda lo spazio dedicato da Radiogwen al mio "Novembre". un caro saluto, Domenico

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  6. grazie a te per il commento!

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