domenica 27 marzo 2011

Giorgio Bonacini intervistato da Giacomo Bergamini (2000)



LE PAROLE CHE ILLUMINANO -
a colloquio con Giorgio Bonacini - a cura di Giacomo Bergamini

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Dopo il gratificante e inaspettato successo ottenuto con la sua quinta raccolta poetica, Falle Farfalle (Edizioni Anterem, Verona, 1998), intervistiamo il poeta Giorgio Bonacini, conosciuto anche come saggista per la sua collaborazione alle riviste “Parola”, “Lingua e Stile”, “Studi di Estetica”, “Poesia”,“Alfabeta” e altre.



Ti sei laureato in Estetica al DAMS di Bologna con una tesi su Roland Barthes. Quanto ha influito la conoscenza delle opere di questo grande studioso per la composizione dei tuoi versi?

Direi che Roland Barthes ha esercitato su di me un potere di indirizzo cognitivo; la mia rifles-sione sul mondo in generale, ha preso forma specialmente dallo studio delle sue opere. In par-ticolare la riflessione sul rapporto simbolico che esiste, almeno nel mio modo di concepire l’esistente, tra oggetto reale e oggetto linguistico o, più in generale, tra conoscenza e cosa conosciuta. Perciò, se anche la poesia è una modalità del conoscere, posso dire che Roland Barthes è stato fondamentale per lo sviluppo della mia scrittura.



Teneri Acerbi, la tua prima plaquette, ha vinto nel 1988 il Premio Nazionale di Poesia “Lorenzo Montano”, che si tiene a Verona, credo dal 1987. La struttura di questa rac-colta mi pare fortemente astratta e che si muova attraverso un’organizzazione segnica densissima di frammenti, come alla deriva. Ho l’impressione che tu abbia voluto tentare “il grado zero” della scrittura, ma il testo data l’alta ambiguità e polisemia si “allarga” semanticamente. Sbaglio?


Ho scritto Teneri Acerbi (che è composta per la precisione di 52 poesie, mentre il libretto Anterem, per ragioni editoriali, ne comprende solo ventuno) alla fine degli anni settanta, e ciò che ho tentato di fare era, a livello intellettivo, sprofondare il magma turbolento del vissuto nell’io poetico e, conseguentemente, riportare in superficie qualcosa che definirei dei cristalli linguistici , in cui fosse ancora riconoscibile il pensiero, ma dislocato in sequenze di versi che fossero di per sé una realtà. Perciò queste poesie sembrano oscure, altamente ambigue, perché non parlano direttamente di una realtà, ma la creano.



Dentro ogni “evanescenza poetica” sembra starci un pensiero. Questo tenti di dimostrare con Falle Farfalle, il tuo ultimo libro. Nulla è dato al caso?


In un certo senso, Falle Farfalle, è il mio libro più pensato, anche se, forse perché scritto in pochissimo tempo, appare il più “spontaneo”. E’ il più pensato perché Falle Farfalle è una esplicita dichiarazione di poetica. A un certo punto scrivo: “La scienza del volo non permette-rebbe / alla farfalla di volare - se non / esistesse il volo della scienza”. In altre parole, la poesia è, nello stesso tempo, intelletto e sentimento, verità e interpretazione, progettualità e casualità, ecc.



Io credo che tu sia un grande “organizzatore di suoni”. Tutte le tue poesie contengono ritmi e sonorità ben definiti, ordinati, ma nello stesso tempo incitano a una specie di disordine o a un ordine anarchico. A tal proposito ti chiedo, quand’è che un verso acquista senso? Cos’è il senso in poesia?


In parte ho già risposto prima e, in ogni caso, occorrerebbe molto spazio per definire cos’è il senso in poesia; tra l’altro non sono ben sicuro che sia materia per poeti, piuttosto per critici e teorici. Credo, comunque, che un verso acquisti senso non quando questo è comprensibile o riportabile a una realtà ordinaria, ma nemmeno quando rimane a tutti costi chiuso. Forse il senso è l’oscillazione continua tra i due bordi; è il limite che definisce la concretezza di un andare verso, con un andamento linguistico intermittente, a zig zag, fatto di pause significative, ma anche di significati introvabili.



Come è nata la collaborazione fra te e Alberta Pellacani per la magnifica realizzazione di Falle Farfalle?

