lunedì 21 febbraio 2011

A noi ce sarveranno le mignotte


Questo sonetto di Gioachino Belli (1791-1863) gira in rete da qualche settimana. E' così attuale che poteva mancare in Blanc de ta nuque?


Mentre ch'er ber paese se sprofonna
tra frane, teremoti, innondazzioni
mentre che so' finiti li mijioni
pe turà un deficì de la Madonna


Mentre scole e musei cadeno a pezzi
e l'atenei nun c'hanno più quadrini
pe' la ricerca, e i cervelli ppiù fini
vanno in artre nazzioni a cercà i mezzi

Mentre li fessi pagheno le tasse
e se rubba e se imbrojia a tutto spiano
e le pensioni so' sempre ppiù basse

Una luce s'è accesa nella notte.
Dormi tranquillo popolo itajiano
A noi ce sarveranno le mignotte


(quando si dice che la poesia è lungimirante!!!)

5 commenti:

  1. margherita ealla21/2/11 18:51

    Perbacco, evvai con la lungimiranza!

    E ma allora aggiungo questa (dedicata a chi meno male che c'è bi):

    Di amore, un tempo riposto in un soggetto indegno, è ammenda mostrare il pentimento.

    Il mio errore e la tua viltà vedendo,
    contemplo, Silvio, del mio amore errato,
    che grave è la malizia del peccato,
    che un desiderio sa essere ben violento.
    Per quanto ci rifletta, credo a stento
    che la mia attenzione abbia badato
    a quel che c'è di più disistimato,
    a quel che più finisce in detrimento.
    Io vorrei, allorché sto lì a vederti,
    vedendo questo infame amor, negarlo;
    ma poi capisco ad occhi bene aperti
    che c'è rimedio solo a dichiararlo;
    perché del gran delitto di volerti,
    solo a bastante pena il confessarlo.

    da "Versi d'amore e di circostanza" J.I. De la Cruz (1651-1695)


    ciao!

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  2. accidenti, è vero: vuoi vedere che anche la poesia di De La Cruz l'hanno scritta i La Crus per Sanremo? :-)

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  3. Mons. Tizzani22/2/11 01:42

    Potenza del web! Migliaia e migliaia di link! Il sonetto (in versione non corretta e originariamente senza alcun titolo) è di mio fratello M.G., il quale, in una mail inviata il 23 novembre scorso a 24 tra parenti stretti ed amici, aveva premesso scherzosamente le seguenti parole: “Carissimi, nelle mie peregrinazioni in vecchie biblioteche ho trovato un inedito belliano. Mi ha colpito subito il livello assai più basso del sonetto rispetto alla produzione del grande Belli, tant’é che ho pensato all’opera di un suo rozzo e tardivo imitatore. D’altra parte come si dice:’Quandoque dormitat Homerus noster’ Dormicchia talvolta il nostro Omero; poteva dormicchiare anche il nostro infaticabile Belli. Comunque, al di là dell’attribuzione, ve lo mando, se non altro come testimonianza di un’epoca”.
    Poi tutto si è ampliato in progressione geometrica. Può interessare quanto ha scritto recentemente all’autore del sonetto uno dei più grandi studiosi di Belli: «Certo però evidentemente sei riuscito a intercettare un qualcosa che accomuna molte persone: di questo stavo scrivendo a una collega d’università, come cioè la diffusione ‘orale’ (in questo caso virtuale) e anonima sia irresistibile. Ed è buffo che adesso invece si sa chi è il famigerato anonimo…
    C’è da riflettere su quello che ti dicevo: perché una cosa come il tuo sonetto si è così diffuso, e anonimo, anzi gabellato per cosa di Belli? Perché riflette un “sentimento” comune e riesce a dire quello che tanti sappiamo? Perché la poesia, soprattutto quella in dialetto, “sembra” più libera di esprimersi? Perché l’anonimato (come succede per le favole, per le barzellette, e a pensarci bene anche per le parole) è più forte e potente?».
    ….e aggiungo:
    Lo Pseudo Belli continua a consegnarmi i suoi sonetti per custodirli in una cassetta, con la disperata richiesta di bruciare tutto ad una prima, improbabile occasione. Mi chiedo perché non lo faccia lui stesso. Comunque, al di là degli altri 48 (più o meno su temi analoghi) che intercorrono tra quel primo equivocato sonetto che ha suscitato tante reazioni e il cinquantesimo, mi sembra doveroso rendere pubblico almeno quest’ultimo.
    50 L’equivoco
    Ce sta quarche cervello sopraffino,
    che letti du verzacci scritti in fretta,
    ha penzato, je piji na saetta,
    a la mano der Massimo Gioachino.
    Uno sbajo accussì, bestie da soma,
    è come scambià er giorno co la notte,
    come pijà le sante pe mignotte,
    come scambià la Lazzio co la Roma.
    A parte er fatto che sti pochi verzi
    a paragon de Belli è robba sciapa,
    li fatti che s’allude so diverzi.
    Na scusa c’è pe’ ‘ste teste de rapa:
    osserveno, e pe questo se so’ perzi,
    che come allora ce comanna er papa.
    E questo,come diceva padre Dante, “fia suggel ch’ogn’uomo sganni.”
    P.S. Nella cassetta di cui ho rivelato l’esistenza continuano ad aggiungersi altri sonetti.

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  4. caro M.T.M.G. l'inganno è ben riuscito. dici che i 50 sonetti mereterebbero una sede appropriata?

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  5. Mons. Tizzani3/3/11 01:52

    35 - Rubby

    Ciarisemo: de novo Berlusconi
    sta sotto schiaffo pe’ na minorenne,
    e ppiù dd’uno sostié, che se n’intenne,
    che deve rassegnà le dimissioni

    Disce che nella villa su in Brianza
    Rubby coll’antre amiche dopo cena
    tutte inzieme facevano’na scena,
    recitanno co’ culi, zinne e panza.

    “Tutto pe’ corpa der su core bbono”
    ‘nciafruja quer fantasma de Ghedini,
    “sortanto ‘na cenetta e quarche dono.”

    Ma si lo fà pe fà benefiscenza,
    perché lui nun invita a ‘sti festini
    le penzionate della Previdenza?

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