lunedì 27 dicembre 2010

S. Crozzoletti su "C'è bufera dentro la madre"


C'è bufera dentro la madre (L'arcolaio 2010) di Stefano Guglielmin potrebbe diventare, per chi arriverà dopo di noi, testimonianza preziosa della decadenza di un mondo che pensava di essere meravigliosamente ricco ed eterno, immagine viva di parole, opere e omissioni di esseri umani impegnati a vivere una vita infinita bagnata dal denaro, dall'appagamento immediato dei propri desideri, dal benessere a tutti i costi.

La lettura di questo libro mi ha fatto pensare ad uno scenario possibile in futuro non troppo lontano, fatto di capannoni semidistrutti, fabbriche dismesse, zone industriali fantasma nell'area che fino a qualche anno fa si trastullava soddisfatta nello splendore del proprio “miracolo economico”, il nordest italiano. Un quadro desolante, specchio di un ben più grande abbandono, umano e sociale, rappresentato da Guglielmin con sguardo lucido e pennellate rigorose.

“C'è bufera dentro la madre” ci mette di fronte ad una sequenza di immagini che precedono una conclusione che, anche se non raccontata esplicitamente, sappiamo dolorosa. Assistiamo ad una anomala via cruscis che, stazione dopo stazione, mostra con una impietosa lente di ingrandimento “quel solido nulla dove la vita trottola e canticchia”, strada che conduce inesorabilmente alla fine. Una fine che è riavvolgimento, eterno ritorno, penoso loop senza pace né speranza.

Il percorso di cui ci parla Guglielmin, fatto di fotogrammi spietati, implacabili, è una crepa che si apre e che via via si estende nel corpo della madre, nel cuore dell'umanità, una ferita sempre più aperta che attrae e annienta le anime. E' così vera, questa rappresentazione, da lasciare ammutoliti. Verrebbe da coprirsi gli occhi con le mani, come quando si assiste ad una scena violenta di un film. Ma, piano piano, lo spazio tra le dita si allarga, lascia intravedere la verità senza fiocchi, nuda, pura e per questo devastante. Perché non è così lontano da noi il protagonista della “Bufera”. La sua famiglia, la sua impresa, le sue vacanze sono pericolosamente vicine. Non ci vuole molto a far combaciare facce, corpi, pensieri, “la spocchia / di chi ha i numeri migliori”.

Sono rari, e terribili, i momenti della consapevolezza. Quando l'idea della morte si avvicina (“una bocca / impagabile, una ciste che va in fregola appena la sfiora”), quando il nostro uomo in segreto invidia il senso di comunità e di vicinanza degli operai che vivono “grattando becchime”, quando egli “prega abele di non lasciarlo solo”. Quando avverte “qualcosa” che lo inquieta. E' come se si trovasse nell'occhio del ciclone, centro della devastazione dove regna irreale la calma, o al massimo tira un po' di vento, mentre a breve distanza tutto viene travolto. E' solo questione di tempo, il nostro uomo sembra in qualche modo percepire il cambiamento, lo annusa, tuttavia preferisce ignorarlo, allontanando il fischio della propria coscienza. Nemmeno l'ultima invocazione viene ascoltata:


se dalla luna, lui, portasse indietro un grammo di ragione
o il suo lume. se studiasse i modi finiti e infiniti di spinoza
e vi scavasse dentro una pozza di vita vera. se insabbiasse
il perno che lo lega alla pancia del denaro. se ogni tanto
si girasse come l'angelo di klee. se inorridisse.

Nessun riscatto, nessun cambio di direzione, ma un ripetersi colpevole delle medesime mancanze. Il nostro uomo s'è perso, e noi con lui.