Se ben ricordo. in modo abbastanza casuale. A casa di amici comuni, Alberta ha letto Falle Farfalle e altre mie poesie, e sebbene in quel periodo (era il 1990 o ’91) lei lavorasse in tutt’altre direzioni artistiche, da quella lettura fu stimolata verso un gesto pittorico che univa la leggerezza alla velocità. Sono nati così almeno un centinaio di disegni. Nel 1992 abbiamo poi fatto una mostra a Reggio Emilia, con una sessantina di disegni e poesie, e altre sue opere. Quindi nel 1998 si è concretizzato il libro, grazie ad Anterem e al direttore delle edizioni Flavio Ermini.



Riconosci nelle tue opere il Surrealismo di cui parla Giuliano Gramigna e, in qualche modo, tutti gli altri critici che si sono occupati della tua ricerca letteraria?


Non credo che si possa parlare di “surrealismo” per la mia poesia: sia nel senso dell’ avanguardia letteraria e artistica storica, sia nel senso generico che diamo a questa parola. Le mie poesie non tendono a deformare la realtà partendo dal sogno o dall’inconscio, ma piuttosto a creare una realtà a partire da un processo metaforico che si stabilizza e, paradossalmente, si esplicita in quanto tale, come reale. Ma è chiaro che la mia è un’interpretazione valida come ogni altra che sia coerente nello sviluppo dei presupposti critici. Non credo nell’ interpretazione univoca data dall’autore.



L’oggetto da te percepito è sempre diverso. Ogni volta che lo nomini esso sembra cam-biare, mostrare referenze disorientanti o nuove di zecca. Perciò piuttosto che una strutta la tua mi sembra una destruttura sintattica e semantica.



Credo che sia fra i compiti principali del fare poesia quello di destrutturare il linguaggio di base per costruirne uno diverso. E questo può nascere anche da dei frammenti che si riuniscono a formare delle macromolecole che danno origine a un prodotto nuovo. E’ ciò che ho tentato di fare con i poemetti de L’edificio deserto. Sono partito da dei residui, dei rimasugli, per costruire e dare sostanza a qualcosa di strutturalmente finito, ma, come dire, perennemente indeciso nel suo organismo interno.



Hai composto Sotto la luna con Giovanni Infelìse. Come avete scritto questo lavoro di poesia a quattro mani?


Avevamo scritto, ognuno indipendentemente dall’altro, alcune poesie sugli animali. Leggendole una sera insieme, ci siamo accorti che stavano bene vicine, e che sarebbe stato bello riunirle in un libretto. Ne abbiamo parlato con Massimo Scrignoli, della Casa Editrice Book, che si è mostrato ben contento di pubblicare il libro. E mi sembra di ricordare che fu proprio lui a suggerirci di chiudere le poesie sugli animali con qualcosa che ne creasse lo sfondo. E così abbiamo scritto le strofe dedicate alla luna. Chiaramente un omaggio anche a Leopardi.



Riferendosi al tuo L’edificio deserto, Niva Lorenzini parla di una “grammatica dell’ a-lienazione”. Credi che questa definizione possa essere adoperata, più o meno, per l’ intera tua opera poetica?


Devo dire che io non avevo mai pensato al termine “alienazione” per la mia poesia. E’ un concetto che appartiene alla filosofia, alla psicanalisi e credo anche al diritto di proprietà. Non so in quale senso l’abbia inteso Niva Lorenzini. Se vuol significare una grammatica estranea a ciò che è proprio del linguaggio, direi di no; se invece intende “alienazione” come alterazione di una regola del senso compiuto, allora sì, credo che il termine possa essere usato per la mia poesia.



“La nebbia mi passa fra i denti/tossisce alla gola/e il sapore che sale è al palato/(alla fine ho anche un po’ di pudore).” Leggo questi tuoi versi, così, sfogliando Teneri Acerbi e penso che fare il poeta sia una maledizione divina.


Non so se sia una maledizione o una benedizione, ma mi piace pensare alla poesia nello stesso modo in cui Maurice Blanchot scrive a proposito di certa scrittura: Quando tutto si è oscurato, regna l’illuminazione senza luce che certe parole annunciano.



Intervista parzialmente pubblicata sul "Giornale di Vicenza" del 12 Ottobre 2000





da TENERI ACERBI


1.


Pigmenti che riescono a sfondo
di tenui fobie, inaridiscono svelti -

ah, i concentrati miei infusi…
smarrite effusioni
e dolciastre -

quali erbe o colori trattengo?
quali fondali disciolti?

allora sgambettii multiformi
smorzi di cielo sbirciati e dovrò
sottilmente…

ma il mio arrivo
è un sistema di nervi
gangliale - un odore opacissimo, vago.





18.


Ruderi e vesti ansimavano
giù, per squilibri di collo che lieti
intonanti assordavo -

ero l'alba
ero il vento che soffia gonfiato alle gote
e trafitto tentavo, impossibile
a tutto, nel muro dell'aria -

e che lieti pertugi... variabili
voci - ero ancora i miei pori, i palmabili
segni ma inquieti

che pratico in punta di pelle
e che sono i miei muscoli mosci.



47


Passo nel buio per intimo
amore

e benché un vaporìo da rifiato
impassibile il gelo -

nel mio passeraceo fiancheggio
è tutto un folare di svuoti, un calare
di nuvole… e a fiotti alettare imperioso -

la nebbia mi passa fra i denti
tossisce alla gola

e il sapore che sale è al palato…
alla fine ho anche un po’ di pudore.





da FALLE FARFALLE



Falle farfalle
è soltanto
un richiamo
soltanto una voce
se giocano
o fanno
se distano ancora
non più
di un appiglio
dal corpo
che sfocia
dal tronco
del noce




Falle farfalle
è difficile
dirlo
ma partono
e vanno
e si incontrano
al volo
si disfano al buio
per essere sole
per prendersi
cura
dell’aria
e del cuore






da SOTTO LA LUNA



I PESCI sono il sintomo del genio
dell’estate -

................formidabile
.....................la tecnica del caldo

mentre tutto si concentra
tra le branchie, l’emozione
di un’incognita rimane.

.............L’acqua infatti
........................serve a muoverli
dal fondo del torrente -

il corpo estraneo, inabitato,
l’esattezza del calore sulla linea
delle squame.

................Per i pesci il mutamento
.............è un’esperienza

ineccepibile - il dispendio
di una lingua inesistente

...............in questa forma surreale.





GLI UCCELLI hanno esaurito
le distanze - nell’esatta dimensione
di una curva anche l’effetto
delle nuvole scompare.

............Niente vola per magia,
..........................quando gli uccelli

si dispongono a partire
la sveltezza dell’intuito
è impareggiabile, il crepuscolo si perde.

................Sono gli alberi
.........................a decidere l’inizio

a interrogarsi sull’estendersi
del cielo o l’invenzione delle foglie.

Dopo tutto
.................la struttura dei richiami

è capovolta - ci si illude
che respirino, che ascoltino





da L’EDIFICIO DESERTO



I.


Il passato delle lacrime
è deciso - un ologramma intenso, inesplicabile
disteso come un albero
............................alla luce dell’infanzia

______________

Tutto poi sembra cambiare
con gli uccelli - anche la forma, l’illusione
e gli animali
.........................espressamente ricordati





VIII.


Sei il genio di un’ombra
totale - musetto che ispiri, a vederti non sai
che io credo si mormori tale
una cosa di veli
..................................che formano in viso

______________

E pensando di scrivere
poi mi rannicchio - richiamo a sorpresa i miei
libri, le pagine molli, interdette
raccolte
..............................dal vento, da un topo

______________


Giorgio Bonacini è nato a Correggio (RE) nel 1955, dove vive e lavora. Redattore della rivista 'Anterem',
ha pubblicato: Non distruggete l'immondizia, Correggio, Edizioni Gabiot, 1976; Teneri acerbi, con una nota critica di Giuliano Gramigna, Verona, Anterem Edizioni, 1988 (Premio Lorenzo Montano, 2a edizione); L'edificio deserto, con una nota critica di Niva Lorenzini, Bologna, Edizioni di Parol, 1990; Sotto la luna (con Giovanni Infelìse), Bologna, Book Editore, 1991; Il limite, con una nota critica di Lucio Vetri, Bologna, Book Editore, 1993; Falle farfalle (con disegni di Alberta Pellacani), Verona, Anterem Edizioni, 1998; Quattro metafore ingenue, Lecce, Manni Editore, 2005.