 
Stefania Crozzoletti è nata nel 1966 a Isola della Scala (Verona), dove vive. Laureata in Economia e Commercio, si occupa di studi e ricerche economiche. Sue poesie sono state pubblicate nelle antologie della Giulio Perrone Editore Pensieri d'Inchiostro III edizione e La notte. I grandi temi della poesia. La sua raccolta (Non sono un) poeta è stata segnalata nel concorso di Fara Editore Pubblica con noi 2008. Sempre con Fara, Prima vita (2009, opera prima)

12 commenti:

  1. Questo intervento di Stefania Crozzoletti su " C'è bufera dentro la madre" lo trovo molto condivisibile. Una lettura puntuale su un libro che ci rivela molto del nostro tempo. Grazie e a tutti un saluto, buon 2011. nadia agustoni

    RispondiElimina
  2. Introduzione precisa, quella di Stefania Crozzoletti, a una raccolta che trova parole perfettamente tagliate - e taglienti senza essere retoriche - per svelare tempi e terre desolate. Insieme ai miei saluti grati, invio da qui i miei auguri

    RispondiElimina
  3. Mi sembra un fatto molto "educativo" che il libro di Guglielmin venga spesso riproposto e corredato da svariate note introdutive. Uno dei tanti meriti di questo testo, ma credo il più interessante, è per me quello di mostrare quanto possa tirarsi il respiro di ogni costruzione metaforica, e quante liti sia necessario fare con il linguaggio affinché questo ricrei un mondo di denuncia oppure alternativo, ma comunque un mondo. Poesia dove non si gioca, della quale non ci si bea, ma dentro la quale si "lavora".

    Da qualche tempo stiamo leggendo troppa poesia, e non solo giovane, che procede come una marcetta paesana, tra accattivante, rassicurante e intimista, che nulla da e nulla prende e che semina solo distrazione.

    Complimenti per la bella nota di Crozzoletti.

    Cristina Annino.

    RispondiElimina
  4. Un commento, questo di Stefania, appassionante e chiaro. Sembra di sentire i passi lenticolari di un cronista in diretta. Tanto di cappello!
    Il libro di Stefano è lucida analisi della nostra fine.

    Gianfranco

    RispondiElimina
  5. Non è facile, certo, approcciare la pagina (poetica o saggistica che sia) di un "nomoteta" del calibro di Stefano Guglielmin. Una scrittura, la sua, nella quale, per riprendere una formula definitoria di Cristina Annino (che condivido pienamente), si "lavora", si tira allo stremo "il respiro di ogni costruzione metaforica", si è in lotta perenne col linguaggio "affinché ricrei un mondo". Stefania Crozzoletti lo fa con estrema cautela e, nello stesso tempo, grande decisione, regalandoci un ulteriore tassello per l'intelligenza complessiva di un libro destinato a restare.

    fm

    p.s.

    Un augurio a tutti per un anno diverso - nell'accezione che ognuno desidera dare al termine.

    RispondiElimina
  6. mi piace, fra l'altro, che questi commenti uniscano la nota critica agli auguri, la disperata constatazione che viviamo nel peggiore dei sistemi possibili e, nel contempo, la speranza che domani possa inaugurare un tempo nuovo. C'è molto Leopardi in tutto ciò, e mi piace.

    RispondiElimina
  7. "un libro destinato a restare", scrive fm. Ne sono convinta anch'io. Questa poesia che "lavora" sta seminando consapevolezza.

    Anche da parte mia, un sincero augurio di tempi migliori, migliori davvero.
    Grazie, un carissimo saluto.

    Stefania

    RispondiElimina
  8. "Self evaluation: very good" riportavano certe vecchie mappe militari.

    RispondiElimina
  9. Drammatico e intenso il commento di Stefania al libro di Stefano, e illuminante, almeno per me, intorno a versi che tagliano senza patetismi una visione del mondo secca e desolata, rigorosa.
    Auguri a tutti.
    Marco

    RispondiElimina
  10. Un libro drammatico, fino dal titolo, ma che rischiara con la aprila appunto..e fa suo. Un cammino quello di Stefano, molto sofferto per non arrivare poi a sfociare nel bene comune, che coincide , forse, con quello della poesia.
    Maria Pia Quintavalla

    RispondiElimina
  11. Un libro che apprezzo e rileggo spesso, ma su cui non ho avuto il coraggio di scrivere niente. Stefania sì, e lo ha fatto molto bene.

    Francesco

    RispondiElimina