Giacomo Bergamini (1945-2004). Ha pubblicato le raccolte di poesia Hiatus (1980), Il martello di Faust (1983), 8 poesie sulla paura (con Giorgio Guglielmino, 1996), La malattia delle parole (1997), Formatosi alla scuola di Adriano Spatola – in quella straordinaria officina poetica che è stata “Tam-Tam” -, Bergamini ha poi fatto parte per oltre vent’anni della redazione di “Anterem”. Insieme abbiamo composto ed eseguito una poesia sonora uscita sul n.21 di Baobab (1990-1991)

Qui Hiatus in pdf.

19 commenti:

  1. Caro Stefano,
    ti ringrazio tanto per aver dato importanza e visibilità a questa intervista. Giacomo apprezzava la mia poesia e lo ha testimoniato così. Ora la tua generosità va al ricordo di un amico comune.
    Ciao. Giorgio

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  2. “Forse il senso è l’oscillazione continua tra i due bordi”,
    sì quel “zig zag” richiamato (rispondendo alla domanda di Bergamini ““Cos’è il senso in poesia?”) : quel “limite che definisce la concretezza di un andare verso, con un andamento linguistico intermittente, a zig zag, fatto di pause significative, ma anche di significati introvabili”, ha molto dell'orlo a zig zag delle ali di farfalla
    e l'augurio e lo sprone (alla Poesia in primis, poi al poeta): “falle” (le poesie) come farfalle contiene un far falle, imprevedibile e forse imprescindibile ma che consente di spostarsi (sul buco-falla) lungo il margine (forse anche di vedere di qua e di là)

    tanto che, ripreso in fondo, (e così ampliando e specificando) diventa: “[...] ma mi piace pensare alla poesia nello stesso modo in cui Maurice Blanchot scrive a proposito di certa scrittura: Quando tutto si è oscurato, regna l’illuminazione senza luce che certe parole annunciano.”

    Questo annunciare – preannunciare - di “certe parole” di Blanchot, unito alla lettura delle poesie, di alcune in particolare, di questo post, mi fa pensare a questo passaggio eccezionale (anche per finezza ed ironia) riguardo il presentire la poesia di Bolaño ne “I detective selvaggi”:
    “Ma la poesia (la vera poesia) è così: si lascia presentire, si annuncia nell'aria, come i terremoti, che a quanto si dice alcuni animali particolarmente adatti allo scopo riescono a presentire. (Questi animali sono i serpenti, i vermi, i topi e qualche uccello).”

    di conseguenza la chiosa con le seguenti poesie:

    “E pensando di scrivere
    poi mi rannicchio - richiamo a sorpresa i miei
    libri, le pagine molli, interdette
    raccolte
    ..............................dal vento, da un topo”

    “Tutto poi sembra cambiare
    con gli uccelli - anche la forma, l’illusione
    e gli animali
    .........................espressamente ricordati”


    Grazie per il post

    un caro saluto.

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  3. la memoria è importante, così come importanti sono le cose che dici nell'intervista.

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  4. ops ero collegata a gmail, insomma margherita e.
    ciao

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  5. ottima citazione (Margherita?).

    seguendo Bolano, potremmo dire che anche il poeta annusa il futuro (già qui solo per alcuni, splendidi, animali)

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  6. margherita ealla27/3/11 21:51

    ossì: "splendidi animali" che o inducono in tentazione, o capaci di trasformare terra e letame (per es. in humus di fiore), o di brulicare in ogni dove, o ancora, alcuni di volare....
    il fiuto beh, essendo il senso primordiale, spinge avanti.capace davvero di spandere il futuro-

    buona settimana a tutti
    margherita

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  7. La memoria è essenziale, direi. E questo post di Stefano ne è la prova lampante. Stimo la poesia di Bonacini da qualche anno, conosco poco il lavoro di Bergamini e non conoscevo questa bellissima intervista a Giorgio, che condivido in pieno. Come condivido le riflessioni di Margherita. Non posso che aggiungermi da osservatore a questo atto di generosità e di cultura nei confronti dell'amicizia, e di una poesia che sembra oscura ma è di lampante chiarezza. Finché esisterà chi è portavoce della memoria poetica, saremo, almeno temporaneamente, salvi.

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  8. giacomo fu un grande amico negli anni 70, la nostra corrispondenza è cospicua e non più riproducibile ai giorni nostri. la sua presenza qui mi colpisce profondamente. forse potremmo ricordare alcuni suoi versi... e le pubblicazioni...
    -elio

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  9. @ Margherita: ossì lo dico anch'io! :-)

    @ Marco: l'amicizia credo trovi nel "temporaneo" proprio la sua cifra. come ben sai, essa va infatti continuamente alimentata, come un fiore e una creatura viva.

    @ Elio: dici che la sua corrispondeza non è riproducibile. Lo dici con tristezza? Chissà quali intuizioni interessanti ci sono in quelle lettere. Magari potrresti fare una sel4ezione del "pubblicabile" e metterlo su Blanc...

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  10. intendevo dire irripetibile...
    certo, prima o poi dovrò ripescare le cose importanti dalle corrispondenze con gli amici poeti (non c'era la rete a quei tempi) -

    poi c'è la tristezza per amici scomparsi prima del tempo... tanti, troppi.

    elio

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  11. ..riportare in superficie qualcosa che definirei dei cristalli linguistici , in cui fosse ancora riconoscibile il pensiero, ma dislocato in sequenze di versi che fossero di per sé una realtà. Perciò queste poesie sembrano oscure, altamente ambigue, perché non parlano direttamente di una realtà, ma la creano." Una realtà s-composta fluisce fluente-vivente nei versi cristallini di Bonacini, cristalli-atomi di senso, gangli-semi lnguistici in cui il conosciuto e il conoscente s'identificano..un percorso in-certo, in-definito che lascia aperto e oscura il dire,illuminandolo,pensare oltre- altrove.. un'altra terra magmatica maestosa affiora.
    Grazie per l'illuminante intervista-post, un caro saluto a tutti.
    Stefania Roncari

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  12. chiedo scusa a bonacini, mi rendo conto che questo post è a lui dedicato, e io sono forse intervenuto non proprio con leggerezza...

    ma riguardo a giacomo, caro stefano, sono andato a rileggermi quanto avevamo scritto qui...
    http://golfedombre.blogspot.com/2006/09/giacomo-bergamini.html

    elio

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  13. @ Elio: die peosia è dire comunità degli animi e dei corpi, dei vivi e dei morti. quindi non scusarti cato Elio. E sono sicuro che Giorgio condivide questa mia prevaricazione.

    @ Stefania: sempre precisi i tuoi interventi. Grazie.

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  14. Giorgio Bonacini28/3/11 16:02

    Amicizia, memoria...sono questi i motivi, fra i primi, che da sempre
    muovono la mia scrittura. Amicizia e memoria per gli uomini e per le cose
    degli uomini. Non so se è così per chiunque scriva poesie, ma per me lo è stato
    e lo è, assieme a un'idea di pace che è ben detta in queste parole
    di Giulia Niccolai che ho fatto mie:
    L'essenza della pace è la gratitudine. Una gratitudine equanime verso
    tutti e verso tutto.
    E mi è dolce sentire di avere la poesia alle spalle.

    Grazie per gli interventi a
    Stefano, Margherita, Marco, Elio.
    Ciao.

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  15. "... palmabili segni inquieti/che pratico in punta di pelle ..." mi spingono a "dire" grazie per l'intera lettura.

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  16. Caro Stefano,
    grazie per aver proposto nella sua
    integralità questa intervista ricca
    di sostanza, che ci aiuta a conosce
    re meglio una voce poetica im-
    portante come quella di Giorgio Bo-
    nacini. Il fatto poi che nelle ve-
    sti di intervistatore ci sia stato
    Giacomo Bergamini, per la pertinen-
    za e competenza delle domande, ne
    eleva ulteriormente il valore.
    Colgo anche l'occasione per saluta-
    re il caro amico Giorgio, nonchè
    per lanciarvi una proposta: sareb-
    be interessante organizzare una di-
    scussione pubblica sull'opera ver-
    bale e visuale di Bergamini (per
    lo più conosciuta solo dagli addet-
    ti ai lavori). Voi che siete stati
    suoi amici potreste esserne sia
    promotori che relatori. Io, per
    quanto possibile, potrei darvi una
    mano.
    Un caro saluto, Armando Bertollo

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  17. hai ragione, Armando. Non ricordo se Anterem ha già organizzato una giornata di studi su Giacomo (mi pare di sì, ma non sono sicuro).

    Qui nel vicentino non lo si è fatto, comunque.

    magari ne parliamo con calma anche con altri poeti interessati

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  18. Caro Armando,
    la tua proposta di valorizzare l'opera di Giacomo con un convegno, ma si potrebbe anche pensare di ripubblicare in un volume unico tutti i suoi testi,
    è molto bella. Bisogna pensarci.

    Un caro saluto.
    Giorgio

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